Il nostro Max Marta, dopo l’avventura dell’Iditarod nelle lande artiche, aveva preso forse un po’ alla leggera questo nuovo sport. Ma ha voluto provare lo swimrun e si è ricreduto…
E quando pensi di aver provato quasi tutti gli sport esistenti sulla faccia della terra (con eccezione forse del curling), ti chiamano e ti chiedono: “Vuoi venire a provare lo swinrum?”. Beh – per me che sono stato per anni un appassionato triathleta – la cosa non sembra all’inizio mica così nuova!

Perché dovrei provarlo? Che cosa ci sarà di strano nello swimrun? Non è semplicemente una specie di aquathlon chiamato in un altro modo? In realtà non proprio! E per scoprirlo mi faccio coinvolgere da Veronica Castelli e Diego Novella che da oramai tre anni curano con tanta passione lo sviluppo della swimrun in Italia. E così domenica 15 aprile mi ritrovo sul piccolo e incontaminato (perché interdetto ai natanti a motore) Lago di Monate.
Che cos’è lo swimrun?
Lì capisco subito che non ho idea di che cosa sia effettivamente lo swimrun. Che sia uno sport che prevede nuoto e corsa lo si capisce dal nome. Ma la sua vera particolarità sta nel fatto che le transizioni tra le fasi di nuoto e di corsa sono molte (davvero molte!) e che sono senza zona cambio come appunto nell’aquathlon e nel triathlon. Per questo si nuota con le scarpe ai piedi e con l’ausilio di palette e pull-buoy (che logicamente si tengono addosso anche nella frazione corsa).

Dopo un dettagliato briefing a bordo lago sul percorso da effettuare (sia nella frazione run che nella frazione swim), il gruppetto di otto impavidi di cui facevo parte si è lanciato in questa nuova impresa. Sei le frazioni previste per noi “principianti”, così scandite: corsa-nuoto-corsa-nuoto-corsa-nuoto da effettuarsi sulle strade adiacenti al lago e nelle acque del lago che – siamo onesti – in questa stagione sono ancora fredde.
Gestire lo shock termico
Le frazioni sono iniziate con un bel 1500 metri di corsa (e fin qui tutto bene, anche se si avverte subito che le scarpe Salming sono state disegnate per il vero ambiente off-road dello swimrun, ovvero risultano con tanto grip e un po’ rigide sull’asfalto), per poi lanciarsi in 250 metri di nuoto (frazione breve per acclimatarci, come ha spiegato Diego), gestendo lo shock termico con respiri profondi e facendo le prime bracciate a testa fuori.

Poi di nuovo 2 km di corsa e altri 400 metri per la seconda nuotata, che va molto meglio della prima: si inizia infatti a percepire il pull-buoy e a far lavorare le palette. Infine ultima frazione di corsa di 4 km di cui i primi due in salita e gli altri due in discesa per arrivare così all’ultimo tratto in acqua per sprintare – si fa per dire – gli ultimi 400 metri a stile. Arrivo in spiaggia e obiettivo raggiunto: “Doccia calda e birra fredda!”.
Esperienza bellissima! La continua alternanza tra nuoto e corso è davvero impegnativa, ma incredibilmente divertente! Tanto che ho vissuto questa giornata come un bambino che torna a giocare con il suo giocattolo preferito. Ebbene sì, il mio ultimo triathlon risale al 2014 e devo dire che lo swimrun ne ha fatto riaffiorare la mancanza.
Ma è soprattutto sentendo i racconti di Diego sulle gare di questa disciplina che rimango affascinato da questo nuovo sport. Mi racconta infatti delle gare nei fiordi svedesi, sul lago di Lochness o in Galles. Gare davvero estreme, con 30 diverse frazioni che alla fine possono avere anche distanze di oltre 70 km (suddivise in circa 60 km di corsa e 10 km di nuoto). Insomma uno sport davvero interessante e tosto… uno sport in cui mi piacerebbe davvero cimentarmi!
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