L’incontro con Hervé Barmasse alla Settimana della Montagna di Pomaretto (Torino), è stato l’occasione per sentir parlare di alpinismo con una prospettiva particolare.
In un mondo che vive di medaglie e successi, abbiamo bisogno di nuovi esempi positivi che restituiscano valore allo sport in generale e alla montagna in particolare, riproponendo il concetto di “conquistatori dell’inutile”, raccontato nel suo omonimo saggio dall’alpinista francese Lionel Terray.
Quanti di noi rinuncerebbero a un 8.000 a soli tre metri dalla vetta, sapendo che quel confine potrebbe segnare la vita o la morte? E chi avrebbe l’entusiasmo di raccontare l’alpinismo in tutte le sue sfaccettature con un sorriso, nonostante alcune avventure possano apparire – almeno sulla carta – come fallimenti?
Lo sguardo oltre l’orizzonte di Hervé Barmasse, insieme al suo intervento alla Settimana della Montagna di Pomaretto, insegna a vedere nella natura uno spiraglio al buio quotidiano.
La montagna come maestra di vita, da guardare con umiltà e ammirazione
Ci sono persone che vanno oltre il proprio ruolo e sanno parlare al cuore e all’anima di chi le ascolta. Forse sono amate proprio per questo, ancor prima che per le imprese che lasciano senza fiato. Poco importa che siano attivisti, sportivi o scienziati: creano un legame profondo che unisce e avvicina. Ci si sente parte di qualcosa, e si prova sempre a imparare il più possibile.
Conosco Hervé Barmasse nel 2023, durante un evento al Trento Film Festival dedicato alla narrazione della montagna, in particolare a quella social realizzata dai content creator. Quel giorno, al suo fianco sul palco, sedeva un ragazzo poco più grande di me, con gli occhi che brillavano. Tudor Laurini, in arte Klaus, co-autore con Barmasse di WECLUB. La Traccia. Alpinismo: ama, rispetta, comunica, un documentario che consiglio sempre a chiunque ami l’outdoor, perché racchiude alcuni insegnamenti preziosi che questa dimensione può offrire.
Seguire una traccia o costruire la propria, esplorare un ambiente nuovo e lasciarsi stupire, mettersi in gioco anche se si è già esperti, e scegliere di arrendersi quando il corpo chiede una pausa o le condizioni lo impongono. Barmasse propone un’idea di alpinismo lontanissima dalle logiche di mercato che, sempre più, affollano anche questo mondo.
Ascese, successi e passi falsi: alla montagna bisogna sempre dare del Lei
Amicizia. Fallimento. Felicità. Sono le tre parole che guidano il racconto di Barmasse e aprono la via a una strada comune, trovando nei suoi racconti un’applicazione concreta tanto nella vita dell’alpinista quanto in quella della persona.
Dalla Patagonia alla parete sud dello Shisha Pangma, passando per il Cervino, casa sua, la montagna perfetta da cui si apre un altro capitolo della sua esistenza, scoperto dopo aver dovuto rinunciare alla carriera sciistica, quel sogno che sembrava già realtà.
Tutto passa attraverso occhi familiari che tendono la mano nel momento del bisogno. Anche Hervé, come me, ha avuto un padre che gli ha trasmesso la passione per la montagna (oggi è la quarta generazione di guide alpine della sua famiglia).
Suo padre, da Valtournenche, gli ha insegnato la curiosità per il mondo. Il mio, dalla costa ligure, mi ha fatto amare le piccole vette dietro casa prima di affrontare bivacchi alpini e ferrate dolomitiche, aiutandomi a capire che anche quello poteva essere il mio ambiente.
La montagna insegna ad adattarsi, a reinventarsi, a trovare soluzioni pratiche e alternative. Insegna a salire, ma soprattutto a cadere. In vetta come nella vita quotidiana. E Barmasse, in questo, non è solo portavoce: è quasi una colonna portante.
Sono molti i successi che si possono elencare, così come gli incidenti di percorso. Perché la montagna non è solo felicità, ma spesso vero e proprio esercizio di sopravvivenza: nei confronti di sé stessi, dei propri silenzi, della fatica, della solitudine profonda.
Forse è per questo che mi piace dire che, in un certo senso, che conosco Hervé Barmasse, anche se in realtà non abbiamo mai avuto occasione di scambiare quattro chiacchiere faccia a faccia. Ogni volta che mi capita di incontrarlo, l’effetto è proprio quello di un dialogo con un buon amico. Ed è stata questa l’impressione alla fine dell’incontro di Pomaretto. Strette sotto un tendone gremito di persone accomunate da una stessa passione, con uno sguardo d’intesa io e la mia amica Camilla ci siamo capite al volo: “È stato come se ci avesse preso per mano. Con delicatezza, ma con tutto dentro.”
Per questo Barmasse incarna la mia idea di montagna, e quindi l’immagine che ho di chi la abita e la vive. È una persona attenta, consapevole, che promuove ciò che ama, cercando di proteggerlo il più possibile.
Non so quanti avrebbero l’umiltà di raccontare con chiarezza e passione che la montagna non è necessariamente sinonimo di sfida all’impossibile, e che un alpinista non è chi colleziona cime, ma chi dà senso a ciò che fa. Anche quando sta scalando il monte più insignificante dietro il giardino di casa.
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