Dalle più alte vette del mondo – che poi scende puntualmente con gli sci ai piedi – Carlo Alberto Cimenti aggiorna in tempo reale i suoi fan e la moglie attraverso i social network. È l’alpinismo digitale.
Sembra che non faccia mai fatica. Forse perché Carlo Alberto Cimenti, detto “il Cala”, ha davvero poco dell’alpinista tradizionale. Nulla a che vedere con i montanari dal carattere spigoloso, amanti della solitudine e poco inclini alla chiacchiera. Lui sorride. Sorride sempre, anche quando è impegnato in imprese tutt’altro che facili. E spedisce i suoi sorrisi al mondo attraverso i social network.
Lo ha fatto anche in occasione dell’ascesa al Nanga Parbat, lo scorso luglio. La nona vetta più alta della Terra, 8.126 metri. Una volta arrivato lassù, ha mandato alla moglie Erika un messaggio che è diventato quasi virale: “Sono sdraiato in cima al mondo e piango rido e ti amo”.
È stata proprio Erika, per tutta la durata dell’impresa, a tenere costantemente i contatti con il Cala e a far rimbalzare i suoi post su Facebook e Instagram. Noi lo abbiamo incontrato in occasione dei Beat Yesterday Awards di Garmin, di cui è ambassador. E ci siamo fatti raccontare com’è la vita di un alpinista digitale.
– Suona un po’ strano il fatto che un alpinista arrivi sulla cima di un Ottomila, e sia sempre connesso con il mondo. Dov’è finito il “magnifico isolamento” della montagna?
Quando sei lassù, in realtà, l’isolamento esiste lo stesso. Perché se ti succede qualcosa, il fatto che tu sia connesso non rappresenta un aiuto. Se hai un problema, se devi affrontare un tratto pericoloso, devi comunque sbrogliartela da solo. Poi oggi, grazie alle nuove tecnologie, essere connessi è così facile… Io per esempio uso l’inReach di Garmin, uno strumento con cui posso anche inviare e ricevere messaggi, e che mi consente di condividere la mia posizione e la mia traccia.
– Ma tutto questo armeggiare con gli strumenti tecnologici non ti distrae un po’ da quello che stai facendo?
Un po’ sì, in effetti. Ma non più di quanto mi distragga fare foto o filmati. Lo metto in conto. Sono cose che devo fare perché sono parte del gioco. Ma alla fine buona parte del lavoro lo fa il GPS in autonomia: basta accenderlo e metterlo in tasca. Più complicato è rispondere ai messaggi, perché si rallenta il ritmo e si perde concentrazione. Soprattutto quando il riverbero del sole è così forte, da rendere illeggibili le parole sullo schermo.
– La condivisione social fa parte del tuo lavoro, ma è anche nelle tue corde. Si vede che ti piace comunicare con il mondo. Ma se si verifica un problema, per chi ti segue in tempo reale diventa angosciante…
È vero, raccontare quello che faccio fa parte del mio lavoro ma è anche un divertimento per me. E finchè tutto va bene, è bellissimo sapere che i tuoi cari possono seguirti passo passo. Ma quando ero sul Nanga Parbat, per esempio, ci sono stati periodi in cui la connessione era interrotta. E mia moglie Erika, a casa, ha passato davvero dei brutti momenti…
– Anche perché l’hai abituata male… sembra sempre tutto semplice, per te!
Il fatto è che mi diverto anche quando faccio una fatica bestiale, o quando mi trovo in pericolo. Perché non voglio raggiungere il risultato a tutti i costi. Se non riesco a centrare l’obiettivo, pazienza. Non sono un super eroe.
– Con tua moglie condividi anche parte dell’attività sportiva?
Quando andiamo a sciare, lei viene con me. Se facciamo roccia, sono io che vado con lei. Ognuno ha le sue specialità, ma siamo entrambi appassionati di sport.
– Come vi siete conosciuti tu e Erika?
(ride) Su Facebook. Mi ha mandato un messaggio su Messenger e abbiamo iniziato a scriverci. Ma all’inizio non le piacevo per via del naso…
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