Quest’anno la Rovaniemi 300, uno dei più massacranti ultra trail artici, è stata la gara delle donne. E a spiazzare i concorrenti non è stato il gelo, ma la pioggia e le alte temperature. Ecco il racconto del nostro Max Marta, che è arrivato al traguardo insieme al tedesco Walter Hoesch.
Donne veloci e tenaci. Donne davvero straordinarie alla Rovaniemi 300. Donne capaci di arrivare al traguardo davanti a tutti i concorrenti maschi, in una gara che per lunghezza (315 km) e per difficoltà (si corre in Lapponia in pieno inverno, e ad oggi solo 13 persone – vale a dire 8 in totale per le precedenti 4 edizioni, ovvero 2 all’anno – l’hanno portata a termine nella versione “a piedi”!) è tra le più massacranti nell’ambito degli ultra trail artici.
La prima di queste donne è l’italiana Marta Poretti, che a Rovaniemi ha fatto una prestazione davvero incredibile. Marta non solo è riuscita a mettere dietro di sé tutti i concorrenti a piedi, ma anche quelli in fat-bike (solo il primo e il secondo sono riusciti a superarla!), stabilendo il nuovo record della gara: 3 giorni, 6 ore e 15minuti. La seconda invece è Rachel Frei, svizzera, anche lei veterana delle lunghe distanze artiche e in particolare della Rov300. Marta e Rachel sono arrivate prima e seconda assolute della categoria a piedi, e con i loro risultati hanno sancito quello che oramai sta diventando sempre più una realtà concreta: le donne nelle lunghissime distanze battono sempre più spesso gli uomini.

Per quanto riguarda la mia gara (sì, sono uno di quegli uomini che è arrivato dietro alle due ladies, secondo nella categoria uomini a piedi insieme al mio compagno di avventura Walter Hoesch) devo dire che quello che mi ha stupito e che mi ha messo anche maggiormente in difficoltà sono stati il caldo e la pioggia. Prepararsi per un arctic ultra trail significa allenarsi in ambiente sempre sotto lo zero, testando tutti i vari materiali che verranno utilizzati in condizioni di gelo estremo. E come ricorderete dai miei precedenti report è quello che ho fatto nei mesi scorsi, forte anche dell’esperienza dell’Iditarod in Alaska l’anno scorso e della ROV150 l’anno prima.
Grazie a questo lungo allenamento ero pronto ad affrontare tutto: neve, ghiaccio, freddo oltre i 30 gradi sotto zero. E invece? Invece in Lapponia ho toccato con mano il fatto che il riscaldamento globale non è una leggenda metropolitana, ma una tragica e preoccupante realtà di cui dobbiamo prendere coscienza e trovare soluzioni immediate per cercare di risolvere questa situazione.

I primi due giorni infatti la temperatura ben sopra lo zero e la pioggia battente hanno reso le neve molle e creato pericolosi buchi nei lunghi tratti in cui il percorso attraversava fiumi e laghi. Spingere la slitta è già difficile, se poi la neve è molle diventa una tortura perchè bisogna spingere con tutte le proprie forze per evitare che s’impantani. Ma è stato l’overflow – cioè il rischio di affondare – la paura maggiore che mi ha accompagnato in tutta questa gara, soprattutto la notte quando la visibilità limitata rendeva il passaggio sui laghi un vero e proprio incubo. Sentire il ghiaccio scricchiolare e rompersi sapendo di essere imbragati ad una slitta che – a causa della pioggia – pesava oltre 50 kg, sapendo di avere sotto di sé un lago profondo o un fiume, è una sensazione terribile.
Per fortuna ho coperto una lunga parte del tragitto con il concorrente tedesco Walter Hoesch, guida alpina, con cui abbiamo fatto team di fronte alle condizioni meteo così sfavorevoli. Ci eravamo già presentati al briefing per i pochi concorrenti della 300 km. Avevamo, a pelle, capito di avere qualcosa che ci accomunava. Ci eravamo scambiati poche opinioni sulle quali eravamo in totale accordo. E poi ero felice di poter parlare con lui in tedesco, cosa che pensavo di fare con il concorrente altoatesino che invece alla fine non è partito.
In gara, poco dopo la partenza, lasciati sfilare i concorrenti della Rov66 e della Rov150 che avevano meno esigenze di noi di dover centellinare le energie, ci siamo subito trovati “slitta a slitta”. La prima notte, Walter si è fermato a fare la pausa di due ore al km 70 mentre io ho proseguito fino al km 80, per poi ritrovarmelo accanto la mattina.
Stessa pausa di due ore e stesso passo. Avanti affiancati fino al km 140, ultimo way-point in comune con la Rovaniemi150 e altra pausa notturna. Insieme abbiamo lasciato sfilare i way-point dal 9 al 12, quelli tra i quali era vietato fermarsi pena squalifica, ovvero quelli in cui il fiume che si percorreva lambiva la cittadina di Rovaniemi. Ha voluto lui testardamente allungare il lunghissimo terzo giorno per raggiungere a notte fonda, ben oltre l’una del mattino, una minuscola cabin in legno che ci ha accolto con il suo “tepore”, nonostante questo abbia significato aggiungere al percorso circa un’ora di cammino perché si trovava lontano dal percorso di gara.

Il quarto giorno una forte nevicata ci ha preso nel mezzo della notte, e qui sono stato io a trovare due giacigli bordo sentiero, dove abbiamo aperto i nostri sacchi bivacco e sacchi a pelo e ci siamo riparati per quattro ore. Poi la volata finale nei 25 km di fiume ghiacciato verso Rovaniemi, con Alex Casanovas, l’ideatore e il direttore della gara, che ci affianca con la sua motoslitta per scattare alcune foto.
La Rovaniemi300 (assieme alle sue sorelle minori la Rov66 e Rov 150) è una gara unica nel suo genere in Europa. Ed è davvero straordinaria per il percorso, per le difficoltà che si devono affrontare, per il paesaggio magnifico e selvaggio. È una gara dura, che richiede una grande preparazione per essere “portata a casa”. Ma soprattutto, grazie alla dedizione e all’impegno del suo direttore, Alex Casanovas, è perfettamente organizzata in ogni singolo dettaglio (dal briefieng iniziale all’arrivo a Rovaniemi). Grazie a lui e al suo team, perché ogni anno lavorando come dei matti creano questo evento magnifico!
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