Per festeggiare il primo anno di arrampicata, la nostra Emma ha deciso di provare ad arrampicare su una via a più tiri sul Monte Mottarone.
Il monte Mottarone è situato tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta, tra la provincia di Verbania e quella di Novara, a poco più di un’ora da Milano. Il parco naturale del Mottarone offre svariate possibilità per tutti gli amanti dello sport. Infatti non è presente solo una grande falesia, ma è un’area ricca di boschi e sentieri in cui fare passeggiate e trekking a contatto con la natura. Inoltre la vista dalla cima del monte spazia dal Monviso alle Alpi Marittime, dal Massiccio del Monte Rosa alle Alpi Svizzere, fino ad arrivare alla Pianura Padana.
Seppure la fama del Monte è dovuta ai suoi impianti sciistici, il Mottarone è anche un vero paradiso per l’arrampicata. La falesia è costituita da diversi settori attrezzati con circa un centinaio di vie tra monotiri e multipitch (vie di più tiri consecutivi), concentrate prevalentemente nel settore Aquila pera.
La roccia che caratterizza la falesia è nota come granito rosa di Baveno, una pietra molto particolare dall’insolito colore rosato. Questo pregiato granito rosa si può ritrovare in innumerevoli costruzioni, infatti è molto usato nell’architettura lombarda e viene estratto principalmente – come esplicita già il nome del minerale – nella zona di Baveno, sul Lago Maggiore.
Arrampicare sul Mottarone, come arrivare ai tiri
Ritornando alla falesia, lo stile di arrampicata che la caratterizza è principalmente di aderenza, con la presenza di qualche fessura. La falesia è piuttosto semplice da raggiungere: l’avvicinamento è una ventina minuti. Dopo aver parcheggiato in cima al Mottarone, si scende verso una bacheca di legno dalla quale si prende il sentiero che corre lungo il fianco della montagna, fino ad un cartello che indica la palestra di roccia. Proseguendo verso destra si scende lungo un piccolo tratto scosceso, fino ad arrivare alla testa del settore Aquila.
Il settore Aquila Pera è disposto in modo tale da far arrivare gli scalatori non ai piedi delle vie ma in cima ad esse. Perciò prima di poter cominciare l’ascesa vera e propria è necessario effettuare la calata in doppia dall’alto. Una volta discesi lungo tutta la via, si arriva finalmente alla base dei tiri dove ci si può comodamente preparare per la scalata.
Per la nostra avventura abbiamo scelto di ripetere la via che si chiama Beek, e che si compone di quattro tiri (6a iniziale, 5b, 5a, 6a con un tettino finale) con uno sviluppo circa di 100 metri. Io e il mio compagno Fabio abbiamo iniziato la nostra calata verso la base della via alle 11 del mattino.
Lungo la discesa abbiamo fatto un’attenta perlustrazione della via, perché nei giorni precedenti aveva piovuto molto e la roccia, di conseguenza, avrebbe potuto essere ancora bagnata. Situazione che rende l’arrampicata più complicata se non, addirittura, impossibile. Questo “giro di perlustrazione” è toccato a me, e purtroppo con grande rammarico ho visto che, durante la calata tra il secondo e il primo tiro, la roccia era ancora completamente zuppa. Per cui ci siamo dovuti adattare a questa situazione, ripetendo solo tre dei quattro tiri previsti. Oltre alla delusione derivante da questa scoperta, ho sperimentato anche la scomodità di doversi cambiare e preparare appesi in sosta.
Arrampicare anche con le vertigini
Io mi sentivo al contempo fremere dalla gioia e dall’impazienza di sperimentare questa novità e dall’altra parte mi faceva molto paura. Infatti fin da piccola ho sofferto di vertigini e non ho mai amato la sensazione del vuoto. L’esposizione è qualcosa che tutt’oggi mi terrorizza. La paura di cadere, di non sentire nulla sotto i piedi e di provare quel brivido che percorre la spina dorsale quando ci si ritrova sospesi a mezz’aria è qualcosa a cui fatico ancora oggi ad abituarmi. Proprio per questo non è scattata subito la scintilla tra me e questo sport.
Da piccola i miei genitori, entrambi amanti dell’arrampicata, mi portavano in falesia e mi facevano provare ad arrampicare. Ma io non ne volevo proprio sapere. Non volevo salire, se non più di qualche metro, restavo aggrappata con denti e unghie alla roccia, e durante la calata mi disperavo.
Eppure con il tempo e i cambiamenti che questo porta con sé, le cose si sono evolute e modificate. Tanto che un anno fa ho deciso di iscrivermi ad un corso di arrampicata. Man mano che sono cresciuta e ho scoperto nuove sfaccettature della mia personalità, sono riuscita finalmente ad apprezzare la sensazione della roccia sotto i piedi e la fatica che si fa per arrivare sempre più in alto alla ricerca di un buon appiglio.
Nonostante questa partenza poco promettente, più andavo in palestra, più acquisivo conoscenze tecniche e parallelamente sviluppavo maggiore fiducia in me stessa. Tanto che adesso, nonostante abbia ancora quella sensazione di vertigine e quella paura di cadere da un momento all’altro, cerco di spingermi oltre i miei limiti e le mie paure, arrivando a dire: la prima via lunga non si scorda mai!
La prima esperienza di una multipitch
Ritornando alla descrizione della via, posso dire che il primo tiro che abbiamo ripetuto era molto bello: una partenza tranquilla con una bella fessura in cui incastrarsi, che è diventata poi una placca liscia da fare puramente in aderenza. Il secondo tiro a differenza del primo era placca di aderenza pura, senza appigli o tacchette definite per i piedi. Tutta roccia liscia sulla quale “spalmare” i piedi alla ricerca dell’equilibrio e del movimento.
L’ultimo tiro è stato il più divertente di tutti. Partiva con una bellissima fessura, molto comoda e in cui potersi riposare, alla quale seguiva il passo chiave del tiro: un tetto da superare in modo deciso per uscire fuori dalla via e arrivare in cima alla parete. La via è spittata molto bene e le soste, tranne quella di calata iniziale, sono relativamente nuove.
Nonostante fosse la mia prima via, non ho avuto nessun tipo di problema con i nodi e le legature. Non mi sentivo nemmeno agitata, ero serena e seguivo il flusso degli eventi. È stato un ottimo modo per staccare la testa in questi mesi prima dell’esame di maturità.
Dopo la via ci siamo diretti alla falesia della Balena Alta e della Balena Bassa, settori che si trovano nelle strette vicinanze di Aquila Pera, e nel pomeriggio abbiamo aspettato degli amici con i quali abbiamo scalato alcuni divertenti monotiri fino alle otto di sera. Inizialmente ci siamo buttati su qualche facile tiro nel settore basso per poi fare qualche tiro più tecnico nel settore alto.
I tiri che mi sono piaciuti di più sono stati: La via del topo, un facile 5b di placca con una bellissima fessura finale da fare in dulfer per poi arrivare alla catena e Napiaste, un 6b con una partenza molto interessante, con delle belle lame da tirare, che si conclude con una placca di equilibrio molto delicata, da affrontare in modo deciso.
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