Lo scrittore Matteo Righetto racconta nella web serie “L’anno dei sette inverni” il suo lockdown vissuto in una baita sulle Dolomiti. Sette puntate per riflettere sul rapporto tra uomo e natura.
“Poco più di un anno fa si pensava che l’inverno fosse ormai alle spalle ed eravamo tutti pronti a rivivere i sentimenti di rinascita evocati da ogni primavera. Invece accadde improvvisamente ciò che tutti sappiamo: le ombre di un nuovo tempo si allungarono sulle nostre vite riportandoci nuovamente indietro, facendoci ripiombare nel cuore di una singolare e interminabile stagione fredda, più buia che mai. Dovemmo segregarci in casa, rintanarci come fanno gli animali del bosco in fuga dai grandi predatori, chiuderci nelle nostre profonde angosce che ci hanno rapidamente sbaragliato”.
Chi parla è Matteo Righetto, scrittore, membro del comitato etico-scientifico di Mountain Wilderness, nonché docente di Lettere e di Letteratura Ambientale e del Paesaggio presso l’Università degli Studi di Padova. Sua l’idea di una web serie prodotta dal Teatro Stabile del Veneto, e in onda tutti i giorni alle 18.00 sui canali social del Teatro, Facebook, Instagram e YouTube.
La serie racconta il periodo di isolamento trascorso dallo scrittore padovano nel borgo dolomitico di Colle Santa Lucia nel Fodòm, durante i lunghi mesi della pandemia. Un’esperienza quasi eremitica, che ha dato vita alle sette puntate della web serie diretta da Marco Zuin, con le musiche di Giorgio Gobbo.
L’anno dei sette inverni, alla scoperta di una nuova humanitas
Girati in una baita del posto, tra i boschi del Fodòm e la valle di Colle Santa Lucia, gli episodi riportano alla luce la relazione ancestrale che lega l’uomo alla natura, un rapporto grazie al quale Righetto riscopre l’attenzione verso le piccole cose, il silenzio e la semplicità della montagna, i ricordi di famiglia e dell’infanzia, elementi su cui riflette per tendere a una nuova humanitas capace di rifondarsi sulla conversione ecologica.
“Quell’isolamento, pur nel dramma generale di ciò che stava accadendo intorno a me, si è rivelato come preziosa occasione per imparare daccapo a cogliere e apprezzare il valore della relazione ancestrale tra i nostri piccoli gesti e gli elementi naturali, come l’accensione di un fuoco, lo sfioramento di un larice, l’ascolto del vento e la contemplazione della neve che scende dal cielo”, ha spiegato Righetto.
Il racconto, secondo il regista Marco Zuin, “è la metafora di questo presente, legata al periodo che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, un periodo fatto di sospensione forzata, incognite, un quotidiano fatto di azioni semplici, senza l’attesa di risposte o soluzioni”.
“Conosco il suono dell’inverno e so dove andarlo a scovare – ha aggiunto Giorgio Gobbo, autore delle musiche -. Quest’anno, in montagna, la prima neve è arrivata precoce. È giunta inaspettata come i fili bianchi che appaiono tra i capelli, nello specchio in un mattino d’autunno. Tuttavia “L’anno dei sette inverni” non racconta del ciclo naturale delle stagioni bensì della sua distorsione. Narra di un tempo congelato fino a deformarsi in un inverno che dura ormai da più di un anno. Prima ancora di posare le dita sulla tastiera per cercare atmosfere e melodie, ho avvertito che la colonna sonora avrebbe dovuto far dialogare suoni acustici (archi, pianoforte) con rumori e alterazioni digitali”.
Questo il video di presentazione del progetto:
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