Classe 1969, romana trapiantata a Milano, è stata una delle più forti maratonete italiane. Ecco i consigli di Lucilla Andreucci per correre una maratona.
Classe 1969, romana trapiantata a Milano, Lucilla Andreucci è stata una delle più forti maratonete italiane. Conta 13 presenze in nazionale su questa specialità. Con un personale di 02:29:43 registrato a Milano nel 2000.
La sua carriera agonistica vera e propria inizia nel ’92, quando supera il concorso che le consente di entrare nella Forestale. Lì può finalmente dedicarsi a tempo pieno alla sua passione: la corsa. Allenata per cinque anni da Giorgio Rondelli (trainer di atleti come Alberto Cova e Francesco Panetta), è stata poi seguita da Renato Gotti.
La sua vita, le sue corse, le sue paure e la sua determinazione: Lucilla ne ha parlato nel corso di un incontro organizzato dalla società podistica Road Runners Club di Milano (moderatore Walter Brambilla, direttore del magazine La Corsa). E ha fornito la sua particolare ricetta per portare a termine una maratona nel migliore dei modi. In sette mosse.

I sette consigli di Lucilla Andreucci per correre una maratona
1) Dieta. «Rispetto alle mie colleghe, io sono sempre stata un po’ cicciottella. Faccio molta fatica a rinunciare al cibo, e questo è sempre stato il mio limite. All’inizio seguivo la dissociata, poi è arrivata la moda della dieta Zona. Un po’ meglio, perché almeno si mangiava di tutto un po’. Ma indubbiamente il regime alimentare dei professionisti è “triste”. In tavola ci sono sempre le stesse cose. Privilegiato è chi non ne soffre troppo».
2) Obiettivi. «Bisogna sempre averne uno, altrimenti l’allenamento perde di senso. Certo, bisogna cercare obiettivi che siano alla propria portata e focalizzarsi su quelli. Per non restare nel campo della teoria».
3) Stimoli. «Per una donna è più difficile allenarsi con regolarità. Un po’ gli impegni familiari. Un po’ il fatto che comunque vieni percepita quanto meno come “originale”. E poi correre da sole – soprattutto la sera – non è il massimo. Meglio trovare compagni di allenamento. Quelli che ti spronano quando hai poca voglia, e ti fanno sentire in colpa quando vorresti rinunciare».
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4) Diversificazione. «Oggi tutti corrono le maratone perché va di moda. Ma sia chiaro: la maratona è una scelta estrema. Dovrebbe essere un punto di arrivo, e non di partenza. Prima di portarne a termine una, bisognerebbe aver provato un po’ di tutto. A parte il fatto che distanze del genere logorano il fisico, è utile cimentarsi con gare più brevi. Io per esempio ho fatto molti cross. E lì non ce n’era: non riuscivo mai a piazzarmi. Una scuola di umiltà, ma anche di tattica».
5) Infortuni. «Arrivano sempre nel momento più inopportuno. Quando sei al meglio della forma fisica, e poco prima di una gara importante. Ma inutile prendersela. Anzi: c’è molto da imparare. Quando vinci, ti senti onnipotente. Sei convinto di poter fare qualunque cosa. Ma è quando il tuo fisico cede, che sei costretto a pensarci sopra. A chiederti perché. Ad analizzare dove hai sbagliato. La fermata per infortunio, per me, alla fine è sempre stata un periodo di crescita importante».
6) Allenatori. «Un rapporto fondamentale, quello con il proprio allenatore. Ma poi arriva il momento in cui le strade devono dividersi per forza. Come è successo a me con Rondelli. Lui è uno davvero tosto. Ti marca stretto, non ti molla un attimo, né in allenamento né in gara. E non ha pietà. Nemmeno se sei una donna. Mi ha portato a grandi risultati. Perché ci siamo detti addio? Perché a un certo punto si era creata troppa confidenza tra noi. Io, l’allieva, cominciavo a mettere in discussione i suoi programmi. Cercavo di ridurre il carico di fatica, contrattando. E quando si arriva a quel punto, non funziona più. L’atleta deve affidarsi totalmente all’allenatore, ed essere plasmabile come cera sotto le sue mani».
7) Risultati. «Sia chiaro: non arrivano mai per caso. Non esistono atleti così dotati dalla natura, da realizzare grandi performance senza fatica. Certo, il fisico è fondamentale. Ma lo sono altrettanto il senso del dovere, la disciplina, la rinuncia. Io ho raggiunto tanti obiettivi. Ma alla corsa ho dato tutto».
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