A volte, quando ci si trova alle 6 del mattino a correre, soprattutto d’inverno, quando le temperature sono polari, ci si chiede: «Ma perché lo sto facendo?». È una domanda che si fanno tutti, inutile nasconderlo, dai professionisti agli amatori. In genere questo “amaro in bocca” dura un quarto d’ora, poi le nostre endorfine ci fanno cambiare idea e ci fanno iniziare la giornata con il sorriso e la carica giusti.
Quando si prepara una gara di endurance sono necessari allenamenti mirati in grado di raggiungere il proprio obiettivo senza portare il corpo a uno stress eccessivo. Non è facile. In molti pensano che allenarsi per un lungo o una gara a tappe voglia dire correre per chilometri e chilometri. Non è proprio così. È sicuramente importante provare, nei mesi prima, a stare sulle gambe un po’ di ore (7/8 ore), ma in 6 mesi di allenamento basta farlo una o due volte.
Il lungo non è poi così lungo…
La maggior parte degli allenamenti sono “qualitativi” in grado di far lavorare il corpo in modo intenso dai 30 ai 50 minuti senza portarlo a un lavoro eccessivo. Fare qualitativi vuol dire anche evitare sovraccarichi a livello di tendini e legamenti, sempre sollecitati con la corsa. Il lungo (ma parliamo di massimo 3, tre ore e mezzo) si può fare la domenica in “assetto gara” (con zainetto se si pensa di utilizzarlo), a un passo medio lento rispetto al ritmo gara che si pensa di tenere.

Tornando al discorso del «chi me lo fa fare?», si delineano sostanzialmente due strade entrambe molto importanti: mente e corpo. Ho una teoria personale che risale alla famosa “regola dell’ottetto” che studiai in chimica nei lieti giorni della mia adolescenza. Tale regola determina che “tutti gli elementi tendono ad avere una configurazione elettronica stabile, ovvero a divenire non reattivi o comunque poco reattivi”. Questo può essere associato al fatto che il nostro corpo e la nostra mente tendono più a prediligere le “ripetute sul divano” alle ripetute di corsa.
La tentazione del divano
A volte è davvero dura vincere la tentazione del divano. Altre volte però non si tratta di pigrizia, ma di necessità. Questo l’ho imparato sulla mia pelle quando ho avuto un principio di sovrallenamento durato per circa 6 mesi. Si inizia ad accusare inappetenza, problemi mnemonici, non si riesce più a riposare bene, le prestazioni calano, e così si pensa di essere meno allenati e, non contenti, si aumenta l’allenamento entrando in un circolo vizioso in grado di creare dei danni davvero gravi.

È molto difficile capire quando si tratta di pigrizia e quando invece di necessario riposo. Non c’è, a parere mio, una regola universale per capire se si è più da una parte che dall’altra (a parte chiedere consiglio a un medico). L’unica cosa che si può fare autonomamente – e subito – è imparare ad ascoltarsi. La corsa non è solo “gambe forti”, la corsa è un po’ lo specchio della vita ed è necessario far correre anche la propria mente allenandola continuamente in modo che possa darci delle riposte obiettive e soprattutto chiare.
Visualizzare l’allenamento
Un metodo che uso personalmente, in questi dubbiosi momenti, è quello di concentrarmi per alcuni minuti ad occhi chiusi e visualizzarmi nell’allenamento: se provo un senso di nausea è perché il mio corpo ha il “rigetto” della corsa e perché mi sta dicendo che ha bisogno di riposo. In questo caso, l’ora impiegata per correre la uso per fare stretching e/o un bel riposino. Al contrario, se avverto la bella sensazione della corsa, la libertà e il piacere, allora mi sforzo e vado ad allenarmi.

Un’altra cosa che consiglio è quella di evitare le immense e stupide sfide con se stessi: se dopo un 20 minuti di attività le gambe non girano, non è giornata, cambiate l’obbiettivo e continuate a trotterellare per altri 20 minuti o fermatevi e andate a fare un po’ di stretching SENZA inutili e malati sensi di colpa.
Il corpo va rispettato, altrimenti vi troverete a letto con una febbre o con un tendine infiammato da lì a poco. Il corpo dà sempre delle avvisaglie, è saggio aiutarsi con la mente per capire cosa sta cercando di comunicarci. Spesso infatti siamo così bombardati da eventi e stress esterni, che diventiamo sordi e non sentiamo quello che il nostro corpo ci vuole comunicare.
Un’altra cosa invece è l’allenamento mentale. Il mio progetto Run For Women è durato ben 11 mesi, e l’impegno sia fisico che mentale è stato davvero molto alto. Ho lavorato con il dottor Luca Taverna che ha voluto accompagnarmi in questa avventura. Il mental coaching è fondamentale in questi casi. Potrei scrivere per ore in merito agli esercizi necessari da fare giorno per giorno (proprio come gli allenamenti fisici anche la mente va allenata), ma ogni persona è diversa ed è giusto che ognuno faccia il proprio percorso (non posso nemmeno avere la presunzione di diventare dottore, per questo chiedete direttamente a Luca).

Una cosa però che dà sicuramente la carica a tutti è pensare intensamente (la mattina appena si aprono gli occhi e si è ancora nel letto) al proprio obiettivo, al momento esatto in cui si taglierà il traguardo, alla felicità e alla gratificazione personale avvertita nel raggiungere l’obiettivo per cui si è combattuto tanto. Questo vi farà saltare su come una molla, e vi farà venire la voglia e l’entusiasmo di infilarvi le scarpe e di correre ad allenarvi!
“Volevo dire GRAZIE di cuore a chi ha sopportato tutti i miei dolori, a chi mi ha sostenuto, a chi solo con un abbraccio ha saputo confortarmi, a chi ha acceso il mio coraggio. Ai miei genitori che hanno appoggiato sempre le mie scelte, a Checco Galanzino che mi ha convinto che potevo farcela, a Giulia e alla Fondazione Fondiaria SAI che hanno creduto in me, a Luca Taverna che ha preparato la mia mente soprattutto dopo il brutto infortunio, a Huber Rossi che mi ha insegnato che il riposo fa parte dell’allenamento, a Maurizio Gilardi che ha saputo farmi correre con 3 legamenti rotti e a tutti quelli che mi hanno sostenuto con fantastiche parole; a tutti voi GRAZIE DI CUORE”. Katia
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