Niente a che vedere con i paesaggi solari delle Dolomiti. Una vacanza nei boschi dell’Aprica è un’esperienza per chi ama i paesaggi selvatici.
Boschi, torrenti che si buttano a capofitto giù a valle, cime che arrivano a toccare i 3000 metri. Siamo nel parco delle Orobie Valtellinesi, poco sopra Aprica. Qui le case hanno tetti di pietra e muri grigi. Niente a che vedere con i paesaggi solari delle Dolomiti, tutti balconi di legno e gerani alle finestre.
Questa montagna si svela poco alla volta, man mano che si risalgono i fianchi scoscesi delle vallate, ci si inoltra per i sentieri, si scambia qualche parola con la gente del posto. Gente innamorata della propria terra, e ben disposta a raccontarla.
Come Bernardo Pedroni, che estate e inverno accompagna i visitatori alla scoperta del «suo» Osservatorio eco-faunistico. Raggiungerlo è facile: da Aprica si prende la cabinovia del Palabione, e si arriva quasi davanti all’ingresso.
Gli animali visti da vicino
Venticinque ettari di bosco sono il regno di camosci, stambecchi e caprioli. Nessuna barriera tra uomini e animali. Si cammina lungo un viottolo coperto di aghi di pino, osservando a distanza ravvicinata i cuccioli che trotterellano dietro alle madri. Nella Radura delle Cince, gli uccelli arrivano con un frullo d’ali per beccare i semi depositati nella mangiatoia appesa a un albero.
L’anno prossimo saranno ultimati anche i lavori della nuova struttura che ospiterà i grandi rapaci. Al momento sono alloggiati in una casetta tutta per loro, dove ogni giorno aspettano la visita di Pedroni.
Così come Prica e Orfeo, i due orsi che sono un po’ le mascotte dell’osservatorio. A loro è riservato un alloggio in esclusiva: un ettaro di terreno ben recintato, con annesso laghetto. E il pranzo rappresenta una bella fetta della loro attività quotidiana. «La dieta giornaliera di questi due orsi – elenca Pedroni – è composta da 200 mele, una cassetta di carote e una di finocchi. Una volta alla settimana, poi, ricevono 50 trote e 20 chili di carne. Oltre ad angurie, prugne, insalata e crocchette».

Avete mai visitato una torbiera?
Al di là del paese, sull’altro versante, ecco invece Pian Gembro: una vasta conca per buona parte occupata da una torbiera. Un posto, questo, che nelle tetre serate invernali evoca scenari da film horror.
Certo, passeggiare qui nelle belle giornate è tutt’altra cosa. Pian Gembro è una riserva naturale attraversata da un percorso didattico lungo sei chilometri. All’ingresso, in un piccolo fabbricato allestito con terrari, si possono osservare da vicino gli «abitanti del posto»: salamandre, rospi e tritoni.
«E ci sono persino le piante carnivore», avverte Giovanni Calende, classe 1945, coordinatore delle guardie ecologiche. Che finalmente in pensione, ha deposto la tuta da operaio per indossare la divisa verde da paladino dell’ambiente.

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Se poi ci si vuole lasciare alle spalle l’infilata di condomini di Aprica, bastano dieci minuti di auto per sentirsi protagonisti di una storia alla Into the Wild. È sufficiente puntare verso le valli di Sant’Antonio. Una volta arrivati all’omonimo paese, prendendo a sinistra si sale in Val Brendet. Qui un tempo si estraeva il ferro: ne sono testimonianza i resti dei forni secenteschi dove veniva lavorato il metallo.
Abeti allampanati si stringono uno all’altro puntando verso l’alto, alla ricerca della luce. Nel fitto del bosco, la strada si attorciglia curva dopo curva. Il torrente precipita a balzi verso il basso.
Prendendo a destra da Sant’Antonio, invece, ecco la valle di Campovecchio. La salita è così ripida, che l’auto sembra impennarsi. Poi, all’improvviso, il paesaggio si apre in una spianata verde punteggiata di piccole baite. Un panorama da cartolina. Campovecchio è anche il nome del rifugio che accoglie i turisti in fuga dalla civiltà. E dove servono una grappa ai mirtilli o alle fragoline di bosco davvero impagabile.
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