Uno spettacolare skitour tra il Civetta, il Pelmo, le Cinque Torri, il Sella e la Marmolada. Sulle montagne che fra la primavera del 1915 e l’autunno del 1917 videro schierati gli uni di fronte agli altri Alpini e Kaiserjäger. In tutto 82,5 km, di cui 31 si percorrono con gli sci ai piedi; 18 sugli impianti; 32 in skibus; 1,5 attaccati a una slitta trainata da cavalli.
L’appuntamento è alle otto. Giusto il tempo per un caffè, e si monta sul Van. Gottfried Schgaguler (il proprietario dell’hotel Schgaguler di Castelrotto) carica gli sci, butta i bastoncini all’interno e si mette al volante canticchiando. Ci vogliono circa 20 minuti, da Castelrotto a Selva di Val Gardena.
Non c’è una nuvola in cielo, e i finestrini sono gelati. Buon segno: la neve sarà perfetta, e lo spettacolo assicurato. Fa un certo effetto, essere i primi a presentarsi allo sportello della cabinovia Dantercepies, e poi a inanellare curve sulla pista ancora vergine che porta a Corvara attraverso il passo Gardena.
Oltre 80 km tra le cime più belle delle Dolomiti
Del resto oggi non si può temporeggiare. Il programma è denso: bisogna macinare più di 80 chilometri. «Niente di complicato, tranquilli», assicura Gottfried. Non lo sa nemmeno più, lui, quante volte ha accompagnato gli ospiti del suo albergo allo Skitour della Grande Guerra. Ma ogni volta è come se fosse la prima.
Senza perdersi a esplorare le varianti, il giro è lungo per la precisione 82 chilometri e mezzo. Di questi, 31 si percorrono con gli sci ai piedi; 18 sugli impianti; 32 in skibus, e uno e mezzo attaccati a una slitta trainata da cavalli. Il percorso si snoda tra montagne come il Civetta, il Pelmo, le Cinque Torri, il Sella e la Marmolada. Sono le cime che tra la primavera del 1915 e l’autunno del 1917 videro schierati gli uni di fronte agli altri Alpini e Kaiserjäger austriaci.
Una deviazione sulla Marmolada, la regina delle Dolomiti
Sono passate da poco le nove, quando si arriva al Bec de Roces. Siamo sopra i 2000 metri, al cospetto del Piz Boè. Da una parte le montagne della val Gardena, dall’altra quelle della val di Fassa. Il sole è ancora basso, e la neve sotto gli sci scricchiola. Un bicchiere di “schnaps” (la grappa aromatizzata alle erbe o alla frutta) scalda le gambe e il cuore.
La discesa verso Arabba è un piacere. Una volta in fondo, vale la pena di fare una piccola deviazione e salire con la funivia fino a Porta Vescovo. Giusto per godere il panorama da quasi 2500 metri di altezza e ammirare soprattutto lei, la regina delle Dolomiti: la Marmolada.
E a proposito di Marmolada, poco più in là, arrivati al passo Fedaia, se si è partiti al mattino per tempo ci si può concedere un altro extra: con tre impianti di risalita (una seggiovia, uno skilift e una funivia) si arriva proprio in cima, a ben 3.240 metri. Ma niente paura, la “regina” è clemente: scivolarle lungo i fianchi non richiede capacità tecniche particolari: sono chilometri di puro divertimento.
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Slalomando sulla neve farinosa, si arriva a Malga Ciapela. Qui inizia – o meglio inizierebbe – la parte forse più suggestiva dell’itinerario, cioè i Serrai di Sottoguda. Una zona poco battuta dagli sciatori, che fino a due stagioni fa riservava grandi emozioni. Un po’ a spazzaneve e un po’ accennando qualche curva a serpentina, ci si infilava per il sentiero che corre lungo la val Serrai: uno stretto canyon su cui strapiombano rocce verticali.
Purtroppo oggi, a seguito della terribile tempesta Vaia dell’ottobre 2018, la zona dei Serrai è chiusa per motivi di sicurezza. Peccato davvero, perché lo spettacolo era imperdibile. Tra dicembre e gennaio, le pareti di pietra sono coperte da cascate di ghiaccio che arrivano fino a terra. Era un paradiso per gli ice-climber, che affollavano questa gola dove non batte mai il sole.
