Il fotografo Ennio Vicario, che oggi ha 85 anni, ha pubblicato nel ’91 un libro costato tre anni di lavoro, che raccoglie immagini spettacolari delle Dolomiti. È anche lui tra i candidati al Lagazuoi Photo Award. Ci siamo fatti raccontare la storia della sua esperienza tra le montagne.
Pochi tra quelli che lo vedono oggi passeggiare ai giardini del quartiere Giambellino, a Milano, sanno che Ennio Vicario è uno dei grandi maestri italiani dell’obiettivo. Tra i fondatori dell’Istituto d’Arte di Monza, ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo, a caccia di storie da raccontare attraverso gli scatti della sua macchina fotografica.
Lo Yemen, l’Iran, la Turchia, Israele… Ogni destinazione, migliaia di immagini. Tra i suoi lavori ce n’è uno che proprio in questi giorni è tornato alla ribalta: Luci e ombre nelle Dolomiti. Una serie di immagini scattate oltre trent’anni fa, e che ancora oggi lasciano a bocca aperta. Immagini conquistate a forza di scarpinate in montagna, trascinandosi dietro per i sentieri macchine fotografiche e banco ottico.
Ennio Vicario ha riproposto le sue bellissime fotografie ai giurati del Lagazuoi Photo Award, il concorso bandito proprio per premiare chi è in grado di “reinventare l’iconografia delle Dolomiti con scatti fuori dagli schemi”. Nell’attesa che i membri della giuria facciano il loro lavoro, abbiamo intervistato Vicario e ci siamo fatti raccontare la sua lunga avventura tra le montagne patrimonio Unesco.

– Da dove è nata l’idea di andare a fotografare le Dolomiti? Eri un appassionato di montagna?
Per nulla. È nato tutto per caso. Mia cognata (la benestante della famiglia) aveva acquistato degli appartamenti a Cortina d’Ampezzo. Mi disse: Vieni a vedere che bei posti sono questi! Io ero un po’ restìo. Qualche anno prima avevo fatto un lavoro sul Cervino, insieme a Rolly Marchi. Ma il Cervino non mi era piaciuto: è una montagna grigia, fredda, che ti guarda dall’alto in basso proprio per farti sentire piccolo e insignificante. Sul Cervino poi, non so come, avevo sempre i piedi bagnati. Sulle Dolomiti sono arrivato nell’85 e mi si è aperto un mondo. Le ho sentite subito dolci, accoglienti, capaci di abbracciarti. E mi sono detto: qui ne viene fuori un libro.
– Detto e fatto. Però non eri mai stato in montagna. C’è qualcuno che ti ha aiutato?
Sono andato a proporre il lavoro a Ilario Sovilla, proprietario della libreria d’arte di Cortina che ancora porta il suo nome (oggi è gestita dal figlio). Lui ha accettato, e mi ha presentato Massimo Spampani. Cortinese, giornalista, corrispondente del Corriere della Sera e allora molto giovane. È lui, gran camminatore e conoscitore di tutti i sentieri, che mi ha accompagnato alla scoperta delle Dolomiti. Il lavoro è andato avanti per tre anni. Ogni due o tre mesi, io lasciavo Milano e mi trasferivo a Cortina per una decina di giorni. Chiamavo Massimo, e partivamo per le nostre scorribande.
– Lui gran camminatore, tu un po’ meno… Come te la cavavi?
Massimo mi guidava e mi aiutava a portare l’attrezzatura. Pesava un bel po’, perché allora non c’erano le macchine digitali. Mi portavo dietro il banco ottico, gli obiettivi e il cavalletto. In pratica due valigie di roba. Lui vestito da montanaro, io da città: con il loden e le Church ai piedi. Ma ho visto cose talmente spettacolari, che non sentivo la fatica. Non mi accorgevo del tempo che passava.
In questo video, la presentazione del lavoro di Ennio Vicario:
– Il lavoro è durato davvero tanto. Tu e Massimo Spampani siete sempre stati una coppia affiatata?
Assolutamente sì. Lui si adattava alle mie esigenze, perché io mi fermavo ogni cinque minuti per montare la macchina. Solo una volta se l’è presa con me: mi ero arrampicato in un punto pericoloso per scattare una foto. Ricordo ancora le parole che mi disse: La montagna va rispettata!
– Tra l’altro poi è stato lui a scrivere i testi del tuo libro Luci e ombre nelle Dolomiti…
Sovilla in realtà avrebbe voluto che li scrivesse il conte Giovanni Nuvoletti. Ma io lo consideravo un personaggio da salotto più che un esperto di montagna. Il fatto è che in quegli anni Cortina era frequentata da personaggi particolari, erano i tempi delle feste di Marta Marzotto, e Sovilla avrebbe voluto un vip a firmare il libro. Mi aveva proposto anche Vittorio Sgarbi, che allora era un professorino di bell’aspetto, svelto di lingua e capace di saltare nei letti giusti. Ho detto: o lui, o io. Come molte altre volte nella vita, ho sbagliato. Sgarbi probabilmente avrebbe fatto “volare” le vendite del libro. Ma io ero legato a Spampani, che apprezzavo sia dal punto di vista umano che professionale.
– Che cosa ti ha affascinato così tanto delle Dolomiti da volerci fare un libro, a parte il fatto che le definisci “montagne accoglienti”?
Sono stato ammaliato dal modo in cui riflettono la luce. Un appassionato di montagna vede le rocce e i panorami. Io ho visto il gioco delle luci e delle ombre. Su quelle montagne ci sono condizioni particolari, diverse da ogni altro posto al mondo. Penso di averle fotografate con l’occhio dello stupore. Le Dolomiti del mio libro sono le montagne viste da un cittadino a cui si aprono all’improvviso davanti agli occhi panorami incantati.
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