La nostra Monica Nanetti ha percorso nel cuore dell’inverno il tratto del Cammino da Lisbona a Santiago. E ha scoperto parecchie cose interessanti. Per esempio che non ci sono code (anzi, non c’è proprio anima viva). Che in Galizia piove sempre. Che lungo tutta la strada si mangia divinamente. E che probabilmente vale la pena di uscire dal gregge…
Da un certo punto di vista, il Cammino di Santiago sta ai camminatori come la Maratona di New York sta ai runner: puoi anche avere un’esperienza pluridecennale in ogni parte del mondo, ma se corri ci sarà sempre qualcuno che ti chiederà: “Ma New York, l’hai fatta?” e a una risposta negativa, aggiungerà: “Beh, quella sì che è LA maratona…”, sottolineando in modo tutt’altro che velato che la tua esperienza non può certo dirsi completa senza aver provato l’emozione della Grande Mela.
Per Santiago, in molti casi è lo stesso: puoi aver scarpinato su e giù per Alpi e Appennini, aver percorso la Via Francigena, aver esplorato nuovi itinerari – dalla Via Postumia ai percorsi “minori” del Centro Italia – ma alla fine la domanda: “Ma Santiago, l’hai fatto?” ti procurerà sempre qualche sguardo di sufficienza per la mancanza, nel tuo curriculum, dell’itinerario-simbolo di tutti i cammini.
Così, alla fine mi sono decisa: almeno un assaggio, una settimana, quanto basta per farsi un’idea del percorso e per portarsi a casa la Compostela (cioè il “diploma di pellegrino” che viene attribuito a coloro che arrivano a Santiago dopo aver percorso almeno 100 km a piedi, o 200 in bici). Ma se da un lato la mia curiosità mi attirava verso la Spagna, dall’altro il mio “coté snob” mi metteva in guardia da situazioni un po’ troppo affollate. Il risultato è stato un compromesso un po’ demenziale, seppure non privo di risvolti interessanti: la scelta è caduta su un percorso meno battuto rispetto al tracciato principale, quello del “Cammino Portoghese” che da Lisbona sale verso nord; e il tutto in un periodo presumibilmente poco gettonato, nel cuore dell’inverno.

E allora, ecco qui in sette punti il riassunto di quello che ho imparato sul “mio” Cammino di Santiago (se poi volete leggere il resoconto nei dettagli, lo trovate completo sul blog Secelhofattaio).
– In Galizia piove. Lo ha fatto per 6 giorni consecutivi, in tutte le possibili variazioni: pioggerellina continua e monotona, diluvio a scroscio, umidità in spray che ti bagna fino alle ossa, acquazzone di stravento… devo dire che questo aspetto ha un po’ condizionato la mia esperienza. Non puoi proprio goderti al meglio una camminata se te la fai tutta sotto l’acqua, né tantomeno apprezzare appieno i panorami che ti circondano. Però alla fine un po’ ti abitui (o ti rassegni, che è circa lo stesso). D’altro canto, non credo che il maltempo dipendesse più di tanto dal periodo dell’anno: a giudicare dal verde sfolgorante delle campagne e dal floridissimo muschio che ricopre muretti, case e qualunque altra cosa esposta all’aperto, in questi posti piove comunque, d’inverno come d’estate. (Poi ho controllato le statistiche: la media da quelle parti è di 135 giorni di pioggia all’anno, quindi tanto vale farsene una ragione).
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– Nessuno fa il Cammino d’inverno. E quando dico “nessuno”, intendo proprio che non si vede anima viva lungo i sentieri. Il che è assolutamente sorprendente, se si tiene conto che il totale dei pellegrini registrati, nel 2018, superava le 320.000 unità, e che il solo “Cammino Portoghese” ha visto la bellezza di 81.652 presenze. Niente, io ho incontrato solo una simpatica camminatrice tedesca che mi ha chiesto di aggregarsi perché stava per essere sopraffatta dalla depressione e poi, all’ultima tappa, un’energica signora irlandese dal piglio militaresco: totale, due persone su 130 km di percorso.
