Nato vicino a Barcellona, Alex Simon Casanovas ha sangue mediterraneo nelle vene. Ma la sua vera passione è quella per il ghiaccio. Dopo avere scalato in tutto il mondo, dal 2007 si è trasferito in Finlandia, dove ha avviato un’attività di guida polare. E dove soprattutto organizza ogni anno la Rovaniemi Winter Race. Il nostro Max Marta parteciperà per la seconda volta alla gara, e ha intervistato Alex.
Manca poco più di un mese alla partenza della mia nuova Artic Winter Race, che quest’anno sarà in Lapponia per la Rovaniemi 300. Ho intervistato Alex Casanovas, la guida polare con oltre 20 anni di esperienza nella logistica in zone estreme, che dal 2012 – anno della prima edizione – organizza questa straordinaria ultramaratona invernale ai confini del circolo polare artico. Di che cosa si tratta? Di una gara su tre distanze (66, 150 e 300 km), che può essere fatta a piedi (trascinando la pulka, cioè la slitta), con la fat-bike oppure con gli sci.
Avevo già intervistato Alex Casanovas due anni fa alla vigilia della mia prima esperienza di Arctic Race per Rovaniemi 150km. Ed è stato di nuovo illuminante per me parlare con questo personaggio dalla straordinaria esperienza.
– In base ai numeri possiamo dire che questa del 2019 sarà un’edizione record. Mai tanti partecipanti hanno affrontato insieme le tre distanze. Cosa ti ha sorpreso di più: il numero, le nazionalità o il fatto che, finalmente, anche il numero di donne sia in aumento?
Quest’anno ci saranno 134 partecipanti in totale. Ma solo 30 saranno donne. È vero che sono più numerose che nelle passate edizioni, ma sono ancora poche, considerando che siamo in Europa. Significativo poi è il fatto che il numero di atleti che parteciperanno a piedi è molto più alto di quelli in fat-bike. Questo fa supporre che la fat-bike non sta crescendo abbastanza in Europa. Poi bisogna considerare i pochi partecipanti con gli sci: e questo è un vero mistero. Per quanto riguarda le nazionalità, ai primi posti come al solito ci sono la Gran Bretagna e l’Italia. Ma in questa edizione abbiamo anche il più alto numero di finlandesi, in totale 21.
– Credo siano cambiate molte cose negli ultimi due anni nel panorama dell’ultramaratona. I partecipanti si sentono meno “supereroi”, ma cercano piuttosto un’esperienza unica in ambiente isolato, con paesaggi indimenticabili. Cosa ne pensi? Hai delle esperienze da raccontarci a questo proposito?
Mi dispiace, ma in effetti non ho avuto ancora nessuna esperienza memorabile nè in positivo nè in negativo a proposito di questo argomento. Ad ogni modo in ogni posto è normale trovare lo stupido che si crede un supereroe.
– Molte persone si affidano a esperti (allenatori, psicologi, nutrizionisti… ) per migliorare le performance, ma ho la sensazione che questo può indurre a spingersi molto oltre le proprie possibilità e ad avere così dei problemi. Che cosa ne pensi?
Penso che affidarsi ad aiuti esterni sia invece un buon metodo per imparare a gestire le proprie performance. Anche se alcune persone si spingono troppo in là, pensando che questa gara rappresenti la fine del mondo e dimenticandosi che in effetti si può sempre tornare l’anno successivo, se non si è abbastanza preparati. Se poi gli atleti con esperienza e molto in forma si spingono fino allo stremo, sono fatti loro. Come organizzatori, nel caso i partecipanti si infortunino o abbiano un attacco di cuore, il nostro compito è quello di prestare il miglior soccorso possibile e cercare di trasportarli in fretta in luogo sicuro, in modo da salvargli la vita.
– Voi fate un accurato processo di valutazione dei partecipanti: trovate che in genere la loro esperienza sia in linea con quanto dichiarano? O avete trovato discrepanze con la realtà?
Alla prima domanda rispondo di sì. Alla seconda no.
– Come Race director ti sei mai trovato alle prese con partecipanti che tentano di avere un supporto esterno durante la gara?
