Una corsa suddivisa in cinque tappe, tra montagne, guadi spiagge e palmeti. La fatica esiste anche nel paradiso terrestre.
(foto Pierluigi Benini)
Dal mare caraibico alla metropolitana milanese il passo è breve. Eccomi qui, tornata dalla 100 km del Caribe, la corsa più esotica e affascinante nel calendario delle ultra, con l’abbronzatura sulla faccia e qualche cerotto ai piedi.
Sì perché correrla non è come raccontarla: bisogna sudare, salire e scendere per montagne, passare guadi, spiagge, palmeti. Bisogna abbassare la testa alla fatica. Ma ne vale la pena: i posti sono incantevoli, di quelli che ti sembrano finti tanto sono esagerati, eppure veri, palpabili, che lasciano un segno sulla pelle e nell’anima.
Il tour è così organizzato: arrivo a Santo Domingo e pernottamento di una notte, giusto il tempo per fare un po’ di turismo e visitare la città con la casa di Cristoforo Colombo, il discusso scopritore dell’America, a testimoniare il suo passaggio.
Il giorno dopo c’è il trasferimento a Cabarete, nel nord dell’isola caraibica, che con i suoi 2 km di baia spazzata dai venti è il paradiso dei kite surfer. Il cielo ne è pieno dei suoi colori.
Albergo bello, personale gentile, come lo è tutto il popolo di queste latitudini; si procede alla consegna dei pettorali e all’incontro con i nuovi compagni d’avventura, sconosciuti eppure uniti tutti da una stessa grande passione: la corsa e, più precisamente, la corsa nel wild.
Un giorno in libertà
Il giorno dopo è libero, libero per godersi il mare e la piscina, per acclimatarsi, riprendersi dal jet lag (sei ore indietro rispetto all’Italia) e caricare le pile: domani si affronta la prima tappa della 100 km del Caribe. E quest’anno si parte col botto: 17,5 km di pura salita, a Puerto Plata, su su fino al Cristo Redentor, che con le sue braccia aperte sembra voglia accoglierti e consolarti della fatica. Si torna giù con la teleferica, doccia, cena e proiezioni dell’impresa del giorno.
Seconda tappa: 18 km da Sosua in corsa fino a Cabarete, via spiaggia; ma è la terza la vera novità di quest’anno: 16 km corsi nella meravigliosa tenuta privata di una coppia particolare: quella composta da un ricco americano che si innamora non solo della sua attuale moglie dominicana ma anche della sua terra, comprandone chilometri a perdita d’occhio.
So che sto scivolando nel gossip e quindi mi fermo. Torniamo a questa terza tappa al Rancho Magante, a Gaspar Hernandez, dove questa gentile coppia ci accoglie per darci il benvenuto e il via da correre sulle loro terre. Sì, ok, tutto molto bello ma queste tre maledette “colline” da salire e scendere proprio non ce le aspettavamo. Caldo, poco vento, insomma, dura.
Lusso e polvere
Pranzo in spiaggia, massaggi vista mare e transfer a Las Terrenas, in albergo a cinque stelle che ci accoglie col suo personale vestito in sgargiante costume dominicano e balla ritmi caraibici. Noi lì, con le scarpe piene di sabbia in mano e la stanchezza sul viso sembriamo dei naufraghi, in netto contrasto con il lusso che ci circonda.
La cosa è buffa e mi fa sorridere, e poi, docciati e spiaggiati, tutta la fatica si dimentica e subito siamo pronti per affrontare la 4a tappa, la più lunga, la più dura ma anche la più spettacolare: 45,5 km di wild, tra giungla e spiagge, montagne e cascate (Salto El Limon), guadi e paeselli di poche case dove i bimbi ci vengono incontro festanti. Oggi siamo la loro novità. Partenza e arrivo a Playa Palapa (Punta Popi).
Ed eccoci all’ultima tappa che, al contrario della precedente, è la più corta e divertente, dove tanti podisti locali si uniscono ai runner. Il bello di questa gara, infatti, è la possibilità di fare anche una sola tappa, o quante si desidera, perché tutte hanno una classifica parziale, con tanto di medaglia sulla finish line.
Alla fine della 100 km del Caribe, un bel massaggio
Siamo a Las Terrenas, 12 i km da correre. Arco della partenza, il via e il folto gruppo si snoda colorato e allegro lungo la Playa Coson. Massaggi, premiazione finale in spiaggia e la sera… fiesta! Cena speciale con proiezioni, chiacchiere e racconti che “ingigantiscono” un po’ le nostre imprese (come fanno i pescatori con le dimensioni dei pesci pescati, avete presente?). Non è la mia prima volta qui alla 100 km del Caribe, ma ogni volta è una storia diversa.
Ultimo giorno, per chi vuole (cioè tutti) c’è la gita a Cayo Levantado, isola da sogno, incredibilmente bella e colorata: spiaggia bianca, mare turchese, cielo blu. Pranzo a base di pesce ma presto il cielo si oscura, diventa quasi buio e allora noi via, rapidi con la scia spumeggiante del nostro motoscafo riusciamo a seminare l’imminente acquazzone. D’altronde qui è così, si passa dal sole alla pioggia, e poi subito ancora al sole. E’ il Caribe, bellezza.
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