Paolo Cazzaro è un paraciclista. Con una strana storia alle spalle. Perché non riesce mai a gareggiare per il record del mondo su pista, nonostante le prestazioni eccezionali. Così ha scritto una lettera…
Una lettera indirizzata al governatore del Veneto, Luca Zaia, e all’assessore alle politiche del lavoro e alle pari opportunità della regione, Elena Donazzan. Una lettera che ad oggi non ha ricevuto alcuna risposta.
Di Paolo Cazzaro abbiamo già parlato su Action Magazine. Raccontando i suoi sogni, la sua avventura con Garmin, la sua delusione quando gli è stata preclusa la possibilità di battere il record mondiale dell’ora su pista. Una storia strana, la sua. Con molti punti interrogativi e molte zone oscure. Una storia che non fa bene allo sport.
Questa volta non siamo noi a raccontarvela, ma lasciamo che sia il protagonista in persona. Questa – un po’ abbreviata – la lettera che il paratleta ha scritto. Lasciamo che siano i nostri lettori a trarre le debite conclusioni.
La lettera di Paolo Cazzaro
“È con vivo dispiacere che scrivo questa lettera. È una lettera amara, che parla di una grande frustrazione e di una forte ingiustizia. Mi chiamo Paolo Cazzaro, sono un paraciclista e un ricercatore di storia della gastronomia. Sono nato a Vicenza nel 1970 e ho passato gli ultimi tre anni a preparare – tra Montichiari e il velodromo di Bassano del Grappa – il record dell’ora mondiale su pista in bicicletta (World Hour Record UCI).
Nel 2004 un grave incidente motociclistico mi lascia in eredità – dopo quattro mesi di ricovero in ospedale – una lesione permanente dello sciatico accompagnata da un dolore neuropatico cronico alla gamba sinistra. Oltre a numerose patologie non secondarie, con algesie diffuse in tutto il corpo e con le quali dovrò convivere tutta la vita.
Gli anni del post-trauma sono stati terribili. Per riuscire a lavorare (facevo l’architetto, l’industrial designer e insegnavo a Milano all’Università), dovevo assumere dosi importanti di farmaci anti-epilettici e anti-dolorifici, che mi proiettavano quotidianamente in un mondo ovattato prossimo al dolore e lontano dalle relazioni. Tutto veniva percepito attraverso il filtro della mediazione chimica dei neuro-trofici. Ero arrivato a pesare quasi 100 chili e fumavo oltre 40 sigarette al giorno.
Il giorno del mio 45° compleanno ho deciso di interrompere questo processo letale, e con molta fatica ho iniziato a riprendere la pratica sportiva abbandonata negli anni dell’Università. Sotto strettissimo controllo medico, ho via via interrotto il trattamento farmacologico e imparato lentamente a convivere con il dolore neuropatico. Dall’accettazione del dolore come condizione inevitabile della mia esistenza è inizia una nuova vita, centrata sulla volontà di superare lo stato di disabilità attraverso la pratica dello sport.
Con lo sport inizia una nuova vita
Poi, tre anni fa, le prime competizioni italiane di paratriathlon. I risultati non si fanno attendere: un terzo posto agli italiani di duathlon, un terzo posto agli italiani di triathlon e una medaglia d’argento al mondiale di winter triathlon per la categoria PTS4. Ma i problemi muscolo scheletrici mi permettono di correre solo con grande difficoltà: e il ciclismo diventa alla fine così l’unica disciplina praticabile a livello agonistico.
Il mio coach Luca Zenti, ex allenatore della Nazionale di paratriathlon e ora data scientist della squadra di ciclismo World tour UAE Emirates, mi lancia una sfida che all’inizio mi sembra folle folle: il record dell’ora mondiale paralimpico in velodromo. Siamo a settembre del 2019, le gare internazionali del paraciclismo sono terminate e non rimane che aspettare l’anno successivo per farsi classificare e inserire nella categoria corretta di disabilità.
Gli allenamenti sono esclusivamente dedicati al rinforzo muscolare e all’allenamento metabolico, che significa percorrere migliaia di chilometri tra strade e sentieri, circa 16.000 l’anno per la precisione. Per una persona disabile non è propriamente una passeggiata. Nel mese di febbraio 2020 l’italia si ferma per la pandemia di Covid e tutte le attività agonistiche vengono posticipate all’anno successivo. Viene meno quindi la possibilità di una classificazione internazionale UCI (Union Cycliste Internationale) per abilitarmi a disputare il record.
Tutta l’estate 2021 la trascorro al velodromo Rino Mercante di Bassano del Grappa, dove due volte la settimana scendo in pista per trovare il ritmo giusto, l’assetto e le condizioni ottimali. In ottobre, durante un allenamento a passo gara, riesco a battere i 42,6 km del record mondiale. E lo batto di quasi mezzo chilometro.
Sempre in ottobre, la commissione INPS per l’invalidità mi rilascia il certificato di invalido civile con lo status di “handicappato” (legge 104 comma 3 art. 10). In dicembre sono uno dei vincitori del Beat Yesterday Awards di Garmin Italia che premia gli sportivi con un obiettivo fuori dal comune.
