Ettore Campana chiude un’altra tappa del suo progetto Scalo Sogni: 1.680 km lungo la Karakorum Highway per i bambini disabili della cooperativa Il Vomere di Travagliato (Brescia).
Di Ettore Campana avevamo già parlato in altri articoli. Con il suo progetto Scalo Sogni, questo giovane bresciano visionario ma con i piedi (o per meglio dire, le ruote) piantati bene a terra, ha dato vita a una serie di imprese organizzate per raccogliere fondi per i bambini malati o disabili. E anche per portare la loro voce in giro per il mondo, grazie ai chilometri macinati in bicicletta.
Lo scorso anno Ettore aveva pedalato sulle Alpi – alternando bici e alpinismo – e poi in Sudafrica. Quest’anno ha vissuto una nuova avventura di bikepacking e scialpinismo esplorando le montagne del Caucaso e raggiungendo i 5.054 metri del monte Kazbek. La missione che si era prefisso era quella di regalare ai bambini locali i braccialetti colorati realizzati dai ragazzi del centro educativo per disabili Il Vomere di Travagliato.
Com’è andata questa nuova avventura? Ve lo raccontiamo con le sue parole.
“Il viaggio lungo la Karakorum Highway si è rivelato più intenso ed inaspettato del previsto. Dal primo giorno sono stato bloccato dalla polizia che, per apparenti motivi di sicurezza, ha deciso di scortarmi. La situazione si è poi complicata in quanto il servizio di scorta è proseguito per diversi giorni, e l’umore degli agenti è peggiorato rapidamente. Essendo uno dei pochi turisti presenti e muovendomi in bicicletta, tutte le attenzioni erano rivolte su di me e non c’è stata possibilità di superare i posti di blocco senza essere fermato. Inoltre, in due occasioni sono stato obbligato a pedalare al buio su strade sabbiose e pericolosamente trafficate per seguire gli agenti fino in caserma, dove sono stato costretto a fermarmi per la notte. Per mia fortuna questa spiacevole esperienza è stata condivisa con Imran, un ciclo-viaggiatore di origini pakistane con cui ho pedalato durante la prima settimana di viaggio ed il cui aiuto è stato prezioso in quanto, parlando Urdu, poteva comunicare con gli agenti”.

“Dopo aver superato il Babusar Pass (4.173 metri), sono entrato ufficialmente nella KKH, la Karakorum Highway, la storica Via della Seta realizzata dalla Cina per favorire i traffici commerciali con il Pakistan. La strada, che si snoda come un serpente attraverso canyon rocciosi, è di rara bellezza e attraversa scenari mozzafiato al cospetto di montagne selvagge e severe. Mi sono separato da Imran perchè desideravo raggiungere il campo base del Nanga Parbat. Da lì ho salito una cima di 4.560 metri proprio sotto l’immensa parete nord, e ho avuto così la fortuna di ammirare una delle pareti di ghiaccio più vertiginose e impressionanti del mondo”.
“Ho proseguito il viaggio facendo i conti con diversi problemi meccanici, tra cui l’inefficienza dell’impianto frenante e svariate forature. I locali hanno sempre dimostrato grande supporto aiutandomi durante i gusti con tecniche di riparazione ingegnose e mai viste prima. In seguito ho deciso di addentrarmi nel cuore del Karakorum e raggiungere Skardu, la capitale alpinistica del Pakistan, dove speravo di incontrare altri alpinisti con cui condividere qualche ascesa”.
“Purtroppo la stagione dell’alta quota si era già conclusa, e ho quindi proseguito da solo per tentare di compiere delle salite in autonomia. Sono riuscito a scalare una montagna di 5.200 metri senza nome che ho chiamato Vomere Peak, dedicandola ai ragazzi del centro educativo per disabili di Travagliato. Infine, curioso di scoprire dove sarebbe finita la strada, ho raggiunto l’ultimo villaggio a fondo valle, esplorando paesini remoti e autentici ma anche molto spartani. Nelle guesthouse infatti mancavano riscaldamento e corrente, e l’acqua veniva conservata in barili malconci”.

