Emma De Franco racconta la sua esperienza sul Gran Paradiso insieme ai ragazzi del CAI (Club Alpino Italiano).
Se vi piace camminare in montagna e vorreste conoscere persone che come voi condividono questa passione, oppure non avete alcuna esperienza e vorreste cominciare gradualmente ad approcciarvi all’ambiente montano, non c’è modo migliore che iscriversi al Club Alpino Italiano (CAI). Questa associazione presenta sezioni ovunque in Italia e gruppi suddivisi per fasce d’età.
Il Club Alpino Italiano ha una storia centenaria. Viene fondato nel 1863 ad opera di un manipolo di appassionati di montagna, tra cui il professore e alpinista Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi. L’idea era quella di creare un’associazione che promuovesse l’alpinismo, la valorizzazione delle montagne italiane e l’escursionismo. La prima sede ufficiale viene aperta il 23 ottobre 1863 a Torino, in una sala del castello del Valentino. Qui si riunivano in assemblea i primi 40 soci, i quali crearono le basi e fissarono i valori fondanti del CAI. Nonostante gli obiettivi dell’organizzazione siano molteplici, possono essere sintetizzati così: “promozione dell’alpinismo e dell’escursionismo”, “tutela dell’ambiente montano”, “formazione e sicurezza”.
Oggi il CAI è un’associazione nazionale che conta numerosi gruppi locali, divisi per regione e chiamati “sezioni”, e annovera migliaia di soci. Ogni sezione è autonoma, ma tutte fanno parte di una struttura centralizzata che le coordina. Le sezioni si occupano principalmente di organizzare escursioni, corsi di formazione e altre attività. All’interno di una sezione è possibile trovare più gruppi che si differenziano sia per le attività praticate sia per la fascia d’età.
La nostra uscita al Gran Paradiso con il CAI
Da piccola ero iscritta al gruppo di alpinismo giovanile del CAI di Saronno, formato da ragazzi dagli 8 ai 17 anni. Appena raggiunta la maggiore età, mi sono iscritta al gruppo Juniores, sempre della stessa sezione. Ogni anno i referenti del nostro gruppo (Irene, Gioele, Cristina e Matteo) preparano e presentano il programma delle escursioni e delle attività, che comprendono tantissime opzioni: escursionismo, MTB, ferrate, grotta, arrampicata e alpinismo. Un programma veramente vasto e ricco, che include anche serate di teoria e incontri culturali in sezione.

Tra tutte queste attività, l’uscita più bella e significativa dell’anno scorso è stata sicuramente quella al Gran Paradiso. Per partecipare è stata fatta una selezione, che teneva conto di diversi fattori, tutti finalizzati a garantire la giusta sicurezza durante i due giorni in alta montagna. Questa selezione non si è basata su prove fisiche o su un curriculum alpinistico pregresso, ma su requisiti di altro tipo. In primo luogo, era richiesta una buona preparazione fisica, questo perché il dislivello da affrontare e l’altitudine lo richiedevano. In secondo luogo, era richiesta la partecipazione alle serate teoriche propedeutiche, durante le quali abbiamo imparato e ripassato le basi fondamentali e imprescindibili della progressione su ghiaccio (come i nodi, le legature, il materiale, la gestione della picca e dei ramponi). Infine, per consolidare quanto appreso nelle serate teoriche, è stata organizzata un’uscita sul ghiacciaio del Morteratsch, dove abbiamo avuto l’opportunità di mettere in pratica sul campo le tecniche apprese e di acquisire maggiore familiarità con l’ambiente.
L’uscita si sarebbe dovuta svolgere ai primi di luglio. Tuttavia – un po’ per il meteo, un po’ per “sfiga” – alla fine era stata rimandata al weekend del 14-15 settembre. Scelta non proprio felice perché significava salire in quota a fine stagione, con un meteo che preannunciava basse temperature. Vi racconto com’è andata.
L’arrivo al Rifugio Vittorio Emanuele II
Ci ritroviamo alle 8:00 di mattina al parcheggio davanti alla sede del CAI Saronno, in via Parini. Ci dividiamo in macchine da quattro o cinque persone, e ci dirigiamo verso la Valle d’Aosta. Il Gran Paradiso è la principale montagna del massiccio omonimo, ed è la cima più famosa delle Alpi Graie. Con i suoi 4061 metri di altezza, è anche la vetta più alta del Parco Nazionale del Gran Paradiso, istituito nel 1922. La sua ascensione, passando per il Rifugio Vittorio Emanuele (2732 metri), è considerata una delle più classiche e accessibile delle Alpi. Ma ci sono anche altre vie che richiedono maggiori competenze tecniche e sono decisamente più difficili.
Il nostro programma prevedeva di spezzare la salita in due giorni. Il primo giorno partendo da Pont Valsavarenche e arrivando al rifugio Vittorio Emanuele II; il secondo, partendo dal rifugio e arrivando alla cima, e poi da qui scendendo al parcheggio, per un totale di 2101 metri di dislivello.
Arrivati a Pont Valsavarenche verso le 11 di mattina, dopo una breve pausa ci incamminiamo lungo la vecchia mulattiera che in circa due ore ci porta al rifugio. Lungo la salita si chiacchiera, si guarda il bellissimo panorama e si scatta qualche foto. Arrivati al rifugio, ci mettiamo rilassati al sole a mangiare fino a quando Irene, una delle referenti del gruppo, non ci chiama per consegnarci le chiavi delle stanze. Le possibilità sono due: dormire in una stanza da quattro o nella camerata all’ultimo piano del rifugio. Io finisco in una camera con Cristina, Angela e Silvia. Migliori compagne non mi potevano capitare. Nessuna di loro per fortuna russa (problema da non sottovalutare quando si dorme in rifugio) e sono tutte e tre splendide giovani donne che ho potuto conoscere un po’ meglio.

