La nostra infaticabile Giusi, reporter non vedente, questa volta vi racconta il suo tour in tandem di cinque giorni nel parco nazionale dei Monti Sibillini. Siete pronti a seguirla?
Ormai da qualche mese coltivo la passione per il ciclismo in tandem. Dal momento che sono cieca, la bicicletta a due posti è l’unico modo che ho per poter pedalare. Il mio desiderio più forte in questo periodo della vita è poter ciclo-viaggiare in Italia e – perchè no – in futuro anche all’estero. Quando è saltata fuori la notizia di un tour in tandem nel parco nazionale dei Monti Sibillini, organizzato dalla fondazione Silvia Parente di cui vi ho già parlato in altri articoli, non ci ho pensato due volte ad iscrivermi.
Il Parco Nazionale dei Monti Sibillini si trova nel cuore dell’Italia. La maggior parte del suo territorio è nelle Marche e la restante parte in Umbria. Fra la fauna conta lupi, aquile reali, falchi pellegrini, camosci e cervi. Ci si ritrova a camminare in boschi di roverella, carpini, faggi… e, se ci si spingete in alto Appennino, è possibile trovare piante rare come la stella alpina dell’Appennino, la genziana appenninica e il salice nano.
Non meno importante è l’interesse storico-culturale del territorio. Potete farvi narrare antiche leggende tramandate dal Medioevo, visitare chiese, monasteri e santuari, borghi medioevali… approfittandone anche per assaggiare la gustosa cucina locale. Con il nostro tour, noi siamo riusciti ad avere un nutrito assaggio di tutto questo. Il programma, sapientemente stilato da Davide e Matteo della Fondazione Silvia Parente, prevede un anello attorno al fulcro della catena montuosa umbro-marchigiana, il Monte Vettore, da percorrere in cinque giorni.
Primo giorno: da Sarnano al rifugio di Tribbio
Mi trovo già a Senigallia, ospite del mio amico Francesco, pronta a partire con lui e Andrea verso Sarnano. Da quel pittoresco borgo inizierà il nostro tour. Partiamo un po’ in anticipo per fare una sosta refrigerante alle Cascatelle. Si tratta di un suggestivo salto delle acque del torrente Tennacola, a un paio di chilometri dalla piazza principale di Sarnano. Dopo esserci ricomposti, in pochi minuti raggiungiamo il parcheggio dove l’auto resterà per i prossimi cinque giorni. E dove abbiamo appuntamento con il resto del gruppo.
Siamo in 18, di cui sei ragazzi con disabilità (me compresa) e altrettanti drivers. Poi ci sono: Matteo, che ci farà da ciclo-guida; Cristiana e Alessandro con le proprie bici; Annibale, autista del furgone su cui viaggiano i nostri zaini, acqua e cibo per i pranzi al sacco; due componenti della ASD Monti Azzurri, che si alterneranno seguendoci con le proprie bici o come driver.
Alle 12:30 un pranzo veloce in trattoria, e poi si parte. Velocissima prova in sella con Christian, il mio driver , e poi Davide inizia il briefing. L’itinerario prevede un breve tratto su asfalto, seguito da una salita su strada bianca attraverso cui raggiungere i Piani di Ragnolo. “Non esagerate con il motore, perchè io non ce l’ho e mi fate morire!”, ci dice Davide ridendo. Lui, infatti, è l’unico ad usare un tandem muscolare. Tutti gli altri sono in sella a tandem con pedalata assistita.

Dopo alcune importanti raccomandazioni imparitte da Matteo, partiamo. Superiamo abbastanza velocemente il tratto su asfalto e… eccola, la prima salita del viaggio! Christian è un ragazzo di 23 anni, un agonista enduro. A differenza mia, sembra cercare e amare la fatica. Saliamo dunque a motore spento o, di tanto in tanto, acceso in modalità eco, la più bassa in potenza. Saliamo di poche centinaia di metri e iniziamo a respirare un’aria che ci fa dimenticare completamente quella torrida delle città che abbiamo lasciato.
A farmi sopportare meglio i tratti più esposti al sole, ci pensa la mia camel-bag difettosa, che perdendo acqua mi rinfresca la schiena. Arriviamo dunque ai Piani di Ragnolo. Da questo altopiano è possibile ammirare il territorio circostante a 360 gradi. Si scorge addirittura il mare nelle giornate limpide. Proprio qui d’inverno si praticano sci di fondo e nei dintorni sci escursionistico e ciaspolate.
