Michele Pavan e Daniela Vittori sono entrambi non vedenti, marito e moglie. Questa mattina sono partiti da Romano di Lombardia, dove abitano, per volare in Uganda. Destinazione: un dispensario (cioè un piccolo ospedale) che sarà la loro base per dieci giorni. Qui, nel villaggio di Kyatiri e nelle vicinanze, incontreranno alcuni bambini colpiti da cecità. Il loro compito sarà quello di mostrare che – pur senza la vista – è possibile condurre una vita piena e gioiosa. E per farlo, utilizzeranno “un’arma” che è stata di grande aiuto anche per loro: lo sport. Abbiamo incontrato Michele poco prima della partenza, e ci siamo fatti raccontare che cosa farà in Uganda.
Come vi è venuta questa idea?
Io e mia moglie Daniela avevamo pubblicato un’inserzione sul giornale di un’associazione podistica, per cercare guide che ci accompagnassero a correre. Ci ha risposto Maurizio Destro, direttore dello UOC Medicina Generale di Treviglio. Abbiamo iniziato a correre con lui e con un altro medico dello stesso ospedale, la dottoressa Francesca Cagnoni, che tra l’altro fa parte della Onlus PACE. Abbiamo fatto amicizia, ci hanno raccontato del loro lavoro e del Dispensario che gestiscono a Kyatiri, in Uganda. E di tutti i bambini che diventano ciechi, e sono destinati a un futuro di emarginazione.
In Africa la cecità è un gravissimo problema…
Ogni anno migliaia di persone perdono la vista a causa di infezioni provocate dalla malnutrizione, dalle cattive condizioni igieniche, dai parassiti. Una delle principali cause di cecità è la cosiddetta mosca nera, che vive lungo i corsi d’acqua e che, attraverso la sua puntura, deposita nel corpo umano centinaia di microscopiche larve che provocano terribili infezioni. Spesso in Africa la disabilità è considerata una maledizione, e chi ne è afflitto deve fare i conti non solo con i problemi dovuti alla malattia, ma anche con l’ostracismo sociale.
Quindi voi cercherete di entrare in contatto con i bambini non vedenti…
Con quelli non vedenti, ma anche con quelli ipovedenti. A volte basterebbe un buon paio di occhiali per risolvere buona parte dei problemi. Proveremo a contattare le locali associzioni che aiutano i ciechi, e andremo a scovare i bambini nei villaggi.
E poi, una volta che li avrete trovati, che cosa farete?
Mostreremo loro che anche senza la vista è possibile condurre una vita normale: ridere, giocare, stare insieme alle altre persone. È possibile correre e giocare a palla, per esempio. Anzi: proprio attraverso lo sport proveremo a fare in modo che riacquistino fiducia in se stessi. Porteremo laggiù corde, palle, magliette. E poi abbiamo riempito una valigia con 80 bastoni bianchi (offerti da sponsor e amici) e 20 paia di occhiali.
Che aspettative avete?
Più che altro sono molto spaventato. Anche per le difficoltà di comunicazione. Io e miamoglie Daniela abbiamo passato gli ultimi due mesi a studiare inglese. E poi in dieci giorni è impossibile cambiare la mentalità delle persone. In più non mancheranno i disagi: nel villaggio non c’è luce elettrica (tranne che nell’ospedale), l’acqua è spesso contaminata, abbiamo dovuto fare moltissime vaccinazioni. Ci hanno detto che a Kyatiri il 40% della mortalità è dovuto alla malaria. Ma nonostante tutto ci proviamo. L’unico vero guaio è che per dieci giorni saremo lontani da Fucsia, il nostro labrador!
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