Sistemato il materiale nelle cassette apposite al piano di sotto e portati gli zaini in camera, ci fermiamo un po’ a chiacchierare e poi usciamo dal rifugio con gli accompagnatori, che nel frattempo hanno preparato tutto il materiale per farci ripassare le tecniche di base che avevamo imparato i mesi prima. Cioè come legarsi su ghiacciaio e come fare i nodi a palla.
La cena è un bel momento di condivisione. Tutto il gruppo insieme a scaricare un po’ la tensione prima del grande giorno e a mangiare il più possibile per immagazzinare scorte di energia. Poi ci ritiriamo nelle camere e il sonno ci prende pian piano.
Pronti? Partenza per la vetta del Gran Paradiso
La sveglia rimbomba fortissima la mattina presto nella camera rivestita di legno. Troppo presto per poter formulare qualche frase di senso compiuto. Tuttavia bisogna lasciare da parte i pensieri e le emozioni e muoversi abbastanza in fretta. Non siamo l’unico gruppo a voler salire in cima al Gran Paradiso, e per evitare di trovare coda ci dobbiamo dare una mossa.
Ci vestiamo, scendiamo a fare colazione e ritorniamo veloci in stanza per ricomporre gli zaini. Poi scendiamo di nuovo al piano di sotto, recuperiamo il materiale e ci imbraghiamo. Questo sia per avere lo zaino un po’ meno pesante, sia per velocizzare le varie procedure una volta arrivati su ghiacciaio.
Quando usciamo dal rifugio, è tutto avvolto dal buio. In lontananza non si vedono nemmeno i profili delle montagne e il sentiero, nascosti da un manto scuro che viene squarciato solo dalle luci delle frontali che si muovono in lontananza. Non mi rendo bene conto del sentiero e della direzione che prendiamo. Io vedo solo i sassi sotto i miei piedi e gli scarponi di Alberto, l’accompagnatore a cui sono stata assegnata la sera prima.
Ad un certo punto arriviamo su un tratto di sentiero che inizia ad essere coperto di neve, così ci fermiamo insieme ad altre cordate, ci mettiamo i ramponi e tiriamo fuori la piccozza. Intanto in lontananza comincia ad apparire la luce, che rischiara la traccia e rende il paesaggio più nitido e comprensibile.

Continuiamo a camminare finché non arriviamo sul ghiacciaio. Qui facciamo una seconda pausa per legarci e poi continuiamo a salire. Mi sembra passato pochissimo tempo tra quando siamo partiti a quando si riesce a scorgere l’ultimo tratto prima della cima. Il sole ci saluta e ci riscalda da dietro la vetta, e il ghiacciaio è in condizioni perfette.
Camminiamo su una neve così compatta e solida, che crea una sensazione bellissima sotto i ramponi. Percorriamo l’ultimo tratto sotto la vetta del Roc, e arriviamo alla crepaccia terminale, da cui raggiungiamo velocemente la cresta di roccia e neve che porta alla Madonnina di vetta. L’ultimo passaggio non è difficile ma neanche da sottovalutare, nonostante sia di II grado. Ovviamente la difficoltà aumenta se presente il ghiaccio. Mentre stiamo aspettando di poter salire, infatti, vediamo un escursionista francese che scivola, e come per effetto domino cade addosso alla sua cordata e alla cordata di Francesco. Per fortuna nessuno si fa male.
Arrivati in cima, scattiamo la foto di vetta, ci godiamo il panorama e poi iniziamo la discesa. Il rientro è tranquillo. Io e Luca, mio compagno di cordata, raggiungiamo il gruppo di Francesco e di Beatrice, e scendiamo insieme a loro e al loro accompagnatore. Arrivati al rifugio, ci possiamo godere il pranzo e ci raccontiamo a vicenda com’è andata la nostra esperienza. Un’esperienza che è stata veramente bella e unica per ognuno di noi. Alcuni non avevano mai fatto alpinismo prima, altri non erano mai saliti a 4000 metri di quota, altri ancora ripetevano per l’ennesima volta questa salita. Ma ognuno con il proprio bagaglio personale ha vissuto a modo suo questa uscita e l’ha resa speciale anche per tutti gli altri.
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