“Per raggiungere Hushe, l’ultimo insediamento ai piedi del Mashebrum, ho pedalato lungo una stretta e ripida pista sabbiosa che mi ha costretto a spingere la bicicletta a mano in diverse occasioni. Con il supporto dei locali, sono riuscito a mettere in piedi una spedizione per tentare la salita di un 6.000 metri che non era mai stato scalato prima. Purtroppo, per via di un passaggio insuperabile, la spedizione si è conclusa a soli 3.900 metri, ancor prima di aver raggiunto il campo 1″.
“Per via del pessimo cibo consumato al campo base, una volta rientrato al villaggio ho iniziato a sentirmi male. Ho vomitato durante la notte e ho avuto acute scariche di diarrea che mi hanno debilitato molto. Da qui in avanti le energie non sono più tornate quelle di prima e proseguire il viaggio è stato fisicamente e mentalmente difficile. Dopo qualche giorno trascorso a Gilgit dove ho cercato di rimettermi, sono ripartito con un meteo variabile che stava preannunciando l’arrivo dell’inverno. Venti burrascosi e piogge frequenti hanno scacciato le belle giornate autunnali, che si sono fatte sempre più cupe e fredde”.
“Per via del malessere fisico e del meteo avverso, ho dovuto rinunciare a diversi obiettivi alpinistici che avrei desiderato tentare. Ho deciso così di concentrarmi su quello che rappresentava il traguardo finale, ovvero il raggiungimento in bicicletta del Khunjerab Pass, quota 4.693 metri, il punto culminante della strada KKH. Sebbene non mi sentissi in gran forma e fosse stata annunciata anche una bufera di neve, ho deciso di tentare il tutto per tutto e giocarmi la mia unica chance di affrontare la salita. Ero anche cosciente dell’aspettativa che gli amici del Vomere avevano nei miei confronti e ne sentivo la responsabilità”.

“Dopo una lunga e faticosa giornata, pedalando su piste ghiacciate ed innevate, sono riuscito a raggiungere il traguardo. Fortunatamente prima dell’arrivo della notte ho trovato un passaggio in autostop per percorrere a ritroso la tratta che mi aveva occupato l’intera giornata. Il raggiungimento dell’obiettivo più importante del progetto mi ha conferito fiducia, e ho quindi deciso di tentare di pedalare l’intera tratta della KKH concludendo il viaggio in Cina”.
“Per superare i primi 100 km è stato necessario prendere un mezzo pubblico caricandoci sopra la bicicletta, in quanto a nessuno è consentito attraversare in autonomia questa tratta severamente controllata. Il minibus, sovraccarico di persone e sotto una bufera di neve, è riuscito a fatica a condurci in cima al passo e a superare la frontiera”.
“Purtroppo però, una volta entrato in Cina e raggiunto il paese di Tashkurgan, il malessere intestinale è tornato a causarmi vomito, conati e diarrea acuta. Le energie sono scomparse al punto che non riuscivo più a bere nè a mangiare. Conscio che in quelle condizioni non sarei assolutamente stato in grado di tornare in sella, ho deciso di andare in ospedale dove i dottori, una volta esaminate le analisi, hanno riscontrato un’elevata concentrazione batterica nell’intestino. Dopo tre giorni di cure e infusioni, ho iniziato a sentirmi meglio e sono riuscito a mangiare. Ho quindi deciso di ripartire per completare il viaggio affrontando l’ultima sfida: il freddo”.
“Dopo appena 20 minuti dalla partenza, mani e piedi si sono completamente congelati e hanno perso sensibilità. Superato un passo dal nome illeggibile a quota 4.098 metri, è iniziata la gelida discesa sull’altopiano del Pamir al cospetto di montagne di oltre 7.000 metri, tra cui il Muztagata ed il Kongur Tagh. Ho attraversato valli meravigliose e disabitate, frequentate solo da cavalli, yak e cammelli“.
“Con energia e motivazione ritrovata, mi sono poi fermato al lago Karakol dove in due giorni ho concatenato diverse cime di oltre 4.000 metri. Infine è iniziata la lunga discesa fino a Kashgar, molto sofferta in quanto l’impianto frenante, che già era inefficiente, è andato completamente fuori uso per via del freddo, costringendomi a prestare la massima attenzione affinché la bicicletta non prendesse troppa velocità”.
“Questa avventura è stata contrassegnata da difficoltà e imprevisti che fin da subito hanno reso la realizzazione del progetto piuttosto complicata. Fondamentale, anche in questa occasione, è stato il supporto e l’affetto da parte dei ragazzi del Vomere e dei bambini del reparto oncologico dell’ospedale di Brescia, che mi hanno spronato a non mollare nei momenti di difficoltà e che non volevo deludere. Tutti e 40 i braccialetti realizzati dai ragazzi del Vomere sono stati regalati ai bambini locali, che hanno apprezzato con entusiasmo le loro stupende creazioni”.

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