Dopo una breve sosta torniamo in sella. Scendiamo verso Bolognola, che ospita le sorgenti del fiume Fiastrone. La superiamo e, scendendo ancora, velocemente raggiungiamo il lago di Fiastra. Si tratta di un bacino idroelettrico, creato negli anni ’50 con l’innalzamento di una diga lungo il corso del fiume Fiastrone. Non pensate che questo lo renda meno interessante. Il limpidissimo lago è infatti circondato da monti e boschi e non mancano le zone balneabili e la possibilità di praticare sport come vela e canottaggio.
Noi ci limitiamo a costeggiarlo, fino a quando non imbocchiamo l’ultimo sentiero in salita verso il Rifugio di Tribbio. Qui ci sistemiamo nelle camerate e, dopo una meritata doccia, ci accomodiamo per la cena. L’accoglienza e il cibo sono accettabili, ma vi anticipo già che nei giorni successivi ci sarà un crescendo di emozioni culinarie!
Secondo giorno: verso Castel Sant’Angelo sul Nera
La notte passa in fretta e la sveglia suona alle 07:00. Nadia con altri ragazzi del gruppo inizia la giornata praticando il saluto al sole. Penso di unirmi a loro nei prossimi giorni, ma la pigrizia nel risveglio purtroppo avrà la meglio. Ripartiamo dopo colazione alla volta della nostra meta: Castel Sant’Angelo sul Nera.
Considerata la velocità raggiunta nel giorno precedente, decido di indossare tutte le mie protezioni per spalle, gomiti e ginocchia, con profonda disapprovazione di tutti i ciclisti di livello più alto del mio (cioè quasi tutti). Iniziamo a scendere velocemente verso il lago di Fiastra che costeggiamo sul lato opposto rispetto al giorno precedente. Imbocchiamo poi una delle salite più impegnative del tour. “Mmmh… forse meglio la discesa…”, penso. La strada bianca, costeggiata da boschi di conifere, si impenna fino al rifugio del Fargno. Non arriveremo proprio lì, a causa dell’eccessiva pendenza della strada. Christian prova un po’ di pietà per me e ogni tanto accende il motore sul secondo livello di potenza… Deviamo verso i Piani di Pao, incrociando un numeroso gregge di pecore sul percorso.

I Piani di Pao sono ampi prati a circa 1500 metri di quota, utilizzati anche come pascolo. Qui, come mi descrivono, la vista spazia sulle valli in basso e sui massicci del monte Rotondo e del monte Bove. Entrambe cime che superano i 2000 metri di altezza. Dopo il pranzo al sacco, ci aspetta una discesa sterrata verso Ussita, paesino purtroppo devastato dal terremoto di qualche anno fa. Partiamo, prendendo subito velocità. “Mmmmh… forse meglio la salita…”, penso. Alla fine del viaggio non avrò ancora risolto il dilemma.
Lanciati e con qualche sobbalzo, ancora in compagnia delle conifere, affrontiamo tornante dopo tornante, fino a quando Christian annuncia “gomma a terra!”. Con mio sollievo ci fermiamo, e subito mani esperte iniziano a sondare e riparare la ruota posteriore. “Ecco, te la sei tirata con tutte quelle protezioni!”, mi dicono ridendo, ma neanche troppo… Nella mia testa iniziano ad affollarsi pensieri non proprio positivi… “Fa davvero per me questo sport? Fra fatica e paura non so cosa sia peggio…”. Questi pensieri torneranno a tormentarmi anche nei giorni seguenti, rendendomi un po’ cupa. Come al solito vorrei tutto e subito. Vado in tandem da pochi mesi e non ho mai affrontato percorsi di questo livello, cosa pretendo da me stessa? Non può che andare meglio da ora in poi…così mi consolo, cercando di convincermi.
Riprendiamo la discesa, sterrata ancora per un tratto e poi asfaltata. Superiamo Ussita e poi riprendiamo a salire lungo la valle del fiume Nera, verso il paesino di Visso. Infine puntiamo verso la nostra destinazione finale, Castel Sant’Angelo sul Nera. Arriviamo all’hotel ristorante Dal Navigante poco dopo le 16:00. Questa volta abbiamo camere spartane, ma rimesse a nuovo. Da questa sera iniziamo davvero ad assaporare prodotti tipici di qualità, fra cui gli immancabili affettati e le tagliatelle con i funghi.