Con l’anno nuovo riaprono le Coppe del mondo per il paraciclismo mondiale, e si presenta la possibilità di classificare la propria disabilità a livello internazionale. Condizione imprescindibile richiesta dalla UCI per disputare il record dell’ora. Sempre per la difficile gestione degli eventi sportivi in regime di pandemia, però, tutte le World Cup vengono annullate e di conseguenza le classificazioni funzionali.
Un’impresa che costa cara
Con la visibilità che mi ha fornito il concorso Garmin e l’appoggio di Davide Cassani, CT della nazionale italiana, inizio il crowdfunding per la mia impresa sportiva. Per disputare un record dell’ora UCI mondiale servono 7.500 euro da anticipare all’antidoping per costruire il passaporto biologico, un set di esami che permettono di verificare il profilo ematologico dell’atleta. Poi ci vogliono altri 4.500 euro da versare il giorno del record per pagare giudici, cronometristi, esami ematologici finali e uso del velodromo.
Grazie al supporto di un’azienda, la Mainetti Spa, ottengo il passaporto biologico. Il documento certifica che non assumo farmaci dopanti e mi obbliga alla reperibilità per eventuali prelievi a sorpresa da parte della WADA, l’agenzia internazionale antidoping.
Per potermi allenare al record dell’ora, previsto per l’autunno 2021, ho la necessità di utilizzare un velodromo coperto con omologazione internazionale. L’unico a disposizione in italia è quello di Montichiari (Brescia), sotto sequestro e in uso esclusivo alla nazionale di pista.
Con l’interessamento del sindaco di Montichiari, Marco Togni, e del prefetto di Brescia, ottengo però l’autorizzazione ad accedere alla struttura per seguire i miei programmi di allenamento.
In luglio 2021 c’è l’ultima occasione per classificarsi con il campionato del mondo di paraciclismo a Cascais, in Portogallo. L’UCI mi convoca direttamente, offrendomi la possibilità di gareggiare e di affrontare le visite specialistiche. Ma a sorpresa la federazione italiana, la FCI, mi impedisce di partecipare. Il record per il 2021 è irrimediabilmente compromesso, e devo quindi riprogrammare tutto per l’anno successivo.
Della frustrazione e dell’amarezza che mi colgono ho parlato in un articolo pubblicato proprio su Action Magazine. Ma non mollo. Un cambiamento dei vertici all’interno della FCI settore paraciclismo dopo le Olimpiadi di Tokyo 2022 mi fa ben sperare. Forse – mi dico – qualcosa si è mosso.
Disabilità, il danno e la beffa
Nel febbraio 2022 ricevo la prima convocazione per la Nazionale di paraciclismo settore pista al velodromo di Montichiari. Sembra che finalmente la ruota inizi a girare dalla parte giusta. E invece la convocazione suona un po’ come una sorta di “trappola”. Mi ritrovo a gareggiare con atleti non appartenenti alla mia classe di disabilità. Ma ancora vado avanti.
In aprile ottengo finalmente – dopo due anni – l’iscrizione alla Coppa del mondo di Ostend (Belgio) e l’accesso tanto agognato al panel di classificazione internazionale che mi avrebbe premesso di tentare il record dell’ora mondiale in funzione della mia classe di handicap.
Il budget si è esaurito, e gli sponsor cominciano a girarmi le spalle. Sono stanchi di questa storia e perplessi di fronte ai problemi con la FCI. Decido ugualmente di partire per Ostend in auto, da solo. Sono 2.800 chilometri tra andata e ritorno. Spero che venga sancita in modo definitivo la mia classe di disabilità, in modo da poter finalmente disputare il World Hour Record a luglio 2022. Ad Ostend, un’altra doccia fredda.
FCI e UCI mi avevano chiesto di produrre esami che certificassero la mia disabilità, redatti esclusivamente da strutture sanitarie pubbliche e non convenzionate. Ho dedicato tempo e attenzione a queste pratiche, e sono riuscito ad ottenere un report diagnostico completo sulle mie disabilità.
Risultato? L’UCI per verificare ha organizzato una visita da remoto via call phone. Il mio interlocutore, Terri Moore (che presiedeva la commissione UCI dal Canada ) non ha valutato i referti clinici presentati in lingua inglese. Ma si è basato unicamente su una serie di mobilizzazioni e prove di forza sommarie degli arti inferiori da parte di una sua assistente.
Questo test a distanza ha prodotto un esito di “non eleggibilità”. Vale a dire: non posso essere considerato un paraciclista. Ora ho in mano un certificato con la scritta “Not eligible”. Anche se ho gareggiato in Italia e all’estero nella categoria di disabilità PTS4. Tutto questo dopo anni di allenamenti, sacrifici, rinunce e sforzi dolorosi per riuscire ad andare oltre il limite. Mi hanno “cancellato”. Alla faccia dello sport paralimpico come movimento inclusivo.
Ma la cosa che mi pesa di più è il silenzio. Il silenzio degli innocenti?”
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