Un trekking sull’Alta Via dei Monti Liguri, lungo bellissimi sentieri alpini. Tra aquile e camosci, buon vino e borghi medievali.
Ex bracconiere, ex alpino, ex coltivatore di fiori, Giampiero Borgna si è inventato un lavoro che mette insieme tutte le sue passioni: ha adibito a taxi un’ansimante Land Rover verde militare, ha rivestito i sedili di tela mimetica, e porta in giro i turisti per le montagne dell’Appennino ligure.
Nessuno come lui conosce le piante e i fiori che crescono tra i dirupi. Nessuno riesce con altrettanta facilità a individuare in mezzo alle rocce i camosci e le marmotte, o a distinguere gli uccelli in base alle traiettorie che disegnano nel cielo.
Lo troviamo a Imperia, all’uscita dell’autostrada. Carica tutti i bagagli sulla Land Rover e si parte alla volta di Dolceacqua, patria del Rossese. Un vino che sa di argilla e terra bruciata, perfetto per accompagnare il classico piatto locale: lo stufato di capra con i fagioli bianchi. Poi su per la Val Nervia, fino ad Apricale, un altro borgo costruito nel Medioevo.
Sull’Alta Via dei Monti Liguri, dove le montagne toccano il cielo
Dopo un bicchiere di Rossese di quello vero alle Grotte della Locanda, la fuoristrada di Giampiero riprende a salire su per la Val Nervia, fino a Colle Melosa e al monte Pietravecchia.
Arriviamo a oltre 2000 metri di quota. Si lascia l’auto e ci si inoltra lungo il viottolo che porta al Sentiero degli Alpini: una mulattiera scavata nella roccia calcarea alla fine degli anni ’30, con lo scopo di muoversi tra le montagne evitando il tiro dell’artiglieria francese appostata sul versante occidentale della Val Roja.
Il percorso completo è un “otto” che corre per 12 chilometri tra le pareti del Pietravecchia e del Toraggio, tra quelle che vengono chiamate “le Dolomiti di Liguria”. Ci vogliono circa sette ore a farlo tutto. A un tratto Borgna si ferma, scruta un punto della montagna e poi tira fuori dallo zaino il suo binocolo. «Là…sotto quella rupe…».
Una femmina di camoscio bruca tranquilla, e dietro di lei il suo piccolo sta accovacciato nell’erba. Con un po’ di fortuna, si può incrociare la strada con volpi e galli forcelli. I lupi, invece, non si fanno mai vedere. Ma di notte girano intorno agli ovili, e da queste parti tutti i pastori hanno messo qualche cane maremmano di guardia alle greggi.
Una volta il sentiero era protetto da una stecconata. Oggi non c’è più, ma nei tratti più impervi sono stati tirati cavi d’acciaio. Il panorama è impagabile, il silenzio totale. Non una traccia umana. Un’aquila a caccia di prede disegna larghi cerchi nel cielo.
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Il giorno seguente, zaino in spalla, si prende la mulattiera che porta a raggiungere l’Alta Via dei monti Liguri, un largo sentiero lungo 400 chilometri che unisce Ventimiglia a La Spezia, correndo in quota nell’entroterra. Una sorta di “linea Maginot” tra le Alpi e il mare, che offre spettacoli naturali unici.
Camminando tra boschi, baite e greggi, nelle giornate più limpide si arriva a vedere la Corsica, il Monviso, il monte Rosa. La strada arriva al Balcone di Marta, una sorta di spianata affacciata sulle montagne francesi. Siamo poco sotto quota 2000.
Tra i ruderi delle vecchie caserme costruite dai Savoia, e poi rimesse in piedi durante la guerra dagli alpini, una famiglia di pastori francesi ha ricavato il ricovero per le pecore. Un grande cartello avverte gli escursionisti: «Non vi avvicinate: i nostri cani sono stati addestrati contro i lupi e potrebbero aggredirvi».
