I ragazzi del progetto EWA hanno l’obiettivo di discendere le 13 cascate più alte del mondo. Quelle del Serio sono le cascate più alte d’Italia, e rappresentano un allenamento ideale. Ecco il loro racconto di questa impresa.
Comincio a raccontare chi sono io. Anzi, chi siamo noi del Vertical Water: un team di torrentismo italiano che nasce dal desiderio di andare dove nessun altro è stato prima.
E poi c’è il progetto EWA (Endless Waterfalls Adventure), che ha un obiettivo ambizioso: la discesa delle 13 cascate più alte del mondo, gran parte inesplorate. Con uno scopo del genere, non si può trascurare l’allenamento. In Italia ci sono pochi siti che permettono di mettersi davvero alla prova sulle grandi verticali: le cascate del Serio sono uno di questi.

Punto di riferimento del panorama della val Seriana, Valbondione (Bergamo), quelle del Serio sono complessivamente le cascate più alte d’Italia: 315 metri di maestosa caduta, in tre grandi balzi. Il primo di questi supera i 150 metri.
Eccoci quindi, in una mattina di mezza estate, con gli zaini in spalla e belli carichi. Valichiamo la diga a monte delle Cascate e piantiamo il primo armo.
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Siamo in otto, e dopo un avvicinamento di tre ore, scenografico ma dispendioso di energie, studiamo la linea di calata. Per metterci alla prova non abbiamo fatto una prospezione dettagliata prima dell’impresa, scelta azzardata ma ponderata.
Qui la prima sorpresa: eravamo partiti con l’idea di una ripetizione, informati che qualcuno prima di noi aveva completato quella discesa. Gli armi che troviamo però raccontano che la verticale non era mai stata affrontata immersi nel getto, contesto che per un torrentista è assolutamente imprescindibile.

Partiti per un allenamento, ci troviamo quindi alle prese con un’esplorazione e miriamo alla base della cascata, satura di nebulizzazione, colorata da un raggiante arcobaleno.
Tra noi e il traguardo, una vera sfida: la parete sinistra della cascata si presenta strapiombante, mentre su quella destra si infrange il grosso flusso d’acqua.
Per scendere lungo la riva sinistra avremmo due possibilità: scendere nel vuoto con il rischio di trovarsi troppo lontano dalla parete per installare gli ancoraggi successivi, oppure installare molti ancoraggi lungo il tetto dello strapiombo, sacrificando troppo tempo e materiale.
La riva destra non è meno ostica: per aprirci una via dovremmo spostarci a margine del potente e freddo getto che colpisce le rocce con 150 kg d’acqua al secondo. E quanti deviatori dovremo sacrificare?
Quello che sembrava un giochino da allenamento, ci mette in difficoltà: ore ed energie se ne sono andate tra avvicinamento e studio della parete, che è molto più ostica di quello che sembra. Abbiamo corde lunghe, ma che non arrivano al centinaio di metri, è primo pomeriggio, ci si prospettano tante ore di lavoro, e non siamo equipaggiati per dormire in parete.
Alle prese con le cascate più alte d’Italia: tornare indietro non è un’opzione
Non aspettavamo altro che metterci alla prova, di tornare indietro non se ne parla. Massimo prende in mano la situazione e, sostenuto dal gruppo, si muove a destra per installare il primo ancoraggio. La parete è ricca di asperità, pericolosissime per tagli e incastri di corde; e la roccia è scivolosa.
Dopo il primo armo, Massimo cede il testimone ad Andrea che prosegue l’esplorazione. I vortici del vento trasportano poderosi scrosci d’acqua gelata che ci si riversano su di noi, inermi all’armo.
L’acqua abbassa la nostra temperatura e ci ruba le energie: scendiamo avvolti da effimeri arcobaleni, non dobbiamo perdere il ritmo e non dobbiamo abbassare la guardia, una corda si è già lesionata. Giungiamo alla base del primo grande salto. È tardi, ed è chiaro che non riusciremo ad ultimare la discesa con la luce del sole.
Il sole ci abbandona
Continuiamo ad installare ancoraggi sul secondo e poi sul terzo tratto di cascata, dove le verticali sono più basse e l’interazione con l’acqua è meno devastante.
Procediamo molto più velocemente fin dopo il tramonto. Accendiamo le nostre torce frontali ma rallentiamo di nuovo perché l’oscurità nasconde le insidie dell’ambiente montano.
Conquistiamo la base della cascata solo alle 22.00. Ce l’abbiamo fatta, ma altre due ore di cammino ci separano dal meritato festeggiamento in campeggio. L’esercizio rende perfetti e da questa esperienza portiamo a casa tante informazioni e nuovi dati da utilizzare per le future grandi avventure verticali che ci aspettano nei prossimi mesi in giro per il mondo.
Qui il video della nostra esperienza:
https://www.facebook.com/verticalwatercanyoning/videos/108588884367077
Concedetemi di citare tutti i nomi dei componenti del team, oltre al sottoscritto: Stefano Farolfi, Carlo Marella, Giacomo Meglioli, Roberto Nardoni, Lorenzo Rossato, Elena Sartori, Francesco Secci, Massimo Todari. Ringraziamo Sirio Bologna e Sara Lovato per il supporto esterno. Oltre al CAI che patrocina il progetto EWA, in particolare con le sezioni di Bordighera, Pistoia, Sesto Calende.
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