– Il che porta alla considerazione ulteriore: se tutte le centinaia di migliaia di pellegrini si concentrano in 9/10 mesi all’anno, quanto casino ci dev’essere da queste parti in alta stagione? L’ho chiesto a qualche ostellante e a qualche ristoratore lungo la strada, e ho avuto la conferma che questi posti, d’estate, non fanno per me: ostelli strapieni, dove sei costretto ad arrivare entro le due del pomeriggio per avere qualche possibilità di trovare posto; code nei bar e nei vari punti di ristoro; un flusso continuo e ininterrotto di persone lungo i sentieri… ma evidentemente è questione di gusti, e a molta gente un simile happening piace parecchio.
– L’organizzazione del Cammino ha del sorprendente. I sentieri sono tracciati al limite della maniacalità, ed è davvero quasi impossibile perdersi: non c’è bisogno di gps, ma non è indispensabile neppure una semplice cartina, tanto i cippi con la conchiglia e le frecce gialle sono davvero dappertutto. Gli ostelli sono tanti (non tutti aperti d’inverno, ma comunque in numero sufficiente), capillarmente distribuiti lungo tutto il territorio e nella grande maggioranza dei casi di ottima qualità. Anche i punti di ristoro sono moltissimi (ecco, quello che manca d’inverno sono i bar aperti… in 20 km sotto l’acqua avrei dato molto per un posto all’asciutto dove bere un tè caldo); addirittura, in vari punti lungo i sentieri – magari in campagna o in mezzo a un bosco – sono stati installati distributori automatici di caffè e merendine. La “civiltà” (in forma di un paese, di una fermata d’autobus, di un “albergue”) non è mai troppo lontana dal percorso. Insomma, è tutto molto comodo e attrezzato. Pure troppo, mi verrebbe da dire… nel senso che, almeno ai miei occhi, si sente un po’ il gusto di qualcosa di preconfezionato, di standardizzato, di una formula diventata ormai una sorta di routine: la stessa sensazione che, lo scorso anno, mi aveva dato la ciclovia del Danubio. Tutto perfetto e organizzato, però ogni tanto ti sentivi un pollo di allevamento… Ma forse sono io che in queste cose sono un po’ particolare.
– Il Cammino costa poco, soprattutto se comparato agli standard italiani. Una decina di euro a notte gli ostelli municipali, intorno ai 15 quelli privati (spesso molto belli); tutte queste strutture sono dotate di cucine ben attrezzate, dove ci si può cucinare quanto acquistato in negozio per pochi euro; e se invece si è disposti a spenderne tra i 12 e i 15 ci si possono concedere delle cene davvero memorabili. Pure i voli per l’andata e il ritorno, con un po’ di accortezza, si possono trovare a bassissimo costo. Una faccenda alla portata di quasi tutte le tasche.
– In Galizia si mangia benissimo, soprattutto se ti piace la cucina “marinara”: il “pulpo a la gallega” (piovra lessata e condita con peperoncino in polvere) è onnipresente e sempre straordinariamente buono. E poi c’è da tener presente che il simbolo del pellegrino, alla fin fine, è una “cocquille saint-jacques”: e che il mollusco che c’è dentro, qualcuno se lo dovrà pur mangiare…
– Il percorso – almeno nel tratto che ho fatto io, partendo dal confine con il Portogallo – alterna tratti piacevoli ad altri un po’ così così (con una certa percentuale di asfalto e periferia urbana), ma una cosa è certa: Santiago è una città stupenda, e vale da sola una visita. Il centro storico, con vicoli e scalette che si irradiano intorno alla grandissima Praza do Obradoiro, su cui si affaccia la Cattedrale, è al tempo stesso monumentale, suggestivo e accogliente. Un’atmosfera davvero unica, che merita di essere vissuta.
Insomma, in estrema sintesi il mio consiglio è – se vi viene voglia di fare il Cammino di Santiago – di fare quello che ho fatto io: partite in pieno inverno. Pirenei a parte, le temperature non sono freddissime; gli ostelli sono abbastanza vuoti da essere molto comodi e accoglienti, senza alcun bisogno di programmazione o prenotazione; le giornate sono comunque abbastanza lunghe (anche perché in Spagna in questa stagione il sole sorge verso le 8.30 del mattino e tramonta verso le 18.30). E soprattutto, con poca gente in giro, potrete più facilmente assaporare le emozioni, le sensazioni e il gusto di libertà di un “vero” cammino.
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