Questa volta la nostra Emma De Franco ha puntato ancora più in alto: la salita alla selvaggia Cima di Jazzi, una delle vette più famose del gruppo del Monte Rosa.
Verso le tre del pomeriggio raggiungiamo l’ultimo tratto esposto della giornata. Una cresta di roccia e neve si intravede tra le nuvole, e su di essa il nostro punto di appoggio per questa notte. Ci troviamo a pochi metri dal bivacco Città di Luino, la struttura in lamiera gialla e blu è completamente avvolta da un manto di nebbia e di nuvole che la scopre raramente.
Davanti a me vedo questa cresta di roccia sottilissima, da una parte il nulla, 100 metri di rocce accatastate le une sulle altre, dall’altra parte un muretto di neve in cui incastrare la picca. Un respiro profondo, faccio il primo passo e la paura si scioglie diventando concentrazione. Questo è il racconto della mia salita alla Cima di Jazzi, 3804 metri, accompagnata da quattro compagni di roccia e ora anche di ghiaccio.
Salita a Cima di Jazzi, primo giorno
Ore 5:00
Il suono della sveglia irrompe nel mio sonno violentemente, e mi martella le orecchie finché non decido di alzarmi. Mi trascino in cucina dove Fabio mi sta aspettando con un sorriso stampato sulla faccia e una tazza di tè caldo con qualche fetta biscottata. Mi sento tutto lo stomaco in subbuglio, gli occhi gonfi e la testa che scoppia. Sono agitata. La colazione e qualche coccola mi danno la carica per prepararmi. Guardo l’orologio e realizzo che ci dobbiamo dare una mossa, alle sei arrivano anche Giacomo e Martina per partire. Raccolte tutte le nostre cose, scendiamo nel parcheggio davanti a casa. Nello stesso momento sono arrivati anche gli altri. Dopo rapidi saluti carichiamo tutto alla svelta e partiamo in direzione Macugnaga.
Ore 8:22
Finalmente arriviamo al parcheggio delle funivie del Monte Moro, dove lasciamo la macchina e incontriamo Marcello, l’ultimo ragazzo della nostra combriccola di cinque. Pronti a partire alle 8:30, prendiamo la prima funivia. Nella cabina incontriamo altri tre ragazzi che avevano in programma la nostra stessa gita. Dentro di me, mentre guardo fuori dalla funivia i pratoni e le rocce che si disegnano sotto di noi, continuo a ripassare i nomi dei posti che ci accompagneranno durante due giorni. Il primo giorno è facile da memorizzare, perché dal passo del Monte Moro, attraversato il ghiacciaio del Roffel, arriveremo al Bivacco Città di Luino. Qui, a quota 3573 metri, ci riposeremo per poi ripartire il giorno dopo. Il secondo invece è già più impegnativo sia da memorizzare che da affrontare. Dal Bivacco, lungo un traverso di neve piuttosto esposto, ci dovremo spostare fino al Passo Jacchini. Arrivati al passo dovremo scendere per poi risalire dal versante nord della cima Jazzi, obiettivo ultimo di questa due giorni. Dopo avere conquistato la cima, dovremo scendere verso il passo del nuovo Weisstor. Da qui ci sposteremo lungo un traverso attrezzato con spit e chiodi fino a una prima sosta di calata. Ripeteremo tutto una seconda volta per un totale di due traversi e due calate. Infine dovremo continuare a scendere in direzione di Capanna Sella e poi giù fino a Macugnaga.