Lungo le rotte della transumanza
Si continua a camminare senza fatica, fino al bivio che costringe a scegliere da che parte stare. A sinistra si scende in Francia, a Briga; a destra si raggiungono le italiane Monesi e Triora. È qui che ci aspetta Giampiero con la sua Land Rover, puntuale all’appuntamento. La meta è Mendatica, un borgo a 800 metri di altezza, nel cuore della valle Arroscia.
Per raggiungerlo, però, Borgna non sceglie la strada più breve. Punta dritto verso la via Marenca: 90 chilometri di sterrato a strapiombo sulle montagne, tra crinali vertiginosi, che uniscono Imperia a Limone Piemonte.
Una volta era percorsa dai pastori durante la transumanza. Era dotata anche di una galleria lunga 450 metri, dove ancora oggi sono disposte in nicchie le lampade a olio che illuminavano l’interno. Adesso la strada è stata riscoperta da bikers e appassionati di ultramaratone, che su questo percorso si allenano e organizzano gare.
La scoperta della “cucina bianca”
Caracollando tra i sassi, la Land Rover comincia a scendere. È quasi sera quando approda a Mendatica. All’agriturismo Il Castagno hanno già preparato la cena. Piatti tradizionali di queste montagne, quelli che oggi sono stati riscoperti come specialità della cosiddetta “cucina bianca”: torte di porri e patate, pasta fatta in casa con acqua e farina, formaggi di malga, dolci a base di latte.
Il giorno dopo, alle nove la Land Rover di Giampiero è lì con il motore acceso: sembra quasi smaniosa di partire. La salita al monte Saccarello, 2200 metri, la vetta più alta della Liguria, è già di per sé uno spettacolo.
Fino a Monesi la strada è asfaltata. Poi lo sterrato diventa regno di mountain bike, fuoristrada e quad, che sembrano non disturbare troppo le famiglie di marmotte. Lassù, sulla vetta, con un piede si sta in Francia e con l’altro in Italia. Da questo punto dell’Alta Via dei Monti Liguri, il panorama è a volo d’uccello sulle Alpi. Sul lato italiano ci sono ancora i bunker eretti dopo l’Unità d’Italia per difendere il patrio suolo.
Paesi fantasma e storie di streghe lungo l’Alta Via dei Monti Liguri
Scendendo dal Saccarello, Giampiero ferma la macchina all’imbocco di un viottolo che si perde tra gli alberi: è il sentiero che porta a Puiarocca. Solo una manciata di secondi per decidere di lasciare l’auto e avventurarsi giù per la scarpata. La Land Rover si allontana. Un bosco dove davvero sembrano nascondersi le streghe.
Faggi e lecci hanno preso il posto dei pascoli, dei campi di grano e patate. I rovi hanno avviluppato le antiche abitazioni dei pastori. Ma facendosi strada tra spine e ortiche, si scoprono oltre le porte di legno resti di mobili, vecchie scarpe, un letto, suppellettili abbandonate. Un piccolo mondo antico che torna a vivere sull’onda dell’immaginazione.
Ci vuole poco meno di un’ora per scendere a Mendatica, fermandosi a osservare i tronchi degli alberi secchi che sembrano grottesche sculture; ad ammirare il salto delle cascate di Arroscia; a immergere le mani nella polla d’acqua nascosta sotto un ponte medievale coperto di muschio.
Sull’ultimo tratto del sentiero, ecco la chiesa rupestre di Santa Margherita, decorata di affreschi cinquecenteschi. Durante la Grande Guerra era l’alloggio dei prigionieri polacchi impiegati nell’allargamento della mulattiera. Oggi è l’avamposto di Mendatica. Una specie di biglietto da visita della valle Arroscia e di tutti i suoi tesori.
A chi rivolgersi: Giampiero Borgna, guida ambientale, tel. 0184.683807; cell. 333.8570683.
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