Aria fresca e sole. Anche queste potrebbero essere armi efficaci nella lotta al Coronavirus. Come insegna l’esperienza dell’epidemia di Spagnola del secolo scorso.
Fra il 1918 e il 1920, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, l’epidemia di influenza cosiddetta Spagnola flagellò le popolazioni già stremate per il conflitto. Facendo decine di milioni di vittime (alcune stime arrivano a calcolare 100 milioni di persone decedute).
Richard Hobday è un ricercatore che lavora nei settori del controllo delle infezioni, della salute pubblica e della progettazione degli edifici. È considerato un’autorità nel campo dell’elioterapia e delle complesse relazioni che legano luce solare, vitamina D e medicina, ed è autore di un libro intitolato The Healing Sun (Guarire con il sole).
Hobday ha studiato l’evoluzione della Spagnola, confrontandola con l’attuale epidemia di Coronavirus. E ha preso in esame anche i diversi sistemi messi in atto per debellare il contagio.
Il potere della luce solare e dell’aria nelle infezioni
In un articolo scritto sul sito Medium.com, Hobday racconta che all’epoca della Spagnola i pazienti allettati all’aperto si erano ripresi meglio di quelli trattati al chiuso. Una combinazione di aria fresca e luce solare sembra insomma aver prevenuto molti decessi tra i malati, così come infezioni tra il personale medico.
Fino all’avvento degli antibiotici, negli anni ’50, in America era spesso utilizzata come cura la cosiddetta “terapia a cielo aperto”. Perchè ci si era accorti che in caso di infezioni delle vie respiratorie (come influenze e tubercolosi) le morti tra i pazienti si riducevano dal 40% al 13% se questi venivano tenuti all’esterno o in spazi ben ventilati.
Durante l’epidemia di Spagnola, infatti, i medici organizzarono ospedali da campo allestiti all’interno di tende. I malati quindi si trovavano in ambienti decisamente ventilati. E con il bel tempo, i letti venivano portati all’esterno per godere dei raggi del sole.

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Perché i pazienti trattati all’aperto avevano più probabilità di guarire? Perché erano meno esposti ai germi infettivi che sono spesso presenti nei reparti ospedalieri tradizionali. L’aria fresca infatti è un vero e proprio disinfettante naturale, come hanno rilevato negli anni ’60 alcuni scienziati del Ministero della Difesa USA. L’aria outdoor uccide molti batteri, sia di notte che di giorno.
La loro ricerca, citata da Hobday nel suo articolo, ha anche rivelato che un risultato analogo si ottiene anche in ambienti chiusi con un’adeguata ventilazione. Per questo erano stati realizzati nel secolo scorso reparti ospedalieri “a ventilazione incrociata”, con soffitti alti e grandi finestre.
Ma con l’avvento della terapia antibiotica, queste ricerche sono state abbandonate. Molto più comodo risolvere tutto con una pillola. I farmaci hanno sostituito l’elioterapia e la progettazione di edifici ben ventilati. Peccato che nel frattempo i batteri nocivi siano diventati sempre più resistenti agli antibiotici.
Il sole sintetizza la vitamina D
Durante la prima guerra mondiale, i chirurghi militari usavano abitualmente la luce solare per curare le ferite infette. Sapevano che è un disinfettante. Quello che non sapevano – e che si è scoperto solo più tardi – è il motivo. Oggi sappiamo che al sole – se la sua luce è abbastanza forte – si può sintetizzare la vitamina D presente nella pelle.
Bassi livelli di vitamina D sono collegati alle infezioni respiratorie e possono aumentare la facilità con cui si contrae l’influenza. Inoltre la luce del sole incide sui ritmi biologici del nostro corpo, e questi a loro volta determinano in parte il modo in cui resistiamo alle infezioni. Vale a dire: anche dormire bene di notte e stare all’aperto di giorno può aiutare l’organismo a diventare più resistente alle infezioni.
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