Ore 9:00
Abbiamo appena lasciato la funivia e iniziato a camminare. Non ci aspettavamo di trovare così tanta neve. Al Passo del Monte Moro avremmo dovuto trovare un sentiero, e invece siamo alla ricerca delle tracce dei tre ragazzi partiti prima di noi. In questo primo tratto ci muoviamo abbastanza lenti, dobbiamo fermarci spesso a mettere e togliere i ramponi dagli scarponi in base ai punti che troviamo coperti di neve. L’ultimo tratto prima di arrivare all’inizio del ghiacciaio è composto da grandi massi sui quali ci arrampichiamo facilmente. E finalmente eccoci: davanti ai miei occhi vedo tutto bianco, una distesa infinita di neve e di ghiaccio si apre sotto il cielo azzurro. Sono talmente ammaliata da questo spettacolo naturale, che impiego un sacco di tempo a tirare fuori dallo zaino l’imbrago e l’attrezzatura per legarmi. Il ghiaccio scricchiola sotto i miei piedi. Le condizioni sono perfette: tutti i crepacci sono chiusi dalla neve, e il ghiaccio tiene che è una meraviglia. La traversata di questo ghiacciaio sembra infinita. Appena passata una duna di neve, subito ne vediamo altre tre nuove, quasi non ci fosse mai una fine.
Ore 13:30
Man mano che cammino mi rendo conto di quanto questo luogo sia selvaggio. Questa natura completamente coperta da un manto bianco è silenziosa come se tutto intorno a noi fosse in perenne letargo. L’unica vita, l’unico colore siamo noi e l’azzurro del cielo. In questa quiete lascio andare ogni tensione e i miei pensieri si liberano da tutti i pesi. La pace. In lontananza questo bianco candido è interrotto da una lingua nera di detriti rocciosi. Una slavina. Superata quest’ultima ci troviamo ai piedi di un panettone roccioso ricoperto da ghiaccio crepacciato e da un seracco di neve. Passiamo quest’ultimo tratto grazie ad uno spesso ponte di neve. Finalmente una meritata pausa. Dopo aver mangiucchiato qualcosa, riprendiamo a camminare lungo un pendio e raggiungiamo il tratto di cresta finale che ci dovrebbe portare alla destinazione di oggi. La cresta non è esposta se non negli ultimi metri prima del bivacco Luino. Cammino lungo una sottilissima cresta di roccia. Un passo alternato a un respiro. Evito di guardare alla mia sinistra, faccio solo attenzione a dove appoggio i piedi. Finalmente fuori da quest’ultimo tratto, davanti a me c’è solo il bivacco.
Ore 15:15
La struttura in lamiera e legno è piuttosto accogliente. Dentro troviamo i tre ragazzi che abbiamo incontrato in funivia qualche ora fa. Loro si sono già sistemati nel letto sopra il cucinotto del bivacco, e hanno messo della neve a sciogliere per preparare un po’ di tè. Non fa caldissimo, anzi, io mi sento piuttosto infreddolita. Ho tutte le zone periferiche del corpo intorpidite dal freddo e dal vento, e la maglietta madida di sudore non fa altro che peggiorare la percezione di freddo e umidità. Dopo esserci sistemati facciamo rapidamente amicizia con l’altra cordata, e così tra una canzone e una chiacchiera aspettiamo l’arrivo di una quarta cordata. Il bivacco, da poco ristrutturato, si compone di due ambienti distinti. Quello centrale è la costruzione nuova, e al suo interno ci sono un piccolo cucinotto attrezzato, un grande tavolo con panche di legno su cui mangiare e un soppalco che ospita quattro posti letto. Nella seconda struttura, ossia il vecchio bivacco, troviamo solo un letto a castello che conta otto posti in totale. Noi cinque dovremo dormire quindi tutti insieme in un unico letto, pigiati come sardine.
Il vento sbatte forte contro le finestre e si alza qualche nuvola. Noi per fortuna siamo al calduccio e consumiamo la nostra cena. Risotto alla milanese liofilizzato… una delizia. Tre colpi alla porta, ecco l’ultima cordata che stavamo aspettando da tutto il pomeriggio. Nel bivacco entrano quattro ragazzi sardi carichi di cibo. Dai loro zaini tirano fuori prelibatezze: salamino, mezzo chilo di pasta, il ragù, un pacco di biscotti, un litro di vino… Scemi noi, che abbiamo deciso di viaggiare leggeri con tre buste di riso e qualche panino!
