Si chiama Nelle tempeste del futuro l’ultimo libro di Pietro Trabucchi, psicologo e grandissimo esperto di resilienza. Che mette in guardia dai pericoli della nuova società digitale e raccomanda: “La pratica sportiva può essere un toccasana”.
È arrivato, finalmente. Stiamo parlando di Nelle tempeste del futuro (ed. Corbaccio), l’ultimo libro di Pietro Trabucchi. Psicologo, atleta di altissimo livello, preparatore dei membri di spedizioni alpinistiche, docente universitario e molto altro, Trabucchi è anche uno dei maggiori esperti mondiali di resilienza. Vale a dire di quella capacità (oggi per altro sempre più rara) di adattarsi agli eventi e di farvi fronte in maniera positiva, senza lasciarsi scoraggiare e continuando a impegnarsi per raggiungere gli obiettivi.
Di resilienza, così come degli altri libri di Pietro Trabucchi, abbiamo già parlato in diversi articoli. In questo Nelle tempeste del futuro, l’autore va ancora oltre: si sofferma a considerare come è profondamente cambiato il nostro mondo, sull’onda della tecnologia e più di recente a causa degli effetti della pandemia di Covid. Il risultato è che viviamo in una sempre maggiore incertezza, e che i nostri rapporti sociali stanno diventando sempre più virtuali. Con ripercussioni psicologiche ma anche fisiche. E addirittura con alterazioni della nostra capacità di riconoscere i bisogni primari e distinguere la realtà dalla finzione.
Potremo salvarci? Forse. A patto di riscoprire le virtù dei nostri lontani progenitori, che possono riassumersi proprio in una parola: resilienza. E la pratica sportiva può essere un mezzo per riuscirci. Ecco che cosa ci ha raccontato Pietro Trabucchi.
– Il mondo sta cambiando, e questi cambiamenti determinano una sempre maggiore incertezza e instabilità. Il nostro cervello non è preparato ad adattamenti veloci, ed è quindi necessaria una sorta di “allenamento” per renderlo capace di affrontare le sfide del futuro. Ma il cervello può essere allenato come si allena il fisico per una impresa sportiva?
“Il cervello e il sistema nervoso centrale sono parti del corpo a tutti gli effetti; e per loro valgono le stesse leggi fisiologiche che determinano gli adattamenti all’allenamento. Se stimolo il mio cervello con compiti che migliorano, per esempio, le competenze linguistiche o l’orientamento spaziale, creo nuove connessioni che aumentano il mio rendimento in quella funzione; e molti studi lo hanno dimostrato. Allo stesso modo se mi alleno con dedizione a tenere duro, a rimanere concentrato o a superare il dolore, il mio cervello farà di tutto per adattarsi al compito imposto. Spesso ce ne dimentichiamo, forse anche perché ci fa comodo pensare che le capacità mentali siano indipendenti dall’impegno o determinate dai geni o dal destino”.
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– Tu parli di quattro capacità essenziali per sopravvivere nel mondo attuale: reggere l’incertezza, pensare in modo autonomo, diminuire l’ego, sapersi autoregolare. Sono le stesse capacità richieste a uno sportivo per ottenere buoni risultati?
“Sì, sono capacità trasversali che servono a tutti. Ma – come fai notare –sono anche le stesse che possono aiutare gli sportivi. Infatti, se non hai auto-regolazione, se non sai auto -disciplinarti non reggi le frustrazioni, non reggi la fatica, non riesci ad impegnarti quando non c’è gratificazione immediata. Reggere l’incertezza, ovvero non demotivarsi quando non abbiamo un controllo totale degli eventi, è fondamentale nel mondo di oggi. Essere esposti all’incertezza provoca persino effetti negativi sull’organismo. L’incertezza è quotidiana nello sport di oggi (pensa alle ultime Olimpiadi di Tokyo e lo dimostra anche la ricerca che abbiamo compiuto durante l’attraversata della Groenlandia descritta nel libro). Pensare in modo autonomo -competenza straordinariamente importante in generale- ha un senso profondo anche per gli atleti: oggi anche il mondo sportivo è mercificato, sottoposto alle mode (anche rispetto ai metodi di allenamento), al marketing e al culto del “prodotto magico”, della “tabella perfetta” e del guru infallibile. Sviluppare gli anticorpi verso tutto questo è importante. Infine, diminuire l’ego. Se sei capace di farlo, elimini alla radice tre quarti delle preoccupazioni che affliggono gli atleti professionisti. Le grandi prestazioni quasi mai affondano le loro radici in raffinate tecniche mentali: bensì su di un rapporto sereno con sé stessi”.
– Queste caratteristiche sono valide soprattutto per gli sport di endurance e per le grandi imprese, o valgono anche per sport come, per esempio, i 100 metri piani? Accettare i propri limiti – soprattutto in sport di sprint – non può portare a un minore impegno?
“La capacità di accettare i propri limiti è il fondamento per crescere. Nel momento in cui riconosco i miei limiti, automaticamente dispongo di una direzione su cui lavorare e di una motivazione per farlo. È la rassegnazione a portare ad un minore impegno, che è una cosa totalmente diversa”.

– Hai raccontato gli esempi di eccellenza nell’autoregolazione degli operatori delle Forze Speciali. Ma la disciplina è una forma mentis che si può acquisire anche in età adulta, o va coltivata nella prima fase della vita?
“Certo, acquisire le abilità di auto-regolazione da bambini è vantaggioso. È come imparare a nuotare da piccoli: con meno fatica si acquisisce una acquaticità migliore. Il che non vuol dire che non si possa diventare ottimi nuotatori anche imparando in età avanzata: è solo questione di quanta energia e tempo si possono investire nell’obiettivo. L’investimento necessario cresce proporzionalmente all’età”.

– Un capitolo del libro è dedicato a un problema che coinvolge in modo pesante la nostra società: la perdita di pensiero autonomo e l’incapacità di distinguere tra vero e falso. Con estremi che dal punto di vista collettivo arrivano ai complottismi e ai negazionismi; e dal punto di vista del singolo addirittura all’incapacità di riconoscere i propri bisogni primari (freddo, sete, fame, ecc.). Come ci potremo salvare? Anche in questo caso la pratica sportiva potrebbe essere un’alleata per un reset del nostro cervello?
“Come viene mostrato nel libro, in gran parte la perdita della capacità di distinguere tra vero e falso, reale ed irreale, è dovuta alla cultura digitale. Essa ha cambiato i paradigmi della nostra percezione, come mostrano diverse evidenze scientifiche: alla fine abbiamo smarrito il contatto con le sensazioni del corpo e la capacità di riconoscere le emozioni e i bisogni primari. In questo senso la pratica sportiva è un toccasana, perché consente alle persone di riappropriarsi del contatto con la realtà attraverso il corpo e le sue sensazioni”.
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