Maurizio Doro ci è riuscito. Ha trasformato la sua passione, l’outdoor (con una predilezione per la bicicletta), in un’attività professionale. Adesso organizza viaggi-avventura, che alterna a vere e proprie imprese. Come quella che sta per prendere il via in Alaska. Partenza il 19 luglio dal piccolo villaggio di Yakutat. Obiettivo: macinare 500 km con bicicletta e canotto, cercando di arrivare a Cordova dopo un paio di settimane. Ma la particolarità di questa impresa, battezzata “La traccia immaginaria”, sarà che Maurizio non ha preparato un road-book. Seguirà un percorso indicativo, di giorno in giorno, affrontando tutti gli ostacoli che incontrerà sul suo cammino. Perchè? Per riscoprire il gusto dell’esplorazione, che ormai si è perso anche nelle imprese più estreme, dove tutto è programmato fino ai minimi dettagli.

– Dunque, un percorso che non conosci e non hai mai “toccato con mano”? Come ti è venuta l’idea?
Qualche anno fa in una delle mie spedizioni in Canada ho saputo di due americani che hanno fatto questa avventura assieme, e la cosa mi ha incuriosito. Il percorso non lo conosco, ma l’ho immaginato tanto che mi sembra di averlo già fatto. Il progetto non segue nessuna pista perchè non ce ne sono, seguirò tutta la costa del Golfo dell’Alaska da est a ovest. L’itinerario comprende molti km su vari tipi di terreni e di spiagge – che spero di fare in gran parte pedalando – e parecchi attraversamenti di baie, di fiumi e torrenti che farò con un piccolo canotto dove caricherò materiale e bici.
Manderò aggiornamenti costanti sulla mia posizione in diretta durante tutta l’esplorazione, utilizzando un trasmettitore satellitare e chi vorrà potrà così vedere in ogni momento il luogo preciso in cui mi trovo sulla mappa di Google entrando nel mio blog .
– Dove trovi l’energia, la curiosità di provare un’esplorazione-avventura di questo tipo, la voglia di metterti ancora una volta in gioco?
Mi piacciono le sfide di ogni tipo, forse perché sono un gran curioso e voglio vedere cosa c’è oltre, mi sento ancora vivo e l’entusiasmo ogni volta è quello di sempre, quello delle prime uscite. Ma c’è anche una grande consapevolezza, oltre all’esperienza che si è creata con lo scorrere delle stagioni.
– Com’è nata l’idea de “La traccia immaginaria”?
Ho fatto molte gare, alcune facili altre molto difficili, tutte importanti, tutte necessarie a nutrire la mia sete di emozioni. Ma tutte le gare limitano la fantasia, vengono servite su un vassoio, offrendo informazioni e sicurezza privano della gioia di scoprire il tuo limite massimo. Non è la “tua” avventura. C’è un percorso costruito da altri, ogni indicazione ti viene data nei dettagli, ti viene suggerito come vestirsi, cosa mangiare, chi e cosa c’è lungo il percorso. Pochi fanno questo tipo di gare in solitaria, in genere procedono in coppia o addirittura in piccoli gruppi. Così viene a mancare la vera conoscenza di se stessi. L’elemento predominante è la preparazione fisica. Io sono un organizzatore di eventi avventurosi (con il mio sito www.naturaid.com), e mi diverto tantissimo perché vado in esplorazione spesso in solitaria. Ho capito che quando si partecipa a eventi avventurosi – anche se spettacolari e molto difficili – si viene privati dell’aspetto dell’esplorazione. Nell’esplorazione non c’è nessun altro su cui contare che te stesso, la solitudine è assoluta. La paura, l’imprevisto e l’incognita sono quotidiani. Nessuno ti può aiutare e bisogna attingere alla propria esperienza e capacità interiore, non solo alla preparazione atletica. La preparazione fisica incide del 30%: il resto è psiche.

– Hai pianificato il tuo percorso? Quanti km conti di fare ogni giorno?
Non so quanti km percorrerò al giorno, perché molte sono le incognite, anche per quanto riguarda i tipi di terreno che incontrerò. Sicuramente quando farò molta strada di giorno, mi fermerò con la luce per sistemare e riordinare le mie cose e recuperare il più possibile le energie. Quando farò poca strada, magari sarò costretto a continuare anche di notte. Questa sarà una vera esplorazione, non so cosa si nasconde dietro l’angolo. Dovrà affrontare la natura: vento, pioggia, freddo, pedalare sulla lunga costa fatta di sabbia, ghiaia, roccia, detriti, fango, attraversare fitti boschi, paludi, fiumi, torrenti e baie, convivendo con le onde fredde dell’oceano.
– Un ambiente ostile. Ti servirà molto materiale. Cosa porterai?
Con me avrò pochissimo materiale, il puro necessario come vestiario, pochissimi capi leggeri, ma caldi e impermeabili. Spesso sarò bagnato fradicio, ed è necessario che i vestiti siano sintetici perché si possano asciugare velocemente accanto al fuoco che accenderò per scaldarmi. Sarò sempre umido o inzuppato dall’acqua dell’oceano, dalle piogge e dall’umidità. Non avrò la tenda, ma un piccolo telo sottile, leggerissimo e molto resistente. Anche la bici sarà leggera, montata solamente all’essenziale, senza freni e cambio. Tutto ridotto al minimo per una progressione agile e veloce. Sarà una vera lotta alla sopravvivenza.
– E per quanto riguarda l’alimentazione?
Avrò con me viveri sufficienti per due settimane. Buste di cibo disidratato come paste, verdure, carni. Dovrò solamente aggiungere un po d’acqua calda nella busta di alluminio e aspettare 5 minuti prima di mangiarle. L’acqua è un elemento indispensabile per la sopravvivenza, ma sicuramente uno degli elementi più pericolosi che si trova in natura se non trattato. Io utilizzerò un piccolo filtro ai carboni attivi e ioni d’argento, molto leggero e pratico, che mi permette di depurare l’acqua di torrenti, fiumi e paludi in poco tempo e renderla potabile.
– Sarai completamente solo?
Sarò completamente isolato e non avrò mezzi di appoggio, ma solo un trasmettitore satellitare che invierà costantemente la mia posizione. E tutti da casa davanti ad un PC potranno vedere il luogo in cui mi trovo e seguire la mia progressione giornaliera sulla mappa di Google collegata al mio sito web . Questo sarà il cordone ombelicale che mi terrà collegato agli amici.
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