Foto: Pierluigi Benini
Dopo quattro anni di assenza dalla Tunisia, torna la 100 km del Sahara, una classica nel panorama delle ultra che ha raggiunto la maggiore età: 18 anni.
Quest’anno compie 18 anni la 100 km del Sahara, grande classica delle ultra che ha avuto un “buco” di tre anni; lo scenario è il deserto tunisino e il primo scalo di avvicinamento alla grande distesa di sabbia è Tunisi, proprio quella città che nel non troppo lontano 2015 è stato lo scenario dei noti fatti di sangue davanti al Museo del Bardo, dove persero la vita, tra gli altri, 4 turisti italiani. Il mese successivo era toccato alla località turistica di Sousa, dove l’attacco era arrivato dal mare colpendo turisti che in spiaggia prendevano il sole. Tutto questo ha fatto crollare il business del turismo, nonostante le bellezze del posto e i prezzi modici del lusso. Ed ecco che dopo gli americani, già disertori dopo l’11 settembre, spariscono anche gli italiani e i francesi. Lo stesso Adriano Zito, patron e ideatore della gara, non se la sente di portare 160-170 ultra runners (questi erano i numeri) in luoghi considerati non più sicuri, come anche il sito della Farnesina avvertiva.
Bene, passati tre anni di calma piatta Zito ci riprova. E vince la scommessa: 47 partecipanti si schierano sulla start line. Un buon numero per ricominciare. Dopo un volo di un’ora e mezzo, ecco che arriviamo da Milano a Tunisi e da qui ci imbarchiamo per Djerba che con le sue spiagge rosate, dolci nell’ora del tramonto, merita l’aggettivo “la douz”.

È qui che trascorriamo la prima notte e mentre con l’auto ci portano dall’aeroporto in albergo, mi guardo intorno: edifici con insegne tipo “Centro di formazione turistica” piuttosto che “Commissaire de Tourism” fanno capire che un tempo questo, il turismo, era la principale fonte di ingresso di valuta straniera e importante fonte per l’economia. Fantasmi di un turismo opulento. Eppure, nonostante l’aria un po’ dimessa di questi uffici, segni di ripresa ci sono, come anche il nostro autista ci conferma. Guardo fuori dal finestrino e una famiglia di cammelli guidata dal proprietario ci attraversa la strada, a fianco alcuni turisti si spostano sui loro monopattini a motore: l’antico e il moderno che si incontrano, che convivono in una strana armonia dall’irresistibile fascino. Giunti in albergo, chiacchiere e conoscenze tra di noi.
L’indomani ci trasferiamo da Djerba all’Oasi di Ksar Ghilane, dove vengono sbrigate formalità tipo ritiro pettorali, verifica certificati medici, verifica materiali e poi tè verde ai bordi della “piscina” termale naturale, cuore pulsante dell’agglomerato abitativo fatto di “stanze” tendate da condividere in due o tre compagni d’avventura.
E veniamo dunque alla gara, quest’anno più estrema in quanto i 100 km vanno corsi in sole tre tappe invece che cinque come era nelle precedenti edizioni: 8 km in notturna da Ksar Ghilane al fortino romano abbandonato dalla Legione straniera e ritorno (tutta sabbia); 50 km da Ksar Ghilane a Bir Hash Ibrahim attraversando un deserto che passa da roccioso a sabbioso (60% ca.), per tornare a essere roccioso, coperto di piccole/grandi dune e arrivare nel nulla, dove ci siamo noi e il nostro campo con tende berbere; 42 km da Bir Hash Ibrahim a Douz (oltre il 60% di sabbia). Insomma, l’edizione più sabbiosa di sempre.
Prima tappa, 8 km da Ksar Ghilane e ritorno
Presto arriva il momento del via per i camminatori prima e per i runner mezz’ora dopo. Lampada frontale e via, si punta verso il fortino romano abbandonato dalla Legione Straniera per poi ritornare nell’oasi. Arranco sulle prime dune ma via via la mia corsa diventa un po’ più fluida e tento qualche allungo rispetto al gruppo delle retrovie nel quale mi trovo.
