Per la seconda volta Gian Gavino Buseddu ha portato a casa la mitica 100 Km del Passatore. Anche quest’anno ha corso per la onlus Disabilincorsa, con la media partnership di Action Magazine. La differenza tra il 2018 e il 2019? A parte un tempo molto migliore, la sensazione di essere stato davvero “dentro” la gara.
Dieci ore, 54 minuti e 30 secondi. Oltre un’ora meno dell’anno scorso. Non c’è che dire: Gian Gavino Buseddu (Gianni per gli amici) ha davvero di che essere soddisfatto. Per la seconda volta si è presentato al via di una gara affascinante ma assassina come la 100 Km del Passatore. E per la seconda volta è riuscito a mettersi la medaglia al collo. “Grazie a tutti – ha detto arrivando sotto il gonfiabile del traguardo -, alla onlus Disabilincorsa di cui ho portato la bandiera; al media partner Action Magazine; all’organizzazione, che è stata davvero perfetta”.
E non si creda che abbia fatto fatica, Gianni, a pronunciare queste parole dopo avere corso per ben 100 km. Non ha fatto fatica perché ne aveva ancora. Di più: gli ultimi chilometri li ha corsi addirittura in progressione; il centesimo a 4.50. Un miracolo? Tutt’altro. Piuttosto il frutto di un lavoro di mesi di allenamento, coscienzioso come solo un sardo può concepire.

– Gianni, oggi è martedì. Sono passati due giorni. Come ti senti?
“Sono a posto, mi sembra di non aver fatto quasi nulla. Certo, alla fine della corsa ammetto di avere avuto qualche doloretto, ma niente di speciale. Che dire? Nonostante avessi dormito pochissimo nei giorni prima della gara, è andato tutto bene a parte un po’ di mal di testa dovuto probabilmente al caldo e alla tensione”.
– Che differenze hai trovato tra la 100 dell’anno scorso e quella di quest’anno? Cosa vuol dire fare una gara del genere per la seconda volta?
“Tanto per cominciare quest’anno avevo diversificato gli allenamenti. Senza comunque aumentare la quantità. L’anno scorso avevo chiuso in 11 ore e 55 minuti, ma era la mia prima volta. Non sapevo quali difficoltà avrei incontrato lungo la strada. E poi non ero molto concentrato: mandavo messaggi via cellulare, incitavo gli altri concorrenti, mi fermavo a tutti i ristori. Quest’anno mi sono imposto di tenere la testa “dentro la gara”. Non ho parlato con nessuno e non ho usato il telefono. Mi sono goduto il paesaggio e il percorso, ascoltando le sensazioni del mio fisico. Ho saltato anche il primo ristoro, perché sapevo che sarebbe stato preso d’assalto e avrei perso minuti preziosi. È andata bene, non ho nemmeno avuto crisi”.

– E questo secondo te è dovuto al fatto che ti sei concentrato di più?
“In parte a quello, in parte al fatto che mi sono allenato meglio, e forse in parte anche al caso. Comunque la mia testa è stata sempre molto focalizzata su quello che stavo facendo, sui passaggi e sul tempo che tenevo rispetto allo scorso anno. Non mi occupavo di cosa facevano gli altri. Forse è andata bene anche grazie al meteo. Ero preparato a una situazione di pioggia e di freddo, e invece alla fine ho preso poca acqua. Certo su una distanza del genere gli imprevisti ci sono sempre. Per esempio quest’anno ho avuto problemi con una torcia che continuava a sganciarsi, nonostante l’avessi testata molto bene. Ma l’importante è non prendersela e mettere in conto di dover fare fronte a qualche inconveniente”.
– Insomma, anche l’atteggiamento mentale fa parecchio…
“Bisogna crederci. E quest’anno ci ho creduto subito, dal primo chilometro. Poi quando ho visto che a Olmo ero già in anticipo di 14 minuti rispetto all’anno scorso, mi si è allargato il cuore e questo mi ha aiutato a tenere duro. Quando qualcuno mi dice che avrebbe una mezza idea di correre la 100 Km del Passatore, io rispondo: allora non farla! Perchè per correre una gara del genere una mezza idea non basta per arrivare alla fine. Bisogna essere davvero convinti!”.
– Potrebbe essere utile per correre una ultra fare una perlustrazione pre-gara del percorso?
