L’anno scorso mi ero iscritto alla Cortina-Dobbiaco solo perché ne avevo un po’ sentito parlare da alcuni amici, e in parte perché quella è la zona dove ho passato tante estati a fare trekking, arrampicate, sentieri attrezzati, e via dicendo. L’idea di correre ai piedi delle Dolomiti mi affascinava, dato che qui a Milano (dove abito) la massima altura a cui piedi si può correre è il Montestella, che per quanto affascinante non ha certo l’appeal delle ben più blasonate Cime di Lavaredo (e vorrei ben vedere!).
Lo spauracchio di quei quasi 15 km di salita (tanti separano la partenza da Cortina dallo scollinamento a Cima Banche) non mi preoccupava più di tanto: 300 metri di dislivello in 15 km vuol dire grosso modo una pendenza media del 2%, praticamente un falsopiano. E poi, una bella discesona dove spingere come dei dannati fino ad arrivare alla passerella trionfale davanti al Grand Hotel di Dobbiaco.
Quest’anno, stregato dalla bellezza dei posti, ho deciso di riprovarci. Ho tentennato per circa 5 minuti sul sito della manifestazione (http://www.cortina-dobbiacorun.it/), poi ho deciso di riprovarci. La condizione era inferiore a quella dello scorso anno, causa un infortunio che mi ha bloccato per qualche mese, ma la volontà di ferro mi ha permesso di arrivare alla partenza di Cortina con meno ansie del previsto, e una certezza: l’obiettivo non è, non può essere, quello di migliorare il tempo dello scorso anno, mi basta arrivare in fondo felice, onorando al meglio la competizione.
Quello che non ho calcolato è che a differenza dello scorso anno non parto in coda al gruppo, e quindi già dall’inizio posso andare al mio ritmo senza troppa fatica, commettendo quindi l’errore di pigiare un po’ troppo sull’acceleratore. Eh sì, perché uno dei pochi nei che si può trovare a questa manifestazione è la “bizzarra” scelta di assegnare il pettorale e la griglia di partenza sulla base dei tempi conseguiti a questa manifestazione, e non ad altre. Sei un novellino? Parti in fondo anche se corri le Maratone in 2 ore e 30 minuti, e avrai davanti gente che corre a 6’min/km che dovrai superare su un sentiero buono per 2-3 persone. Hai già corso la gara? A seconda del tempo vedremo dove “piazzarti”.
L’anno scorso, a causa di questa assegnazione, avevo passato la salita a superare nei modi più improbabili, rallentando parecchio e perdendo molto tempo rispetto a quanto speravo. Quest’anno invece questo non accade, col risultato che già al 5° km inizio a pensare che sarà dura arrivare in fondo mantenendo un ritmo decente, ma nonostante tutto di rallentare non se ne parla. Poi, complici i paesaggi spettacolari che iniziano a fare capolino da dietro le nubi che ci accompagnano da due giorni (e meno male che ha piovuto solo la sera prima!!), inizio a non pensare più alla pesantezza delle gambe, ma ragiono che in fondo il mio pettorale è uguale alla mia data di nascita (611 = 6 novembre), e che forse questo è un segno che oggi mi arriverà un bel regalone di compleanno.
Il percorso continua a salire lentamente, ripercorrendo il tracciato della vecchia ferrovia che univa le due città, passando anche in alcune gallerie illuminate. Qui il rumore delle scarpe sullo sterrato copre qualunque altro suono, e ti viene quasi voglia di chiudere gli occhi e di farti guidare da questo scalpiccio ritmico, fatto di 1000 componenti diverse, eppure tutte uguali. Penso a Gianni Poli, l’organizzatore, che racconta di avere scoperto questo percorso per caso durante un suo allenamento, e penso che in fondo la bellezza della corsa sta anche in questo, nel correre in terre sconosciute, per poi portarle agli altri attraverso le proprie emozioni, le proprie storie.
Arrivo a Cima Banche e dò un occhio al mio Garmin: il passo che tengo è tutto sommato buono, non l’avrei mai detto dopo la fatica iniziale. Adesso ho davanti circa 15 km di discesa. Le alternative sono due: andare a razzo o semplicemente aumentare un po’ il passo. Per i primi 500 metri tengo fede al buon proposito, poi vedendo gente che mi supera emerge quella scintilla di orgoglio italico che mi sforzo di sopprimere, ma che non resiste a lungo nel suo angolino, e allora innesto il turbo (si fa per dire…).