Terzo giorno del nostro tour in tandem nel parco dei Monti Sibillini
Sveglia alle 07:00, mi accingo a preparare lo zaino mentre le mie compagne di stanza salutano il sole e il nuovo giorno. Già in tenuta da ciclista, e con le sole protezioni per le spalle, raggiungo gli altri per colazione. Partiamo poco dopo le 09:00, iniziando quasi subito a percorrere la salita denominata Forca del Gualdo. Io e Christian siamo lanciati verso i suoi 1.495 metri di altezza, consci del fatto che anche oggi la nostra batteria sarà la più carica a fine giornata…
Saliamo, tornante dopo tornante, fra boschi di pini, faggi e abeti. “Questi monti alla nostra destra sembrano proprio dei panettoni!”, sento dire arrivati al valico che segna il nostro ingresso in Umbria. Siamo diretti infatti a Castelluccio di Norcia, molto nota per la fioritura di lenticchie, margherite, fiordalisi e papaveri, che colorano l’intero altopiano. Non è per me la prima volta a Castelluccio, ve ne ho già parlato in un articolo.
Continuiamo ad attraversare l’altopiano con il Monte Vettore che troneggia sopra di noi con i suoi 2.476 metri di altezza. Sulla strada per Forca di Presta, ci fermiamo al rifugio Mezzi Litri, dove consumiamo un pranzo leggero. Qui facciamo conoscenza con l’associazione Monte Vector, che oltre a gestire il rifugio si occupa di vari progetti ed iniziative all’insegna della sostenibilità e dell’inclusione. L’associazione è stata fondata da Stefano ed Elena dopo il sisma del 2016.
Fra le varie iniziative, vi cito qui quella del bivacco assistito. A chi desidera campeggiare, viene fornito lo spazio necessario per la propria tenda oppure, se non se ne possiede una o si vuole camminare leggeri, viene messa a disposizione da Monte Vector. Dietro alla struttura del rifugio è stata costruita una yurta, abitazione tipica della Mongolia e di vari paesi dell’Asia Centrale. È una tenda circolare con una struttura portante in legno, imbottita solitamente con lana di yak o pecora. È uno degli alloggi messi a disposizione dal rifugio oltre alle camerate.
Dopo pranzo ascoltiamo affascinati Elena che ci racconta tutto questo e molto altro. Ci presenta Romina, una cantastorie che ci delizia raccontandoci, tra le altre cose, la storia della Sibilla. Dopo aver appreso da Romina anche interessanti proprietà di alcune erbe, salutiamo e riprendiamo la nostra pedalata.
Quel che sale prima o poi deve scendere… ed eccola, una delle discese più ripide del nostro tour! Con mio sollievo è almeno asfaltata. Sfrecciamo veloci… sempre più veloci…. “75.4 chilometri orari!”, urla soddisfatto Christian una arrivati ai piedi della discesa. E se pensate che siano troppi, Nadia ed Emanuele, il suo driver, hanno toccato gli 84.4. Non di più, perché davanti a loro un motociclista non li lasciava passare. Mi godo il post-adrenalina mentre raggiungiamo Balzo di Montegallo, dove ci fermiamo a cena e per la notte.
E la cena questa volta è davvero succulenta, innaffiata da ottimo vino. Purtroppo io sono taciturna. Colpa di qualche pensiero negativo dei giorni scorsi e del fatto che tendo a parlare poco quando sono in gruppo. Ecco allora che Emanuele mi mette al centro dell’attenzione: “Dai, raccontaci una storia!”. Non amo essere protagonista, ma – complice un po’ di vino – alla fine racconto un paio di esilaranti aneddoti su di me all’età di cinque anni. Concludiamo così la giornata sazi e soddisfatti.

Quarto giorno: nelle gole dell’Infernaccio
Oggi il programma prevede una breve ma intensa deviazione dal percorso stabilito. Andiamo infatti a trovare i nonni di Davide. Scendiamo per poi risalire verso il Passo Pescolle, crinale fra monte Vettore e Montegallo. Riprendiamo a scendere verso l’alta Val d’Aso e il lago Gerosa per poi risalire verso il borgo di Montemonaco. Prima di proseguire per il borgo, deviamo appunto verso casa dei nonni di Davide. Imbocchiamo probabilmente la salita più ripida in assoluto dell’intero tour, sterrata ma per fortuna lunga solo un chilometro e mezzo.
