Dieci giorni di primavera nella Sardegna occidentale, a “caccia” di falesie e alla scoperta di bellissime spiagge. Ecco com’è andata.
Ci sono dei luoghi impossibili da dimenticare, posti che rimangono addosso come una seconda pelle, che ci richiamano a sé con la loro forza e la loro energia. Per me, uno di questi è senza dubbio la Sardegna.
Dopo due inverni passati ad esplorare l’isola avvolta nel silenzio natalizio, quest’anno ho scelto di tornarci nel cuore della primavera insieme al mio ragazzo Fabio, durante le vacanze di Pasqua. Dieci giorni in una stagione in cui la luce del giorno si fa più intensa e lunga, l’acqua e l’aria appena più calde, abbastanza per poter godere le sue cale selvagge e turchesi, e le spiagge bianchissime.
Dopo lo scorso Capodanno passato ad esplorare la costa orientale dell’isola, alloggiando a Dorgali e spostadoci tra Olbia, Baunei e Nuoro, quest’anno, nostalgici di questa regione incredibile, ci siamo organizzati per visitare la costa occidentale. Inoltre, dopo due anni passati ad esplorarla in pieno inverno, volevamo viverla in una veste diversa, più luminosa, più viva.
Abbiamo scelto la Pasqua inseguendo l’idea di una primavera sarda fatta di sole, vento tiepido e giornate piene, trascorse tra le falesie e il mare. Così ha inizio il nostro viaggio. Partiamo alle quattro del mattino del 17 aprile da Milano, sotto una pioggia fitta e copiosa. Il bagagliaio pieno di cose: zaini, corde, scarpette d’arrampicata, una guida di vie e falesie ben consumata, regalataci a Natale dalla mia famiglia, e la voglia di lasciarci alle spalle tutto quanto.
Siamo sbarcati ad Olbia con due ore e mezza di ritardo: la nave aveva rallentato parecchio durate la traversata, per via del brutto tempo e del vento forte. Ci aspettavano ancora tre ore e mezza d strada verso sud-ovest, direzione Portoscuso, una località marittima situata nei pressi di Gonnesa.
Qui avevamo preso in affitto una bellissima casetta incastonata nella macchia mediterranea e immersa nel silenzio. Siamo arrivati sfiniti, con il sonno che ci chiudeva le palpebre, poco dopo mezzanotte. Ci siamo fiondati nel letto, e il mattino seguente siamo stati accolti da una meravigliosa e calda giornata sarda.

Un inizio a ritmo lento
Le nostre giornate iniziavano con lentezza: una colazione condivisa sul dondolo in terrazza o in cucina, e la preparazione degli zaini. A seconda del vento, del sole o della voglia di camminare, puntavamo verso pareti affacciate sul mare o immerse nell’entroterra, tra cave dismesse, antiche miniere e panorami incredibili. Ci spostavamo in macchina e in bicicletta percorrendo tutti i giorni la stessa strada affacciata sul mare.
Ci concedevamo pranzi al sacco distesi tra le rocce, bagni improvvisati nelle calette isolate, soste nei vari punti panoramici. Non c’era fretta, non c’erano obiettivi da spuntare: solo la voglia di stare bene, di sentire il corpo muoversi e la mente svuotarsi, questo almeno per me. Fabio, forse, avrebbe preferito qualcosa di più performante che si adattasse alla sua iperattività.
Ogni sera, poi, si cucinava insieme, si rideva, si riguardavano le foto della giornata. Fabio sfoderava il suo foglio Excel con l’elenco di tutte le falesie in cui voleva assolutamente scalare, e così ci mettevamo a pianificare le attività del giorno seguente. Rispetto alle ultime vacanze che abbiamo fatto insieme, quest’ultima ha avuto dei ritmi più lenti perché gli obbiettivi erano sostanzialmente diversi: rilassarci, perché entrambi arrivavamo da un periodo difficile, e per me, riprendere confidenza con la roccia. Infatti a gennaio mi ero infortunata al braccio destro e da allora non avevo più toccato la roccia, un po’ per timore, un po’ per ordine del medico.
I primi due giorni abbiamo sostanzialmente esplorato la zona. Il primo giorno abbiamo preso le bici e abbiamo fatto un giro lungo la costa su una stupenda ciclabile immersa nella macchia mediterranea, che dal centro abitato ci ha portato su di un promontorio. Da qui si può osservare lo stupendo panorama sulle tonnare e l’isola di Carloforte. Inoltre l’area è caratterizzata da strutture belliche risalenti alla Seconda Guerra Mondiale: bunker, postazioni di difesa antiaerea e torrette d’avvistamento.
Il giorno seguente invece ci siamo spinti fino a Capo Pecora. Caricata la macchina con l’idea di andare in mattinata a fare un trekking che ci avrebbe portato alla Spiaggia delle Uova di dinosauro e nel pomeriggio scalare alla falesia Mikado, siamo partiti verso le dieci. Arrivati, il paesaggio si apre vastissimo e l’area ospita una flora e fauna variegata: fiori rari, il falco pellegrino e tanto altro. La spiaggia si presenta come una distesa di ciottoli enormi levigati dalle onde del mare, che ricordano appunto delle uova giganti di dinosauro, e l’acqua è di un azzurro intensissimo.
Dalle spiagge alle falesie di Sardegna
Abbiamo visitato, oltre alla Spiaggia delle Uova di dinosauro, anche Cala Domestica (foto di apertura), Cala Lunga, la spiaggia di Portopaglietto, Portu Cauli. L’ultimo giorno, tornando verso Olbia, abbiamo fatto tappa alla spiaggia di Cala Gonone. Tra tutte, Cala Domestica è stata senza dubbio la più bella.

