Come racconta Cecilia Costa a proposito della sua escursione al bivacco Combi e Lanza, quando si va in montagna bisogna essere capaci anche di “mollare il colpo” senza rimpianti.
È un sabato come tanti altri. Inizia a fare caldo a Genova, e l’afa entra prepotente dalle tapparelle della camera da letto. L’euforia della festa del giorno prima rimbomba ancora in testa, mentre con un sorriso mi affretto a spegnere la sveglia che suona puntuale alle 5.15.
È incredibile quanto il mio corpo reagisca in modo positivo alle poche ore di sonno quando devo andare in montagna: è un richiamo a cui non resisto. Ci ho pensato tutta la settimana mentre sceglievamo l’itinerario e ci davamo un obiettivo ambizioso e inutile per tutti tranne che per noi: preparare la pizza a 2420 metri di altitudine.
Devo fare piano e non svegliare nessuno, ma occorre muoversi o sarò in ritardo. Con la faccia assonnata mi giro di lato. Lo zaino è pronto, e la soddisfazione di aver “incastrato” il necessario per un weekend negli striminziti 22 litri del Salewa verde mi riempie di orgoglio. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma pian piano sto prendendo le misure per il mio zaino perfetto, e un giorno ci arriverò.
Ripasso mentalmente quali sono le ultime cose da recuperare: la macchina fotografica in carica, la “schiscetta” di cibo in frigo, l’ultima bustina di polvere da bere per la cartilagine (che mi ricorda tra l’altro il fatto che devo prestare attenzione: non bisogna farsi male in assoluto, ma oggi un po’ di più).
Mi chiudo la porta alle spalle, passo a prendere la mia compagna di avventure e partiamo in direzione Gravellona Toce, deviazione Val d’Ossola e poi Alpe Devero. Meta finale il bivacco Combi e Lanza, il primo di questa stagione.

Bivacchi e cime innevate: la lunga primavera della montagna
Non siamo molto fortunate con il meteo: sapevamo che sabato sarebbe stato nuvoloso con qualche goccia di pioggia qua e là, ma per un po’ continuiamo a sperare in un miglioramento improvviso (che a un certo punto arriva davvero).
Alpe Devero ci conquista con il fascino delle sue casette di montagna, un paese ancora fantasma che aspetta di animarsi durante la stagione estiva.
Attraversiamo la strada bianca costeggiando il torrente, e pian piano iniziamo a salire lungo il sentiero che diventa sempre più ripido. La salita si fa sentire, ma il panorama ripaga la fatica.
Guardando in su cominciamo a scrutare il profilo severo delle alte montagne: la Val Buscagna così come le valli limitrofe mostrano una “selvaggitudine” inaspettata. Sono rigogliose e floride, ricche di corsi d’acqua e cascate, e ci proiettano verso paesi nordici lontani.
Arriviamo a Buscagna, a 1.967 metri di quota, e ci si apre davanti un paesaggio ancora diverso. Siamo in un pianoro verdissimo, meta di alpeggi estivi, come ci suggeriscono le malghe sparse qua e là.

Nelle insenature delle montagne, il bianco della neve chiazza la roccia. La neve è la nostra prima incognita: non ci aspettavamo ce ne fosse ancora così tanta, ma è una cosa nuova che affronteremo insieme.
Costeggiamo l’alpeggio e troviamo finalmente un cartello segnaletico. Meno di un’ora e quaranta alla meta, tutto dritto avanti a noi. Attacchiamo la salita. E intanto impariamo a non fare troppo affidamento sulle tracce online, specialmente perché in zona non si prende nessun segnale.
Temporali e rinunce: a volte si deve tornare indietro
Affidandoci esclusivamente alla segnaletica bianca e rossa, seguiamo il sentiero spostandoci prima su rocce più o meno grandi, poi guadando più volte un torrente e infine trovandoci ad affrontare piccoli tratti nevosi.
La fatica del ravanage unita alla salita, alla pioggerella sopraggiunta e, per quanto mi riguarda, ai dolori articolari, rende il tutto più complicato. Fermandoci a riposare, ci accorgiamo poi che stiamo seguendo una via sbagliata.
“Dovremmo vederlo dall’altro lato, il bivacco. Mi sa che è là infossato. Quella guglia dovremmo averla a sinistra e non davanti.”

Siamo stanche, e un pochino demoralizzate. La voce metallica di Komoot continua a segnalarci di tornare indietro, e noi vediamo pian piano sfumare il nostro obiettivo. Siamo ancora in tempo per tornare al bivio e risalire, ma il meteo peggiora a vista d’occhio e le nuvole si fanno sempre più basse e cupe. Tornate all’alpeggio aspettiamo che spiova con la consapevolezza crescente che non saliremo più. Almeno non stavolta.
Prendendo l’unica decisione responsabile possibile, percorriamo a ritroso i nostri passi e torniamo ad Alpe Devero. Abbiamo comunque un piano B, trovato sul momento, e un po’ di fortuna: c’è un campeggio che affitta delle yurte. Dormiremo lì, e faremo la pizza come ci eravamo prefissate.
Allestiamo il nostro rifugio, stendiamo la roba fradicia e cominciamo a preparare la cena allestendo un piano di lavoro degno della migliore cucina stellata. Organizzate alla bell’e meglio con un paio di panchette di legno, il fornelletto che sfrigola, impasto e salsa portati nei Tupperware. Una birretta in mano, e l’odore di montagna e affumicato che ci avvolge.
Dopo pochi minuti non ci interessa nemmeno più troppo aver dovuto rinunciare: l’abitudine ad andare in montagna ce lo ha fatto capire spesso. E la mia iniziale delusione, in qualità di “capo gita”, sfuma nel chiacchiericcio tranquillo e nel sapere che tanto ci sarà presto un’altra possibilità. Un’altra meta ancora tutta da scoprire. Felici aspettiamo l’indomani. E allla fine è uscito anche il sole.

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