Non siamo attesi, Davide vuole fare una sorpresa. Perciò il nonno, intento a falciare l’erba, ci mette un paio di minuti a realizzare chi si è avvicinato alla casa. Ci raggiunge anche la nonna e veniamo invitati nel loro bel giardino. Subito la nonna porta fuori affettati e vin cotto. “Se le avessi detto solo ieri che saremmo venuti a trovarli, ci avrebbe fatto trovare la tavola imbandita!”, ci dice Davide. Vi segnalo comunque che il lonzino fatto in casa dalla nonna batte senza difficoltà tutti gli affettati assaggiati durante i cinque giorni di viaggio.
Dopo la visita, risaliamo in sella affidando ad Annibale la bottiglia di vin cotto gentilmente regalataci dai nonni… sperando di ritrovarla intatta per l’ora di cena. Scendiamo lungo una strada bianca. “Quella su cui da bambino ho imparato ad andare in bici”, ricorda Davide. Terminata la discesa, riprendiamo a salire verso Montemonaco. Arrivati lì, ci ritroviamo ai piedi del massiccio del monte Sibilla. Dopo un pranzo veloce, riprendiamo a costeggiare il monte per raggiungere le gole dell’Infernaccio. Si tratta di suggestive gole naturali create dal fiume Tenna fra il monte Sibilla e il monte Priora.

Per raggiungerle, lasciamo le bici e ci incamminiamo lungo un sentiero di ghiaia. Dopo pochi minuti di cammino, al rumore dei nostri passi e delle nostre voci si aggiunge quello delle cosiddette Pisciarelle. Sono piccoli rivoli d’acqua che scendono dalla parete di roccia che ci sovrasta. Proseguiamo in leggera discesa fino all’ingresso delle gole, circondate da un bosco di faggi. Ed ecco il fiume! Ci sediamo sulla roccia con i piedi a mollo. L’acqua è gelida. Alcuni temerari riescono a bagnarsi quasi del tutto, ma io devo tirare fuori i piedi ogni 30 secondi circa per non perdere sensibilità.
Alcuni di noi decidono di raggiungere l’eremo di San Leonardo, inerpicandosi su un sentiero immerso nella vegetazione. Io e l’altra parte del gruppo optiamo per il relax. Per me questo è decisamente il luogo più suggestivo ed emozionante del viaggio.
Torniamo alle bici dopo un paio d’ore. Rigenerati, riprendiamo a pedalare verso Montefortino, destinazione finale della giornata, distante pochi chilometri. Qui alloggiamo presso l’agriturismo Antica Corte. La sera scorre fra chiacchiere, risate, altri due miei aneddoti dell’infanzia condivisi con i vicini di tavolo, emozioni e naturalmente ottimo cibo.
Quinto giorno: profumo di mare
Ci siamo, il nostro viaggio sta per concludersi. Zaini pronti, facciamo colazione già in tenuta da ciclista. Iniziamo a pedalare come al solito poco dopo le 09:00. “Ma ho le allucinazioni o si sente il profumo del mare?”, chiedo a Christian appena fuori dall’agriturismo. “No, hai ragione! Non siamo poi così lontani dalla costa”.
Imbocchiamo la strada in salita verso l’alta Val Tenna. Pedaliamo verso il borgo di Amandola, situato alle pendici dell’omonimo monte, per raggiungere poi il rifugio che porta lo stesso nome. Amandola è un caratteristico borgo medioevale, considerato la porta est del Parco Nazionale dei Sibillini. Impieghiamo un paio d’ore circa ad arrivare lì e poi a procedere fino al rifugio immerso fra i boschi. Qui, come mi dicono, la vista può spaziare fino al Conero e al Gran Sasso.
Pranziamo con calma, prima di risalire in sella per l’ultimo tratto dell’anello. Scendiamo velocemente lungo la strada che ci riporta a Sarnano e al parcheggio dove erano state lasciate le auto. Dopo 200 chilometri percorsi e una media di 1000 metri di dislivello al giorno, il viaggio si conclude. È ora di salire sul treno e tornare a Milano. Grazie, ragazzi, per questa bella avventura. Che mi auguro si replichi quanto prima.
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