Questa volta vi proponiamo una camminata un po’ particolare: una giornata a Lecco e dintorni, alla scoperta dei luoghi raccontati dal Manzoni nei Promessi Sposi. Seguiteci!
“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti. . . “. Così inizia quello che è considerato il primo romanzo storico italiano, vale a dire I promessi sposi. Scritto da Alessandro Manzoni, e ambientato in Lombardia, prende le mosse sulle rive del lago di Como. Precisamente a Lecco, dove la famiglia Manzoni possedeva una villa già dall’inizio del ‘600.
Ed è proprio da Villa Manzoni che può iniziare una suggestiva passeggiata alla scoperta dei luoghi che fanno da sfondo al romanzo. La Villa si trova nel quartiere Caleotto, a una decina di minuti a piedi dal centro di Lecco e dalla stazione ferroviaria. Una posizione ideale, quindi, per chi arriva in città con l’intenzione di mettersi sulle orme di Renzo e Lucia.

In questa dimora Alessandro trovò ispirazione per alcune delle sue opere, tra cui appunto I promessi sposi. Dal parco poteva ammirare i panorami della cima del Resegone, del lago di Lecco e del fiume Adda. Immagini che restarono profondamente impresse nella sua memoria e che trovano grande spazio nel romanzo.
Nelle sale della grande Villa, ora adibita a Museo Manzoniano, sono custoditi manoscritti, stampe, documenti autografi, mobili originali dell’epoca. Dopo il Vittoriale, è il museo letterario più visitato della Lombardia. Purtroppo al momento (marzo 2025) la Villa non è visitabile perchè chiusa per restauri fino al prossimo anno. Vale comunque la pena di vederla almeno dall’esterno, per entrare nel mood giusto prima di iniziare il nostro tour.
Dalla Villa, una passeggiata di circa 15 minuti conduce a quella che si presume essere stata la casa di Lucia Mondella. Si trova in Via Caldone, nel rione di Olate. Oggi l’edificio non è visitabile, perché abitazione privata. Si prova comunque una sensazione particolare, passando davanti a queste mura che così precisamente ricordano la descrizione di Manzoni: “Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, ed era cinto da un murettino”. Se il portone d’ingresso è aperto, si può con un’occhiata abbracciare il piccolo cortile e il ballatoio.
In realtà a Lecco, nel rione di Acquate, c’è anche una seconda casa che si dice fosse quella di Lucia Mondella. Si tratta di una trattoria battezzata appunto “La vecchia casa di Lucia”, che però recentemente ha chiuso i battenti.

Continuando comunque a salire lungo la strada, dopo una cinquantina di metri ecco invece la chiesa dei Santi Vitale e Valeria, dove don Abbondio alla fine del romanzo avrebbe celebrato le tanto sospirate nozze di Renzo e Lucia. Fu ricostruita nel 1767 e poi parecchio rimaneggiata nel 1934. Dell’antica struttura mantiene soltanto il bel campanile.
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Dalla chiesa, salendo verso il rione di Acquate e prendendo la via pedonale Tonio e Gervasio, si arriva al Tabernacolo dei Bravi. Vale a dire all’edicola sacra presso cui i Bravi si appostarono per minacciare don Abbondio, intimandogli di non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia.Questo tabernacolo, come si evince da antiche illustrazioni dei Promessi Sposi, era dipinto con figure serpeggianti, fiamme, anime del purgatorio. Oggi in realtà solo la targa che vi è apposta accanto ne ricorda il glorioso passato. Non vi è più traccia dei vecchi dipinti, e il tabernacolo stesso appare come una triste, anonima nicchia ricavata nella pietra del muro.

E parlando di Bravi, il pensiero non può fare a meno di correre al malvagio don Rodrigo, che infatuato di Lucia aveva deciso di farla sua. Sul promontorio dello Zucco, poco distante da lì, si trovava appunto il suo palazzotto. Un edificio costruito alla fine del 1500, che venne demolito nel 1937 per lasciar posto a una villa progettata dall’architetto razionalista Mario Cereghini.
A questo punto bisogna scendere verso il lago per andare alla scoperta delle altre tappe di questo affascinante viaggio letterario. Sulla riva sinistra del fiume Adda si trova Pescarenico. Oggi fa parte della città di Lecco, ma una volta era un villaggio di pescatori. Un piccolo gioiello che si specchia nell’acqua, con la bellissima Piazza Era su cui affacciano le case colorate e le barche tirate in secca. Ed è proprio da qui che Renzo e Lucia, accompagnati da Agnese, danno il loro struggente addio ai “monti sorgenti dall’acque”, mentre si allontanano in barca lungo l’Adda per sfuggire al perfido Don Rodrigo.

Incamminandosi da Pescarenico verso il centro città, si incontra quello che viene chiamato confidenzialmente Ponte Vecchio. Si tratta del Ponte Azzoni Visconti, costruito appunto dal signore di Milano tra il 1336 e il 1338. Lungo 131 metri, con 11 arcate, fu un’opera di importanza strategica per la vicinanza del confine veneziano. Alessandro Manzoni nel parla nel 1° capitolo del romanzo: “…e il ponte che ivi congiunge le due rive, par che segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia…”.
Nel centro di Lecco, è poi d’obbligo un incontro ravvicinato con Alessandro Manzoni: nella piazza a lui dedicata si trova dall’ottobre 1891 una statua in bronzo alta quasi tre metri, opera dello scultore Francesco Confalonieri. Raffigura lo scrittore in atteggiamento meditativo, seduto sulla sua poltrona.

Da piazza Manzoni si imbocca poi via Roma, per raggiungere la Torre Viscontea in piazza XX Settembre. Fatta erigere anche questa da Azzone Visconti, era la torre principale di un Castello costruito nella prima metà del XIV secolo. Oggi ospita il Museo della Montagna gestito dal CAI (Club Alpino Italiano), e viene adibita a sede di mostre temporanee.
Per scoprire le ultime tre tappe di questo viaggio manzoniano, bisogna però di nuovo allontanarsi dal centro. Questa volta la meta è il rione di Chiuso, che mantiene tutt’oggi le caratteristiche architettoniche originali e dove si trova la casa del Sarto. Nel romanzo era la dimora del “sarto erudito” che avrebbe ospitato Lucia dopo la sua liberazione da parte dell’Innominato.

Poco distante da lì, su Corso Bergamo, si trova anche la Chiesa del Beato Serafino, un edificio di origini romaniche con la facciata a capanna. L’oratorio dedicato a San Giovanni Battista custodisce affreschi rinascimentali attribuiti a Giovan Pietro da Cemmo o ai fratelli Baschenis. Secondo la tradizione, fu in questa chiesa che avvenne la conversione dell’Innominato grazie all’intercessione del Cardinale Federigo Borromeo.
E proprio la Rocca dell’Innominato, non lontano dalla chiesa, è l’ultima tappa del percorso. Per arrivarci occorrono però scarpe comode e parecchio fiato. Infatti le rovine di quello che doveva essere il palazzo nobiliare si trovano a 180 metri di altezza sul lago, in località Vercurago.

“Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi…”, scrive Manzoni. E la descrizione calza perfettamente con i resti dell’antica fortificazione di confine tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia.
Oggi di quei tempi bellicosi restano un recinto quadrangolare e la torre trasformata in cappella. E lo sguardo spazia, pacificato, sul bellissimo panorama del lago cinto da pareti di roccia e boschi di castagni (foto di apertura).

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