Una settimana dedicata alle montagne nella metropoli della moda e del design: si è appena concluso il Milano Montagna Festival (main sponsor Vibram), che quest’anno ha visto anche la piacevole novità di un fuori festival con un ricco menù di eventi. Uno di questi è stata la mostra “Salvaguardia della montagna attraverso l’arte, l’architettura e la roccia”, organizzata presso la galleria Rubin, che ha ospitato opere dello scultore altoatesino Gehard Demetz, acquerelli dell’alpinista-pittrice Riccarda De Eccher e straordinarie fotografie stereoscopiche scattate da Angelo Dibona tra il 1907 e il 1911.
L’inaugurazione della mostra è stata l’occasione per parlare ovviamente di montagne e della salvaguardia del delicato ambiente alpino. Una salvaguardia affidata in primo luogo alle persone che in questo ambiente vivono e lavorano. In primis gli artisti, che con le loro opere possono raccontare la bellezza, la fatica, le emozioni che ogni giorno le montagne riescono a regalare a chi le ama.

“Sono nata a Bolzano – ha raccontato Riccarda de Eccher, classe 1954, che oggi vive e lavora a Long Island -. Però i miei genitori portavano in gita solo mio fratello. Io guardavo quelle pareti immense e pensavo a come poterci salire. Poi ci siamo trasferiti in Friuli, e ho davvero sofferto la pianura. Fino a che ho conosciuto un maestro rocciatore e ho iniziato ad arrampicare. Certo, quando si è giovani l’aspetto contemplativo non è quello predominante. Allora contava più la performance, il fatto di arrivare in cima. Ora invece provo più empatia per la montagna. Adesso il filo conduttore della mia vita è la montagna della pittura. Guardo le rocce e vedo linee, volumi, colori. Le cime che dipingo sono sempre quelle italiane, a cui voglio bene, di cui conosco la storia, le tradizioni, i canti”.

È stata poi la volta di Gehard Demetz, scultore della Val Gardena oltre che vigile del fuoco volontario (“In montagna ci si aiuta tutti, nessuno vive solo per sè”). I suoi Bambini Combattenti sono opere che non lasciano indifferenti: impugnano croci come fossero fucili, o sono trafitti da lame che in realtà viste da vicino appaiono per quello che sono, cioè madonnine di legno. “Lo stesso soggetto, a seconda di come viene presentato, rappresenta qualcosa di diverso”, ha detto. “Per il bambino una croce non ha lo stesso significato che ha per un adulto. Lui ci gioca, e i punti di vista cambiano”.

Franco Gaspari, guida alpina degli Scoiattoli di Cortina e appassionato di storia, ha ricordato come all’inizio del Novecento il nonno avesse accompagnato a scalare il re Alberto I del Belgio insieme all’amico alpinista e fotografo Charles Lefebure. Il “re alpinista” da quel lontano 1907 per oltre vent’anni fece ritorno sulle Dolomiti per arrampicare con le guide cortinesi. In quel periodo sono state realizzate le foto stereoscopiche esposte – dopo un lungo lavoro di recupero – alla mostra. Scattate con una macchina a doppio obiettivo, rimandano una particolare immagine tridimensionale se le si osserva indossando gli appositi occhialini polarizzati. “Poi – ha ricordato Gaspari – il re morì. Sbagliò una manovra di corda doppia mentre si allenava in una palestra di roccia”. La montagna, anche quella “addomesticata”, non perdona.
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