Onestamente non mi è mai capitato fino ad oggi. E se qualcuno lo ha fatto, lo deve aver fatto davvero molto bene, perché non ce ne siamo accorti. Se noi scoprissimo un partecipante che non rispetta il regolamento, sarebbe immediatamente squalificato.
– La Rovaniemi 300, cioè la gara con il percorso più lungo, è fatta di due sezioni molto diverse tra loro. La prima di 150 chilometri e la seconda di 158. Nella prima parte, i partecipanti possono trovare presso i check-point sia fuoco che acqua, mentre la seconda è in totale autonomia. Ci sono tuttavia anche nella seconda parte posti dove è suggerito fare una pausa per accendere un fuoco, mangiare e riposare?
Nella prima parte, se si arriva negli orari previsti, ovvero quando i check-point sono aperti, i partecipanti possono usare il fuoco e prendere dell’acqua. Nella seconda parte invece c’è solo un riparo lungo il tracciato, mentre gli altri si trovano fuori dal percorso, anche oltre un chilometro dal tracciato suggerito. Abbiamo ovviamente riportato sul nostro sito web tutte le informazioni per permettere ai partecipanti di decidere dove fermarsi, mangiare e dormire. Certo che è poi altamente suggerito portare con sè un fornelletto funzionante, anche se è possibile che si riesca trovare della legna nei ripari.
– In entrambe le Arctic Winter Race, come la Rovaiemi 300 e l’Iditarod Trail Invitational,viene utilizzato dai concorrenti un Satellite Tracking Device. Ma il GPS Tracking – come lo SPOT – non ha la possibilità di comunicare, fornisce solo la posizione, mentre nella Rovaniemi 300 è obbligatorio. Qual è la ragione? Tra lo Spot e il Garmin inReach, qual è il migliore e perché?
Non so se è obbligatorio, ma lo scorso anno ai partecipanti della Iditarod Trail Invitational era permesso utilizzare un Satellite Tracker Device (STD), e tutti questi dispositivi hanno il pulsante SOS (ndr ho partecipato alla ITI130 e il sistema fornito era “passivo”, ovvero non permetteva alcuna interazione come quella di lanciare un SOS). Alla Rovaniemi 300 un Satellite Tracker Device (STD) è obbligatorio perchè vogliamo sempre sapere dove si trovano i concorrenti, e inoltre perchè non ci sono check-point ma solo way-point obbligatori, senza alcuna presenza umana. L’unico modo per fare il controllo è quello di usare un sistema STD. Inoltre posso aggiungere che personalmente non posso dire quanto sia valido il Garmin inReach, perché non lo conosco, ma penso sia simile al sistema DeLorme, per cui ritengo sia molto buono. Per quanto riguarda lo SPOT, funziona bene e non è così costoso. Ma la copertura è limitata in posti remoti come l’Antartide, e forse anche in qualche altro posto di cui non sono a conoscenza. Poi anche se alcuni modelli di Satellite Tracker Device (STD) hanno il GPS, io preferisco portarne due separati: il GSP e il STD, giusto per sicurezza nel caso uno dei due non funzionasse.
– Per l’organizzazione è più difficile gestire i molti partecipanti delle distanze 66 km e 150 km, o i pochi della 300 km? In quest’ultima l’ambiente è molto più inospitale, ma i partecipanti dovrebbero essere più preparati ad affrontare le sfide…
È più complicato gestire la sicurezza della gara di 150 km. La 300 km ha molto meni concorrenti, e tutti hanno una notevole esperienza.
– Cercare di non sudare e idratarsi bene: questi sono i due consigli fondamentali che ci hai dato due anni fa. Quali pensi siano i principali errori che devono evitare gli atleti che affrontano questo tipo di gare per la prima volta?
Gli errori principali che fanno coloro che affrontano queste gare per la prima volta riguardano l’abbigliamento e in particolare come tenere caldo il corpo senza sudare. Questo è qualcosa che si acquisisce con l’esperienza e provando differenti materiali, combinando i diversi indumenti e i diversi strati. E poi ovviamente non dimentichiamo l’idratazione, che è sempre fondamentale.
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