Lo scorso anno, in occasione de Il grande sentiero avevamo incontrato Paul Pritchard, il climber gallese che dopo un grave incidente in parete non aveva rinunciato alla sua vita caratterizzata da avventure e sfide. Ed era stato proprio durante la sua conferenza che tutti i presenti avevano avuto modo di ascoltare l’intervento di un quarantenne piemontese – Fabrizio Bellino – che voleva ringraziarlo per l’esempio di forza e coraggio che rappresentava per tutti, normodotati e no, ma soprattutto per lui. Ed ora vi spieghiamo il perché.
Fabrizio vive a Manta, provincia di Cuneo, e dopo 35 anni di una vita da “normale” è stato colto da un ictus: ci sono voluti cinque mesi d’ospedale e molti mesi di fisioterapia, per recuperare in primo luogo una certa indipendenza, e a seguire l’accettazione di una nuova condizione, nella quale inventarsi progetti, traguardi ma anche sogni.
Il primo dei quali – primo, perché sono certo ne seguiranno altri – Fabrizio l’ha già pianificato e prenderà via il 30 agosto 2014, il giorno successivo al compleanno della moglie, con il primo giro di ruota del suo trike (il triciclo che permette una pedalata in posizione sdraiata) verso la Galizia, con la certezza di raggiungere da casa sua e dopo 35 tappe, Santiago de Compostela. Medico, preparatore atletico e un meccanico ciclista, oltre alle figlie per l’occasione supporter ufficiali, lo stanno già seguendo da alcuni mesi in questa lunga e faticosa preparazione che gli permetterà di percorrere oltre 1800 chilometri attraverso Italia, Francia e Spagna.
Il senso di questo viaggio, come è facile intuire, va ben aldilà della distanza, dei paesaggi, del pellegrinaggio e nasce da lontano, così come Fabrizio ci spiega: “Due anni fa sono andato a Santiago e mi sono trovato nella piazza davanti alla Cattedrale: la gente che varcava la sua soglia era invidiabile per la felicità che esprimeva, e fra i tanti pellegrini v’era anche uno svizzero con un trike, e quindi ecco l’idea di questo viaggio che dedico prima di tutto a me – perché è una grossa impresa e più sono grosse e più mi piacciono! – ma anche a tutti coloro che per via di un incidente si ritrovano a perdere le loro vecchie abitudini, invitandoli al contempo a scoprire che – malgrado tutto – ogni cambiamento può migliorarci. Da parte mia riesco già ad immaginarmi a Santiago: la prima cosa che ovviamente farò sarà “fermarmi” perché ne avrò abbastanza. Poi abbraccerò mia moglie, che mi seguirà fin là, e con lei mi siederò ai piedi della cattedrale, pensando a quante cose sono riuscito a fare in questi tre anni. La cosa che più mi emoziona è immaginare tutto quanto troverò nel cammino, e questo mi permette anche di esorcizzare possibili problemi fisici che potrebbero insorgere ed impedirmi di portare a termine la mia impresa. Non vedo l’ora di essere lì per dire, a tutti quanti e come si è soliti in quelle circostanze, “Buon cammino…pellegrino!”
Son bastate poche parole scambiate con Fabrizio per accordarci ed avere la sua collaborazione per questo articolo: lo sport è sempre scuola, ancor di più in circostanze come questa, dove raccontare di lui non vuole assolutamente essere una declinazione dei 15 minuti di celebrità di Warhol, ma piuttosto l’evidenza concreta e senza retorica della mia stima ed ammirazione per non essersi dato per vinto e per aver passato l’inverno chiuso in garage in sella alla bici sui rulli, con una media giornaliera di circa 50 km.
Qualora vi avessi incuriosito questa storia e vi venisse voglia di conoscere personalmente Fabrizio, sappiate che potrete incontrarlo dal 13 al 15 giugno in occasione di “C’è fermento”, il festival saluzzese dei birrifici artigianali durante il quale racconterà di questo suo viaggio e della sua esperienza personale. Oltre che – e questa è una mia ipotesi – fare scorta di vitamine del gruppo B, presenti nella birra e fondamentali per i processi muscolari!
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