“Meglio di no! Se vedi la Colla, ti spaventi e decidi che correre lassù è una follia. Io non guardo mai percorsi e altimetrie prima della gara. Però quest’anno sapevo cosa mi aspettava e sapevo – tappa per tappa – come ero andato lo scorso anno. A Borgo san Lorenzo mi sono emozionato: lì al 32° km ho visto che ero sotto le tre ore (nel 2018 ci ero passato con un tempo di tre ore e 17 minuti). Alla Colla lo scorso anno avevo registrato 5 h 35, quest’anno 5 h 09. Insomma, vedevo che andava bene. A Marradi, al 65° chilometro, inizia la vera gara. E lì la differenza rispetto allo scorso anno era di quasi un’ora. Non so come spiegare… mi sentivo “dentro la gara”, più atleta. E quando ho visto le foto che mi hanno scattato gli amici lungo il percorso, ho notato che ridevo”.
– Che sensazioni si provano verso la fine, quando ti trovi a dover correre gli ultimi chilometri?
Gli ultimi chilometri non dico di essermeli goduti, ma la mia testa ragionava: dal 90° km in poi, anche se smetto di correre e mi limito a camminare arrivo comunque prima rispetto all’anno scorso. E questo mi ha dato una grande carica. All’ultimo ristoro ho bevuto un po’ di Coca-Cola. Ho calcolato che potevo stare addirittura sotto le 11 ore e sono ripartito. Le gambe giravano. Gli ultimi 3 km li ho fatti a 5.20, e gli ultimi 500 metri a 4.50. Ma non sono stato soltanto io a tagliare il traguardo correndo: quasi tutti lo fanno. Quando vedi che è davvero finita, emerge una forza pazzesca, e non capisci nemmeno da dove ti viene”.
– L’anno prossimo hai intenzione di riprovarci?
“Decisamente sì. Persino mentre correvo gli ultimi chilometri stavo pensando a come sarà bello ripartire l’anno prossimo. Del resto la 100 Km non è una gara impossibile: l’unico requisito è allenarsi seriamente. Senza pensare a correre più o meno veloci. Semplicemente allenarsi a stare sulle gambe per tanto tempo. Anche camminando. Certo non si può pensare di concludere una gara del genere preparandosi con approssimazione. Ci vuole il rispetto della distanza. Ci vuole consapevolezza di quello che si va ad affrontare. E comunque gli ultimi 30 km sono duri per tutti, anche per i campioni”.
– Come ti sei alimentato durante la gara?
“Ho portato con me tanta roba, ma non ho mangiato nulla. Una noce con una caramella al 30° km; mezzo carbogel alla Colla; poi ho provato a mettermi in bocca un pezzo di banana a un ristoro, ma non sono riuscito a mandarla giù. Ho bevuto tanta acqua, questo sì, oltre a un po’ di Coca-Cola mescolata con l’acqua. Però non siamo tutti uguali, ognuno deve fare le prove in allenamento e vedere come reagisce il suo fisico. Il mio per esempio non sopporta i sali, mi provocano nausea. Comunque sono partito che pesavo 60 kg, e alla fine della gara avevo lo stesso identico peso”.
– E dopo la gara?
“Torno a essere quello di sempre. Appena mi riprendo, mangio di tutto. Dopo la gara non mi faccio mancare nulla. Alla fine ho preso la medaglia, mi sono fatto il selfie sotto il gonfiabile, e poi sono andato al bar a bere birra e mangiare patatine. Vuol dire che il mio fisico non era stremato, che non avevo dato tutto. Del resto non mi interessa arrivare devastato al traguardo, non lo faccio per mestiere”.
– E alla fine sei arrivato 244°: mica male!
“Una bella soddisfazione, lo ammetto. Ed è stato bellissimo lungo il percorso tutto quel tifo pazzesco anche di notte nei paesini, i cartelli fuori dalle case, i bambini che battono il cinque e stanno svegli ad aspettare i concorrenti che passano. Una gara bellissima e tostissima. Non solo per le salite (prima tra tutte la Colla), ma anche per le discese ammazza-gambe. È lì che cambia l’assetto, e le articolazioni rischiano di cedere se si aumenta troppo il ritmo. Ma ogni anno imparo qualcosa di nuovo. E l’anno prossimo è quasi qui…”.
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