Che cos’è la neuroatletica? È uno speciale metodo di allenamento che si concentra sul sistema nervoso e mira a migliorare le prestazioni, ma anche a garantire una riabilitazione più rapida o la prevenzione di infortuni.
Qualcuno forse ricorda i Campionati Europei dell’agosto 2022. In quell’occasione l’atleta tedesca Gina Lückenkemper vinse la medaglia d’oro dei 100 metri superando al fotofinish la grande favorita, la svizzera Mujinga Kambundji. Fu allora che venne fuori che Gina si allenava con il metodo della neuroatletica, una disciplina messa a punto da Lars Lienhard.
Lienhard è uno scienziato sportivo (anche lui tedesco) che da anni studia le connessioni e le interazioni tra cervello e movimento. Il risultato è una forma specifica di allenamento del cervello e dei nervi. Lui la chiama neuroatletica. Lienhard è considerato un pioniere in questo campo in Germania, e molti atleti si fanno aiutare da lui. Tra questi anche l’asso del tennis Alexander Zverev e il calciatore Serge Gnabry.
Ma cos’è esattamente la neuroatletica e come funziona? Un articolo pubblicato sul magazine di ISPO affronta l’argomento. “Secondo la teoria classica del movimento, la forza è un attributo fisico e il suo controllo nervoso centrale svolge solo un ruolo subordinato. Ma non è vero, perché i muscoli eseguono solo gli schemi di movimento che il cervello dice loro di fare”, afferma Lienhard.
Quando si arriva a un alto livello di prestazioni, è in genere molto difficile progredire perché si creano dei “blocchi”. Per superarli, spesso si prova a cambiare metodo di allenamento, per esempio giocando sulla forza. Invece spesso a volte è sufficiente attivare il cervello con informazioni sensoriali mirate per riprendere a fare progressi.
Lars Lienhard spiega in questo video come funziona la neuroatletica.
Del fatto che il cervello e le prestazioni sportive siano strettamente correlati è convinta anche Vera Abeln, docente alla German Sport University Cologne, che sta conducendo studi sugli effetti positivi dell’esercizio fisico. “Sembra banale a dirsi, ma il cervello è molto intelligente – ha spiegato la dottoressa -. Se una parte di esso viene utilizzata di più o diventa più importante, lui si adatta con cambiamenti plastici che portano a un funzionamento più mirato ed efficace”. E come il cervello, anche i nervi possono essere allenati. “Si possono creare nuove cellule nervose o nuove e più veloci connessioni neuronali tra cellule”.
Tornando quindi alla neuroatletica, Lienhard è convinto che l’allenamento sportivo dovrebbe basarsi soprattutto sull’attivazione dei sensi anziché soltanto sulle classiche sequenze di movimenti fisici. Diventando quindi un allenamento “neurocentrico”.
Nell’allenamento neurocentrico, gli esercizi possono a volte sembrare un po’ strani: perché ad esempio le articolazioni vengono allungate o ruotate mentre la testa viene tenuta in una certa direzione. L’obiettivo è quello di attivare diversi organi sensoriali, come il sistema dell’equilibrio o la vista.
La neuroatletica si applica a tutti gli sport?
A Lienhard è stato spesso chiesto se la neuroatletica è applicabile solo a determinati sport. In realtà questa metodologia di allenamento può essere utilizzata con successo in tutte le tipologie di sport. Perché il cervello regola e ottimizza qualsiasi tipo di movimento.

L’ex calciatore professionista Jan-Ingwer Callsen-Bracker lo ha sperimentato in prima persona. Il difensore centrale è stato il primo nella Bundesliga a utilizzare la neuroatletica per allenarsi. Dopo gli esercizi tradizionali con la squadra, si dedicava regolarmente a quelli per gli occhi, per l’equilibrio, e allo stretching. All’inizio i suoi compagni di squadra lo prendevano in giro. Poi molti di loro lo hanno affiancato negli esercizi. Oggi Callsen-Bracker è supervisor della Federazione calcistica tedesca, e continua ad essere un convinto sostenitore della neuroatletica.
Se questa disciplina ad oggi non ha raggiunto ancora il successo che dovrebbe spettarle, è perché è molto difficile quantificare in modo scientifico i risultati. A parte il fatto che si tratta di studi relativamente nuovi, gli strumenti oggi a disposizione (per esempio la risonanza magnetica) non consentono di misurare i comportamenti del cervello durante l’attività sportiva. Qualcosa si può fare con l’EEG (elettro-encefalogramma), ma sarebbe necessario effettuare tantissime misurazioni in condizioni sempre identiche: cosa anche questa molto difficile.
Un altro problema è che gli esercizi di neuroatletica per il miglioramento delle performance sportive non sono standard: ma vanno studiati caso per caso in base alle caratteristiche e alle esigenze del singolo atleta. È necessario quindi l’affiancamento di un esperto con funzione di “personal trainer neuroatletico”.
Senza contare – sottolinea Lienhard – che ogni esperto ha la sua metodologia. Esperti diversi possono ottenere risultati diversi, proprio come nel caso degli allenatori che puntano sulla forza e sugli esercizi tradizionali.
In attesa di ulteriori studi che possano fornire dati inconfutabili sui risultati della neuroatletica nell’allenamento sportivo, questa metodologia viene comunque applicata con sempre maggior successo nella riabilitazione post infortunio e nel trattamento del dolore.
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