Nell’estate del 1838, la contessa Henriette d’Angeville decide di scalare il Monte Bianco. Dal suo diario è stato tratto oggi un appassionante spettacolo teatrale prodotto da AltaLuce.
Prima di parlare di Henriette d’Angeville e della sua avventura, va fatta una precisazione. Nonostante la contessa francese passi per essere stata la prima donna a mettere piede sul Monte Bianco, il primato spetta in realtà a Marie Paradis, una cameriera di Chamonix senza alcuna esperienza di alpinismo, che aveva accettato di unirsi a un gruppo di scalatori pensando che la fama acquisita le avrebbe fatto guadagnare qualche mancia in più.
Marie Paradis arrivò in cima più morta che viva, praticamente portata in spalla dai compagni, implorando di essere buttata in un crepaccio e lasciata morire. Henriette d’Angeville, invece, conquistò la vetta con le sue forze. Per questo è considerata a tutti gli effetti la prima donna ad avere messo piede sulla testa di Sua Maestà il Monte Bianco.
Questo avvenne esattamente 30 anni dopo la sofferta ascesa di Marie Paradis. Vale a dire nel settembre del 1838. Henriette aveva 44 anni, non era sposata (rifiutò per tutta la vita di convolare a nozze) e raggiunse la cima vestita con una gonna, con l’aiuto di un bastone e di 12 persone tra guide e portatori. L’impresa fu commentata all’epoca con un misto di sorpresa e toni sprezzanti. Una guida di Chamonix al suo ritorno le disse: “Avete avuto il grande merito di andare sul Monte Bianco, ma bisogna convenire che il Monte Bianco ne avrà molto meno ora che anche le signore possono scalarlo”.
Su un taccuino verde (il suo Carnet vert), Henriette d’Angeville aveva registrato tutti i dettagli dell’impresa: la preparazione, i commenti, le critiche, il percorso, le emozioni, le considerazioni “a freddo” dopo il rientro. Un diario prezioso, spesso ironico e divertente, che la contessa avrebbe voluto pubblicare. Si rivolse anche ad alcuni pittori di Ginevra affinché realizzassero chine e acquerelli con cui accompagnare il testo. Ma non trovò editori, e decise quindi di conservare l’opera per sé.
Solo nel 1986, in occasione del secondo centenario della prima ascensione alla vetta del Monte Bianco da parte di Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard, una discendente di Henriette d’Angeville propose il diario all’editore Arthaud, che lo pubblicò finalmente l’anno successivo. In seguito l’opera è stata tradotta anche in italiano con il titolo Io, in cima al Monte Bianco.
Ora il testo è stato portato sul palcoscenico grazie al lavoro di Elizabeth Annable, attrice e fondatrice dello spazio teatrale AltaLuce di Milano. Una performance particolare sotto molti punti di vista, perché anche Annable è un’alpinista (ha scalato diversi Quattromila), e in più si è affidata per la regia a Monica Faggiani, appassionata di sport al femminile (ha firmato tra l’altro uno spettacolo dedicato ad Alfonsina Strada, pioniera delle corse in bicicletta).

La storia di Henriette d’Angeville raccontata in prima persona
Il testo teatrale, molto fedele al diario, è come questo un racconto in prima persona di Henriette, a partire da quando arriva a Chamonix per cercare le guide che dovranno accompagnarla in cima al Monte Bianco. Sono passati quasi 200 anni, da quando la contessa ha dovuto tenere testa alle critiche di chi la considerava solo una ricca “zitella” a caccia di notorietà. Ma le dinamiche sono purtroppo cambiate di poco. Per questo sia il libro che lo spettacolo teatrale risultano quanto mai attuali.
Annable veste i panni di Henriette facendoli propri, e il monologo corre sulle pagine del libro. “I sostenitori furono pochi. Uno in famiglia. Un altro fra gli amici. E fra i venticinquemila abitanti di Ginevra avrei potuto citarne fino a tre. Totale: cinque!”.
Da sempre appassionata di montagna e grande camminatrice, Henriette d’Angeville aveva stilato una minuziosa lista delle cose da portare con sè durante l’ascensione. Tra queste: un foulard, due paia di calze di seta, due paia di calze di lana, un paio di guanti di maglia coll’interno in pelliccia, un boa, un gran cappello di paglia di Chamonix foderato di stoffa verde e dotato di quattro fermagli, una maschera di velluto nero, uno scialle scozzese, un cappotto foderato di pelliccia, un flacone di acqua di colonia, una scatola di pomata al cetriolo, un guanciale di gomma morbida, un piccolo specchio.
Il racconto procede fino a che la voce di Henriette e quella di Elizabeth diventano una sola. Alla fine è Annable a parlare, raccontando delle sue ascese, della sua vita legata alla stessa corda della guida, del “sacro furore” che l’ha portata a salire in alto anche il giorno prima della fecondazione che l’ha resa madre. Non incoscienza, non voglia di stupire.
Piuttosto, come scrive Henriette, “non fu la fama meschina di essere la prima donna ad aver arrischiato quel genere di avventura a darmi quell’euforia; fu piuttosto la consapevolezza del benessere spirituale che ne sarebbe conseguito”. La grande impresa della contessa d’Angeville fu quasi dimenticata, ma lei non smise mai di arrampicare. Dopo il Monte Bianco, scalò altre 21 vette. L’ultima quando aveva 69 anni: l’Oldenhorn, sulle Alpi Bernesi. Elizabeth Annable, invece, dopo avere dato vita sul palco a Henriette punta adesso a ripercorrere fino in fondo i suoi passi. Prossima tappa: la cima del Monte Bianco.

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