I chilometri mancanti iniziano scemare, e finalmente sulla destra appaiono in lontananza le tre cime di Lavaredo, che in realtà non vedo molto bene perché una velatura di nebbia le ricopre. Io però so che sono lì, che mi guardano. Un saluto rispettoso e poi via. Il vento che in salita aveva solo dato un po’ di fastidio qui diventa davvero un grande nemico. All’altezza del Lago di Landro mi fa quasi sbandare tanto è forte, e continuerà con queste raffiche fino all’arrivo.
Mi illudo di poter continuare così fino alla fine, ma non ho fatto i conti con l’allenamento poco specifico per le lunghe distanze (ultimo lungo di 27 km chiuso strisciando due settimane prima), ed ecco che dal 26° km in poi è un conto alla rovescia. Tengo il ritmo alto solo per inerzia e per cocciutaggine. Guardo l’orologio e vedo che mi potrei migliorare rispetto allo scorso anno, e anche se mi sembra quasi ingiusto continuo imperterrito al mio ritmo. Supero gente che sta chiaramente parlando con quella vocina interiore che ti dice di rallentare o magari di fermarti, tanto due minuti in più che sarà mai, e provo ad incitarli: ma la voce mi muore in gola.
Sono quasi alla canna del gas. L’ultimo km è il più duro, su asfalto, e lo faccio con le gambe molli, senza mollare un secondo, ma sapendo che avrò seri problemi a camminare nei giorni a venire. All’arrivo esorto la folla a incitarci come si conviene: 30 km mica sono pochi! Guardo il cronometro ufficiale, e non credo ai miei occhi: 2h18min19sec, 7 minuti meno dell’anno scorso (che mi varrà la 368a posizione su circa 4000 partecipanti). Taglio il traguardo con un saltone, che mi vale i miei 5 secondi di gloria quando lo speaker, l’onnipresente Silvio Omodeo, scandisce il mio numero di pettorale, il nome, il cognome e la società di appartenenza.
Che dire: il regalo di compleanno è proprio arrivato! Per dovere di cronaca, la gara maschile è stata vinta dal kenyano (ma dai?) Biwott sul connazionale Bii in 1:37:31, ma pare che i due siano passati sotto la linea del traguardo esattamente assieme, e che la vittoria sia stata letteralmente “assegnata” dai giudici di gara. Terzo l’aficionado Said Boudalia, pluri-partecipante e pluri-vincitore (5 vittorie) di questa gara. In campo femminile, la gara non ha avuto storia. Ha vinto nientepopòdimeno che Valeria Straneo (esatto, la primatista italiana di maratona) in 1:47:39, sbriciolando così il precedente record di 1:52:57 realizzato dalla bergamasca Eliana Patelli lo scorso anno.
Che dire? Per me, che corro in piano, questa è una gara unica, nonostante quello che dicono i tanti amici appassionati di trail, che ovviamente la “snobbano”. Ben consapevole che i trail sono tutta un’altra vita (vita per cui francamente non mi sento molto portato), credo che una gara così possa a pieno titolo fungere da anello di congiunzione fra due mondi molto distanti: quello delle corse su strada e quello della corsa in montagna. Ho sentito di persone che dopo avere corso questa gara si sono dati ai trail e agli ultratrail, e questo non fa che confermare questo mio “sospetto”. Io dubito che migrerò mai su strade diverse da quelle belle piatte o tuttalpiù con qualche cavalcavia, ma devo ammettere che la pulce nell’orecchio questa gara un po’ me l’ha messa.
L’unico aspetto di questa manifestazione che convince poco, oltre all’assegnazione dei pettorali (ma questo è un problema anche di altre gare come la Venice Marathon), è che resta il dubbio se il percorso e gli spazi siano sufficienti per il numero di persone che si iscrivono (più di 4000 quest’anno): il sentiero in certi punti è molto stretto, e vi sono tratti che rischiano di diventare fastidiosi colli di bottiglia. Forse chiudere prima le iscrizioni potrebbe solo aiutare una manifestazione che ha dalla sua l’incanto dell’ambiente in cui si svolge e la passione di chi la organizza. E di questi tempi, scusateci se è poco.
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