Il 1° marzo anche il nostro Max Marta era al via dell’Iditarod Trail Invitational. Una gara nel cuore dell’Alaska per percorrere – a piedi, in bici o con gli sci – una distanza di 350 o di 1.000 miglia. La sfida più dura al mondo.
Due giorni fa, il 1° marzo, è partita quella che è forse la più difficile sfida agonistica del mondo: l’Iditarod Trail Invitational. Tanto per avere un’idea, sono più numerose le persone che salgono in un pomeriggio sulla cima dell’Everest, rispetto a quelle che arrivano al traguardo in bicicletta a Nome, nel cuore dell’Alaska. Questo almeno è quello che riporta il documentario Safety to Nome, realizzato nel 2017.
Sono passati tre anni, ma la formula è sempre quella. Anche quest’anno la possibilità di scegliere tra due diverse distanze: 350 oppure 1.000 miglia. Vale a dire 563 oppure 1609 chilometri. Da coprire – a scelta – con gli sci di fondo, con la fat-bike oppure a piedi, trascinandosi dietro una pulka (la slitta dove si trasporta tutto l’occorrente per la sopravvivenza).
Safety to Nome, il documentario sull’Iditarod Invitational
Anche il nostro Max Marta alla partenza della 350
Max Marta, uno dei collaboratori di Action Magazine, ha già sperimentato lo scorso anno questa gara micidiale. Un “assaggio” con la formula 130 miglia (che in questa edizione non è stata replicata). Per potersi presentare quest’anno alla partenza della 350 avendo bene in mente che cosa lo avrebbe aspettato.
Max, che non è un atleta professionista, si è preparato a lungo. Trascorrendo tutti i suoi weekend in montagna, in mezzo alla neve, per allenarsi a dovere. In questo momento è impegnato nella gara, e potete seguirlo live sul sito dell’Iditarod.

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Quest’anno l’Iditarod festeggia la 20a edizione. In genere gli atleti coinvolti impiegano dalle due settimane a un mese per completare la gara. E nonostante molti di loro non siano alla prima esperienza, arrivare in fondo è davvero un terno al lotto.
Le temperature hanno una media di -10. Ci sono tempeste. C’è la neve. Bisogna affrontare laghi ghiacciati e il pericolo di incontri ravvicinati con animali selvatici poco amichevoli. Insomma una sfida non solo con se stessi, ma anche con la natura al suo stato primordiale.

Iditarod, una gara a cui si partecipa anche per abbandonare la routine
Man mano che la gara procede, il numero dei concorrenti diminuisce. Colpa della stanchezza, delle infezioni, dei congelamenti. Nel documentario Safety to Nome, si vede anche un atleta a cui si è staccato un pezzo di orecchio togliendo il cappello. Ma nonostante questo, non è convinto di dover abbandonare la competizione.
Perché si partecipa a una gara che agli occhi dei più appare semplicemente folle? Molti in realtà la considerano un’evasione dalla vita quotidiana. Ritengono sia più facile correre tra i ghiacci che accudire un bambino (come afferma nel documentario Kevin Breitenbach). Oppure apprezzano il fatto di non dover trascorrere la giornata a rispondere al telefono e alle e-mail.
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