Salita a Cima di Jazzi, secondo giorno
Ore 5:00
La sveglia suona all’impazzata. Non sono molto riposata, la nottata è stata tremenda tra i sardi che russavano e Giacomo che sembrava più un trattore che un essere umano. Abbiamo tutti faticato a dormire. Facciamo colazione, laviamo i denti e siamo di nuovo pronti per metterci in marcia. In tutto questo, alla fine dei ragazzi sardi non abbiamo visto neanche l’ombra: tra il vino della sera precedente e la stanchezza della giornata, si sono scordati di puntare la sveglia e così sono rimasti a dormire.
Il primo tratto che affrontiamo è un traverso piuttosto esposto dove però la prima cordata (che era partita un’ ora prima di noi) aveva già scavato delle belle impronte. Quindi passare di lì è piuttosto semplice. Sarebbe stato diverso se noi avessimo dovuto tracciare il sentiero. Arriviamo al passo Jacchini. Scendiamo su questa neve che ha un grip fantastico, e poi dritti in cima fino alla campanella della Jazzi, 3804 metri. La giornata ci presenta un cielo nitido e di un azzurro intenso, il panorama dalla cima ci offre la visuale sulla parete est del Rosa, sul Cervino e in lontananza si intravede anche il Monte Bianco.
La discesa come sempre si rivela più faticosa della salita, sia mentalmente che fisicamente. La prima parte richiede molta attenzione e prudenza per evitare di farsi male. Un traverso attrezzato con spit e chiodi porta a una prima sosta di calata. Io mi calo per prima e raggiungo la seconda sosta, dove aspetto che arrivino anche gli altri. Un secondo traverso meno esposto e più breve del primo, sempre attrezzato con spit, ci porta a quella che avrebbe dovuto essere l’ultima sosta di calata prima di arrivare a una cresta di sfasciumi rocciosi. Martina e Giacomo procedono davanti alla nostra cordata. Arrivati a fine dell’ultima calata, guardando il tratto roccioso che avremmo dovuto affrontare, si rendono conto che non è poi così sicuro. Così tutti insieme decidiamo di tentare una calata dentro un canalino di neve e roccia, che a prima vista sembra tranquillo.
Si cala prima Fabio, e si rende conto che le corde non sono sufficienti ad arrivare fino in fondo. Si assicura a una sosta piuttosto vecchia e poco sicura fatta da un cordino con le estremità incastrate nella roccia, poi piano piano ci caliamo tutti. Io vado per seconda. Mi calo su entrambe le corde fino a raggiungere Fabio. Successivamente mi stacco dalle mezze con il reverso, mi assicuro alla sosta e poi riattacco il reverso a una sola delle due corde, quella più lunga. Con un po’ di timore mi appendo e inizio a calarmi su questa finché, a un certo punto, la corda salta e io finisco contro una roccia sbattendo il fianco e perdendo la borraccia dallo zaino. Niente di che, pensandoci a posteriori, ma sul momento mi spavento molto.
La paura di quel momento mi pietrifica e compromette il resto della discesa. Resto paralizzata alla fine di quel canalino, con la picca infilata nella neve a cui mi tengo fortissimo aspettando l’arrivo di Giacomo, il terzo a calarsi, che mi aiuta a venire fuori da quella situazione di panico. Calati tutti, ricomponiamo le cordate e proseguiamo fino a Macugnaga un po’ nella neve, un po’ sul sentiero. Gli ultimi chilometri prima di arrivare in paese ci mettono nuovamente alla prova quando arriviamo nei pressi di un fiume. L’alluvione che aveva colpito la zona nei giorni precedenti ha portato via parte del sentiero e non c’è il ponte per attraversare. L’unica soluzione è quella di guadare il fiume. Marcello e Giacomo tendono una corda da una parte all’altra del fiume, e piano piano passiamo tutti. Arrivati alla macchina non mi sembra vero di essere uscita illesa, talmente tante sono state le “sfighe” e la fatica della giornata. Però ce l’abbiamo fatta tutti, nonostante le paure e le preoccupazioni di ciascuno di noi. E ora… via verso la prossima avventura!
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