Una volta in fondo alla val Serrai, arrivati a Sottoguda, si trovava lo skibus per Alleghe. Adesso lo si prende a Malga Ciapela, dopo l’eventuale “extra” sulla Marmolada.
Sulla terrazza del rifugio Averau
Ormai manca poco al momento del pranzo: si tratta di prendere la telecabina e le seggiovie che portano a Pescul (1415 metri). Da qui, un altro skibus conduce a Fedare (quota 2000). Ancora una seggiovia, ed eccoci arrivati al rifugio Averau: la sua terrazza è un belvedere dove nelle giornate di sole si può stare in maniche di camicia anche se è pieno inverno.
Il panorama è da urlo. Siamo al cospetto delle Cinque Torri. Lo sguardo spazia da un lato verso le Tofane, dall’altro verso il Pelmo e il Civetta. Il profumo di un piatto appetitoso, una bottiglia di Lagrein sul tavolo. Il giro di grappe chiude il pranzo, che la tabella di marcia impedisce purtroppo di prolungare.
Una bella discesa al cospetto delle Tofane e del Cunturines porta al passo Falzarego. Da qui, con la funivia, si sale in cima al Lagazuoi. Quota 2752 metri, e Cortina poco più in là (è vicinissima, ma nascosta dal massiccio delle Tofane). Pochi minuti per abbracciare con gli occhi le montagne intorno, e via lungo la pista che porta all’Armentarola.
All’Armentarola ci si fa trainare dai cavalli
Una discesa tranquilla, che a tratti costeggia pareti coperte da cascate di ghiaccio dai riflessi verdini. Un po’ alla volta, il pendio si addolcisce fino a trasformarsi in pianoro. E allora bisogna darsi da fare con i bastoncini. Qualche passo pattinato, ed ecco i cavalli da tiro che aspettano. Due animali enormi, forti come bisonti.
Trascineranno gli sciatori per quasi due chilometri, fino allo skilift che parte dall’Armentarola. Ci si afferra alle corde annodate che penzolano dietro la schiena dei cavalli, e quando il vetturino fa schioccare la frusta si parte. Ogni bestia tira una ventina di persone, disposte una dietro l’altra su due file.
Sulla Gran Risa, la pista di Coppa del Mondo
Ormai siamo in dirittura d’arrivo. Bisogna accelerare il passo, o si rischia di perdere l’ultima corsa degli impianti che devono riportarci al passo Gardena. Un breve skilift, e poi la discesa che conduce a San Cassiano. A questo punto Gottfried ammicca: «Forse ce la facciamo…». Si dirige verso la telecabina che porta al Piz Sorega, ma una volta in cima, invece di puntare subito su Corvara indica con il bastoncino un’altra pista: «Forza, questa è bella…vale la pena di perdere dieci minuti in più». “Questa” è la Gran Risa, la discesa di slalom gigante di Coppa del Mondo. Salti, gobbe e muri con una pendenza fino al 53%. Gottfried parte intonando uno yodler, e gli altri seguono a ruota (ognuno come può, per la verità).
Ritornati in cima, si punta finalmente verso Corvara. Ormai la stanchezza si fa sentire. Oltretutto, sono quasi le quattro e mezza. Gli impianti cominciano a chiudere. Da Corvara, riusciamo a prendere l’ultima telecabina che porta al passo Gardena, ma nemmeno le insistenze (tra l’altro in tedesco) di Gottfried riescono a convincere l’addetto a riaprire la seggiovia che porta in cima alla Dantercepies. Niente da fare: troppo tardi.
Slitte a motore per i ritardatari
Mentre il cielo invernale comincia a scurire, guardiamo sconsolati i 500 metri di pista (in salita) che ci separano dalla stazione d’arrivo della seggiovia. Stiamo già per accingerci a mettere gli sci in spalla, quando piombano rombando alle nostre spalle due slitte a motore. Erano lì ad aspettare i ritardatari, come fanno tutte le sere.
Dieci euro a testa, un minuto di adrenalina a mille, ed eccoci in cima. Il sole è sparito dietro le montagne. La Dantercepies è lì, ai nostri piedi. In fondo, le luci di Selva sembrano un presepe. Scendiamo lentamente, assaporando ogni curva. La neve sta cominciando a indurire. Appena un poco: una crosticina friabile che si frantuma a ogni scodinzolata. Quando arriviamo in fondo, è buio. Nel parcheggio è rimasto solo il nostro Van.
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