Domani, 7 dicembre, sarà disponibile in streaming gratuito un film sul ciclismo che vede tra i protagonisti anche Davide Rebellin: L’ultimo chilometro.
Sono passati pochi giorni dalla tragica morte sulla strada del ciclista Davide Rebellin, falciato da un camionista pirata tedesco, che poi è fuggito abbandonandolo agonizzante sull’asfalto. Mentre la giustizia italiana fa il suo corso, per ricordare il campione sarà disponibile in streaming gratuito da domani sera alle 20.30 il documentario L’ultimo chilometro. Per visionare il film, bisogna cliccare su questo link. La visione sarà possibile per 48 ore.
Il camionista che ha ucciso Rebellin è stato intanto denunciato a piede libero, ma non posto in stato di fermo, perché il codice tedesco non prevede il reato di omicidio stradale. L’uomo, Wolfgang Rieke, lavora per una ditta di spedizioni di Recke, nella regione della Renania-Wesfalia, il cui titolare è il fratello.
E non è nuovo a comportamenti di questo genere. Oltre ad un patteggiamento per fuga dal luogo dell’incidente senza prestare soccorso, si è scoperto che aveva un altro precedente, sempre in Italia: nel 2014 gli era stata ritirata la patente dalla polizia stradale di Chieti per guida in stato di ebbrezza.
Il silenzio dei giornali tedeschi sulla vicenda di Davide Rebellin
Pur non prevedendo specificatamente il reato di omicidio stradale, la legge in Germania è in genere piuttosto severa contro chi si rende colpevole di questo tipo di crimini. Lascia perplessi però il fatto che i media tedeschi abbiano passato completamente sotto silenzio la vicenda. Nessuno dei principali quotidiani nazionali riporta la notizia di quanto avvenuto in Italia. E questo non sembra un buon punto di partenza per un’auspicabile estradizione di Rieke.
Si rischia insomma che in Germania l’incidente venga fatto passare per un’incresciosa fatalità. “Purtroppo quando i cosiddetti utenti deboli della strada (ciclisti, pedoni, disabili…) vengono falciati da una macchina o da un camion, si continua a parlare di disgrazia anziché di omicidio”, considera Marco Scarponi, fratello del campione di ciclismo Michele, ucciso da un furgone nel 2017 mentre si allenava sulle strade della sua Filottrano, nelle Marche.
“Si dà quasi per scontato – continua Scarponi – che sulla strada si possa venire uccisi. Al punto che le vittime spesso non sono considerate nemmeno tali, perché in un certo senso se la sono cercata”.

Per provare a cambiare la mentalità corrente e per promuovere la sicurezza stradale, Marco Scarponi ha dato vita alla Fondazione Michele Scarponi. Che tra le varie attività si occupa anche di mettere a punto percorsi di sostegno psicologico per l’elaborazione del lutto, rivolti ai familiari delle vittime della strada.
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