L’inquinamento da microplastiche ha purtroppo colpito anche i ghiacciai. E a causa dell’innalzamento delle temperature, minaccia di contaminare i corsi d’acqua a valle. I responsabili? Tra gli altri gli sport invernali e l’attrezzatura alpinistica.
Le microplastiche arrivano fin sui giganti di ghiaccio dei Forni e del Miage, due dei più importanti ed estesi ghiacciai dell’arco alpino, tra Lombardia e Valle d’Aosta. Le nuove evidenze emergono da campioni raccolti la scorsa estate da Greenpeace Italia e analizzati grazie al supporto del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano e del Dipartimento per lo Sviluppo Sostenibile e la Transizione Ecologica (DiSSTE) dell’Università del Piemonte Orientale.
I risultati mostrano che la contaminazione interessa l’80% dei campioni prelevati sul Ghiacciaio dei Forni e il 60% di quelli raccolti sul Ghiacciaio del Miage. Tra le microplastiche individuate, ossia tutte le particelle di plastica con dimensioni inferiori a un millimetro, le fibre rappresentano oltre il 70%. Nello specifico, il cellophane è il polimero prevalente (55%), seguito dal polietilene-polipropilene (35%) e dal nylon (10%).
“Le analisi confermano che la contaminazione da microplastiche è ormai ampiamente diffusa anche sui ghiacciai italiani”, conferma Marco Parolini, docente di ecologia presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano. “Questa evidenza risulta particolarmente importante in un periodo storico in cui l’aumento delle temperature globali può determinare il rilascio di inquinanti immobilizzati all’interno dei ghiacciai in fusione, contribuendo a contaminare gli ecosistemi acquatici e terrestri che si trovano a valle”.
Il monitoraggio effettuato da Greenpeace Italia consente non solo di conoscere i livelli di microplastiche presenti sui ghiacciai esaminati, ma anche di ipotizzare le cause e le fonti dell’inquinamento. Le attività turistiche e alpinistiche, compresa la presenza di impianti sciistici e di risalita, possono infatti rappresentare una sorgente di contaminazione locale da plastica.
La maggior parte dell’attrezzatura e dell’equipaggiamento tecnico da montagna, per esempio, è infatti realizzata in polimeri plastici e potrebbe contribuire al rilascio di fibre e frammenti. Le aziende produttrici sono al lavoro su questo fronte, ma il cammino è ancora lungo.
Tra i brand che stanno cercando di diventare sempre più “verdi” c’è anche Ortovox, che per l’abbigliamento tecnico si impegna ad usare la lana merino proveniente da fonti sostenibili e a produrre prodotti senza l’uso di PFC. E proprio Ortovox ha annunciato il suo sostegno allo studio condotto dal Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con Greenpeace Italia. L’azienda fornisce materiale e abbigliamento tecnico per le attività e i progetti di ricerca scientifica e ambientale.
Tra le fonti di inquinamento anche gli imballi alimentari
Tra le fonti dell’inquinamento si aggiungono poi la degradazione e frammentazione di rifiuti plastici di grandi dimensioni abbandonati sui ghiacciai, come gli imballaggi alimentari. Studi recenti hanno inoltre confermato che le microplastiche possono raggiungere gli ecosistemi glaciali anche “volando”, cioè trasportate dalle correnti atmosferiche.
“Per tutelare questi preziosi e fragili ecosistemi, nonché gli habitat, le risorse e le comunità montane, serve una fruizione sostenibile e consapevole del territorio. Oltre che una riduzione del consumo di plastica, che in gran parte deriva dalle medesime fonti fossili che stanno alterando il clima del pianeta mettendo a rischio l’esistenza stessa dei nostri ghiacciai”, commenta Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
Il monitoraggio che ha permesso di evidenziare la presenza di microplastiche sui ghiacciai del Miage e dei Forni è stato effettuato durante una spedizione congiunta dell’associazione ambientalista e del Comitato Glaciologico Italiano (CGI). Ssi è svolta tra fine agosto e inizio settembre per verificare lo stato di salute dei due ghiacciai, la cui sopravvivenza è oggi minacciata dalla crisi climatica e dalle attività antropiche. Chi volesse saperne di più, può leggere il rapporto Giganti in ritirata.
Secondo i dati diffusi da Greenpeace Italia e dal CGI, tra il 2008 e il 2022 il Miage, il più grande ghiacciaio nero (ricoperto cioè da detriti) delle Alpi, ha perso oltre 23 metri di spessore e 100 miliardi di litri di acqua, un quantitativo di poco inferiore all’acqua potabile erogata ogni anno all’intera città di Milano. Mentre per il ghiacciaio dei Forni, le misure effettuate nel 2023 hanno permesso di evidenziare una fusione del 15% superiore a quella registrata in media negli anni precedenti, con una perdita di 9 centimetri di spessore al giorno durante l’ondata di calore della seconda metà di agosto.
In un secolo perso oltre il 50% del ghiaccio
Nell’ultimo secolo i ghiacciai delle Alpi hanno perso oltre il 50% della loro estensione, e di questa metà circa il 70% è andato perduto negli ultimi 30 anni. Le proiezioni basate sugli scenari climatici suggeriscono inoltre che entro il 2060 fino all’80% della superficie dei ghiacciai italiani alpini sarà scomparsa.
Senza questi ghiacciai, infine, tra 30-40 anni rischiamo di assistere a fenomeni siccitosi sempre più intensi anche a valle. Ecco perché proteggere questi giganti di ghiaccio dal riscaldamento globale e dagli impatti delle attività antropiche come l’inquinamento da plastica è cruciale per difendere il nostro benessere presente e futuro.
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