È già una sfiga avere una mamma con la fissazione del trail e delle camminate in montagna. Se a questo aggiungete la vocazione a mettere insieme accozzaglie improbabili di persone, potete avere un’idea di come me la passo io.
La nostra vacanza a Macugnaga, per esempio, per me è stata una “tranquilla settimana di paura”. Questa la formazione: io, la mamma e una coppia di amici ciechi della mamma. Per ciechi intendo che non ci vedono, e non provenienti dalla Cecoslovacchia.
Beh, io sono un tipo abbastanza autosufficiente. Al massimo mi allontano due metri per qualche annusatina. Certo, la mia mole può spaventare. Soprattutto se non sono al guinzaglio. Ma la mamma non poteva certo portarmi a spasso per i monti legata al guinzaglio: perchè aveva un cieco attaccato al braccio sinistro e uno attaccato al braccio destro.
Così, per evitare di beccarsi i soliti insulti dagli escursionisti, aveva trovato uno “stupendo escamotage” (così lo descriveva lei). Mi faceva girare con una pettorina militare recuperata a una fiera, con una grossa croce rossa su fondo bianco. E appena qualcuno si lamentava, replicava pure indispettita: «Questo è un cane della Protezione civile in addestramento!».
Tutto è andato bene fino a che ci ha beccato il solito tipo curioso/pedante in vena di domande. «Ma a quale servizio è adibito questo cane?». Io mi sono sentita gelare: non so nuotare, ho poco fiuto, e persino la mia vocazione da bovaro ormai è un po’ appannata. Ho cominciato a fissare il vuoto sperando che la mamma mi trascinasse via.
Non credevo alle mie orecchie, invece, quando l’ho sentita rispondere: «È un cane molto robusto. È specializzato nella rimozione delle macerie. Nell’ultimo terremoto in Abruzzo è riuscito persino a rimuovere un pilastro di cemento. Sotto c’era una vecchietta ancora viva». Dopo un po’, si è aggiunta al nostro gruppo gente che voleva ulteriori dettagli. Io continuavo a fare lo sguardo della mucca che vede passare un treno.
Il giorno dopo la mamma ha deciso di portarci tutti quanti al rifugio Zamboni, ai piedi del ghiacciaio del monte Rosa. «Così facciamo il primato – ha detto -. Perchè nessun cieco ci è mai arrivato». Se nessun cieco ci è mai arrivato, belìn, ci sarà pure un motivo.
La mamma ha deciso di fare il primo tratto – ripidissimo e al sole – in seggiovia. Peccato che nell’ameno paese di Macugnaga le seggiovie siano quelle degli anni ’60: uno sgabellino d’acciaio sospeso nel vuoto. «Ma è sicura che il cane riesca a sedersi?», ha chiesto l’omino della seggiovia. E la mamma: «Certo, è un cane per ciechi, è addestrato a salire in seggiovia! Basta che fermiate due minuti l’impianto per farlo salire».
Così, dopo essermi trasformata da cane della Protezione civile in cane guida per ciechi, ho dovuto subìre la peggiore umiliazione della mia vita. La mamma ha fatto prima salire in seggiovia i suoi amici ciechi e li ha spediti su, raccomandando all’omino di avvisare la stazione a monte per farli scendere. Poi ha provato a issarmi sul seggiolino.
Io sul seggiolino proprio non ci stavo. Salivo con le zampe anteriori, e già occupavo tutto lo spazio. Mi tiravano su il sedere, e precipitavo con la faccia per terra. Sollevavano il muso, e il sedere ripiombava a terra. Alla fine ho cercato di scappare ma la mamma mi ha riagguantato. Intanto si stava formando una coda di gente in attesa di salire. Ognuno dava il suo consiglio su come sistemarmi. Poi la mamma ha provato ad abbassare la sbarra tenendomi in braccio, ma a momenti soffocavamo tutte e due. Insomma, alla fine ha dovuto rinunciare, protestando che è una vergogna avere impianti così obsoleti.
Morale, ce la siamo fatta tutta a piedi. Perchè in ogni caso dovevamo recuperare gli amici ciechi spediti in alto. Siamo arrivate alla stazione a monte della seggiovia dopo tre quarti d’ora. Io ho provato a mimetizzarmi con un pino, ma sono stata acciuffata e istradata sul sentiero verso lo Zamboni. Dopo quello che avevo passato, attraversare la pietraia che porta al ghiacciaio è stata una passeggiata.
Nemmeno il baratro a sinistra e a destra mi faceva paura, ormai. Nemmeno ai ciechi del resto, perchè non lo vedevano. L’unico momento di terrore puro l’ho avuto quando, sul sentiero largo 20 centimetri, ci è venuto incontro un mulo da soma. Con la soma sulla schiena, ovviamente. Devo dire che la mamma è stata una vera prestigiatrice. Ancora non so come sia riuscita a farci passare tutti indenni oltre il mulo.
I ciechi però hanno avuto le loro soddisfazioni. «Siete i primi non vedenti ad arrivare quassù!», ha detto il gestore del rifugio. E io del resto io sono stato il primo cane guida a raggiungerlo.
Non parlatemi più di Macugnaga. L’unico motivo per cui ci tornerei, è la cena al ristorante z’Makana, all’interno del residence Cima Jazzi. Vi assicuro: i bocconi che arrivavano sotto il tavolo erano la fine del mondo!
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