Presto però cala il buio e io non vedo più quasi niente. Cerco di inseguire il corridore davanti a me ma lo perdo, e il gruppo nel quale ero è rimasto un po’ attardato. Sono sola nel buio e decido di aspettare il mio delizioso e confortevole gruppetto col quale ci facciamo compagnia e luce fino all’arrivo. Altro passo e altra storia per i campioni Gianluca Giuttari ed Enrica Carrara, che tagliano per primi il traguardo.
Seconda tappa, 50 km da Ksar Ghilane a Bir Hash Ibrahim
Un’alternanza di “drittoni” sterrati e alte dune. In una tappa così lunga ci si sgrana molto lungo il percorso, perciò per lunghi tratti mi trovo a correre da sola. Mi fermo a osservareintorno: a 360° non c’è nessuno, solo qualche folata di vento e questo cielo abbagliante. È il bello del deserto, il suo estremo.
Anche se non si può aver paura perché il percorso è molto ben segnalato dal bravo tracciatore Carlos Prieto e pattugliato da vari quod che vanno su e giù per il percorso, una vertigine di infinito fa girare un po’ la testa. Sole, vento e pioggia si alternano in questa lunga giornata che vede vincitori anche oggi Giuttari (4:25’22”) e Carrara (5:22’09”). Un fuoco in centro al campo prolunga le nostre chiacchiere cariche di aspettative e di timori per domani, quando si correrà la distanza regina.
Terza tappa, 42 km da Bir Hash Ibrahim a Douz
Ed eccoci alla maratona, la distanza regina. Sveglia al campo all’alba, con la canzone Aisha di Cheb Khaled che si diffonde dagli altoparlanti e riempie l’aria di struggimento e gioia. Si parte sulle dune rossicce e compatte di pioggia per attraversare lunghi sterrati e ripiombare in alte dune bianche e fini come borotalco, dove si sprofonda disperdendo notevoli energie.
Nonostante questo scenario, il crono di Gianluca Giuttari è davvero notevole: 4:02’14”. “Tutto merito del mio allenatore Giuseppe Ferrara”, le sue parole, “e delle mie figlie Paola e Iolanda, il mio sole e il mio vento. Qui c’è sole e vento e io con loro volo”. Tra le donne, e 2a assoluta, la brava Enrica Carrara che chiude in 4:24’01”.
Bene, la gara è finita ma la festa no: a bordo piscina tante le belle storie delle quali vengo a conoscenza, come quella di Nicolò, di 22 anni, che decide di seguire la sua mamma podista in questo viaggio per il quale non si è affatto allenato, ma nel quale ha trovato tanta umanità. “La nostra generazione è sempre di corsa e sempre connessa. Qui nel deserto ho sperimentato la lentezza e l’isolamento da tutto e da tutti. Una gran bella cosa. Un amico settantenne conosciuto qui mi ha lasciato un grande insegnamento: nella vita sbaglierai tante volte, ma ricordati di perdonarti”.

Una bella storia di solidarietà
Un’altra storia di cuore è quella di Cristiana Lo Nigro, medico che ogni anno dedica le sue ferie per recarsi in Sud Sudan a curare, vaccinare, salvare tanti bimbi da morte certa. E’ in corso in quel lembo di terra dimenticata una guerra feroce tra due etnie, i Dinka e i Nuer, della quale il mondo si informa poco. Lei fa parte di CCM, Comitato Collaborazione Medica, una ong che in questa occasione di crowdfounding si appoggia alla Rete del Dono, e insieme a Daniela Rubini e a Monica Sartore hanno macinato km in favore di questa popolazione sfortunata e dimenticata.
L’indomani mattina si parte, ognuno col suo trolley carico di vestiti e di ricordi torna a casa con una bella esperienza nel cuore. Sorvoliamo il deserto. Guardo giù, attraverso il finestrino. È davvero maestoso nella sua vastità.
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