Cala Domestica si apre come un piccolo fiordo sabbioso all’interno di un’insenatura che un tempo ospitava attività minerarie. I resti di queste strutture sono ancora visibili tra le dune e danno alla baia un aspetto unico: un misto di bellezza naturale e memoria storica. L’acqua qui è limpida e turchese, mentre la sabbia dorata contrasta con le rocce scure che la circondano.
Un breve sentiero scavato nella roccia conduce a Cala Lunga, una caletta nascosta e ancora più raccolta, dove si trovano i resti di un piccolo molo usato per caricare i minerali estratti dalle vicine miniere. È un luogo silenzioso e protetto, perfetto per chi ama la quiete. Qui abbiamo gustato il nostro pranzo al sacco e ci siamo tuffati nell’acqua cristallina inaugurando così la stagione dei bagni al mare.
In dieci giorni, ovviamente, non ci siamo limitati a esplorare solo le spiagge, ma anche alcune delle falesie più interessanti della zona. Oltre al famoso Mikado a Capo Pecora, abbiamo scalato anche al Muro Divino, che si trova sopra la città di Gonnesa, nelle vicinanze della falesia Superquarz. Il Muro Divino è una falesia storica della Sardegna, situata in una posizione che consente di avere una vista spettacolare sul paese sottostante e sulle colline circostanti.
Proseguendo verso l’entroterra, ci siamo diretti in direzione Domusnovas, un piccolo paese situato tra le montagne del Sulcis. Qui, abbiamo scalato all’Arrampicantro, una falesia meno conosciuta ma affascinante, che si trova proprio sopra la Grotta di San Giovanni, una delle più importanti grotte carsiche della Sardegna. Famosa per essere la grotta naturale più lunga al mondo, è un luogo di grande interesse visto che è stata scavata e modellata dal rio San Giovanni, e all’interno di essa e tutt’intorno si trovano alcune vie sportive.

Restando sempre lungo la costa, una delle tappe più belle è stata quella al Castello dell’Iride, situato sopra Porto Flavia. Questa è una straordinaria opera di ingegneria mineraria situata nel comune di Iglesias, nella fazione di Masua. Fu progettata per facilitare il carico dei minerali estratti dalle miniere circostanti. Oggi è possibile visitarla con le guide percorrendo la galleria superiore del sito.
Questa falesia non solo offre ottime vie di arrampicata su di un calcare spettacolare che crea piccole fessure e buchi, ma regala anche una vista spettacolare sul Pan di Zucchero, il famoso faraglione che svetta in mezzo al mare.
L’ultimo giorno, prima di tornare verso Olbia, ci siamo diretti a Cala Gonone. Lì, abbiamo fatto tappa a Biddriscottai, una falesia molto apprezzata per le sue vie strapiombanti su calcare rossiccio che vanno dal 5b all’8a+.
Insomma questi dieci giorni sulla costa occidentale della Sardegna ci hanno permesso di viverla in una stagione nuova, con ritmi diversi, e con uno sguardo forse più consapevole. Abbiamo trovato esattamente quello che cercavamo: spazio, luce, silenzio, e la libertà di muoverci senza fretta.
La scelta di partire in primavera, invece che in pieno inverno come negli anni precedenti, ha dato al viaggio un tono diverso: più morbido, più disteso, perfetto. Ci siamo salutati con la solita promessa (“il prossimo viaggio lo organizziamo presto”) e la sensazione che, al di là delle destinazioni, è il modo in cui si viaggia insieme che fa la differenza.

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