Dalle vette degli 8.000 alle profondità degli abissi, l’importanza del respiro nelle prestazioni sportive è fondamentale. Come spiegano l’alpinista Marco Confortola e il campione mondiale di apnea Mike Maric.
Diciamo la verità: in epoca di pandemia non se ne può davvero più di conferenze stampa virtuali, seminari online, webinar, conference-call e via dicendo. Però l’incontro organizzato nell’ambito degli e-Talk@BOSCH (una serie di 5 appuntamenti curati dal team Bosch Tech) era di quelli che ti tengono attaccato al video del pc dal primo all’ultimo minuto. Tema: “La vita in un respiro“. Vale a dire l’importanza del respiro nelle prestazioni sportive ma anche nella quotidianità. A parlarne, due personaggi che la sanno lunga in materia: l’alpinista Marco Confortola (a sinistra nella foto in alto) e il campione mondiale di apnea Mike Maric.
Il primo, Marco Confortola, è un alpinista estremo, guida alpina internazionale, esploratore. Gli 8.000 sono il suo pane, e la prossima impresa sarà quella di tentare il raggiungimento di due cime pakistane, il Nanga Parbat (8.126 m) e il Gasherbrum I (8.068 m), e successivamente la vetta nepalese del Kanchenjunga (8.586 m). Mike Maric, “allievo” di Umberto Pelizzari, oggi coach di atleti come Federica Pellegrini e Gregorio Paltrinieri, è soprannominato “l’uomo delfino” ed è uno specialista del cosiddetto “quinto stile“.
Nel corso di un incontro a due voci, Confortola e Maric hanno spiegato quanto sia fondamentale l’importanza del respiro nelle prestazioni sportive. Ma anche quanto le tecniche di respirazione possano aiutare a superare stress e difficoltà emotive nella vita di tutti i giorni.
L’importanza del respiro nella preparazione di un’impresa
Mike Maric – Quando ci si prepara per un’impresa sportiva, non bisogna lasciare nulla al caso. Per me sono sei le chiavi del successo: l’allenamento fisico, la gestione del recupero, la nutrizione, la nutraceutica (cioè l’eventuale uso di integratori), la respirazione e l’allenamento mentale. Soprattutto a questi ultimi due elementi va prestata particolare attenzione: perché sono quelli che aiutano a gestire la paura e lo stress. Non dimentichiamo che è la mente a guidare il corpo.
Marco Confortola – Il corpo è governato dal cervello, e quindi il cervello va allenato. Deve imparare a fare fronte a qualsiasi evenienza. Corretta alimentazione, riposo e respiro sono tre elementi imprescindibili per la riuscita di un’impresa sportiva. Soprattutto quando si tratta di scalare un Ottomila. Lassù l’aria è sottile, manca l’ossigeno. Impensabile arrivare in vetta senza saper respirare nel modo giusto.

Cos’è il respiro? È vita
Mike Maric – Quando nasciamo iniziamo a respirare, e quando moriamo esaliamo l’ultimo fiato. Poi nella vita succede a volte di restare senza respiro. E questi sono i momenti che ti segnano. L’obiettivo è quello di “ritrovarlo”, e spesso il percorso per riuscirci non è così semplice.
Marco Confortola – Il respiro è vita. Soprattutto in alta quota, quando sei così in alto da avere “fame d’aria”. Bisogna conoscerlo, il respiro, e saperlo dosare. Altrimenti magari arrivi in cima, però poi non riesci più a tornare indietro.
Mike Maric – Il respiro è la prima forma di auto-controllo che abbiamo. E non parlo solo del momento della performance sportiva in sè. Quando gareggiavo, c’erano momenti difficili. Il freddo, il vento, l’attesa sul gommone prima di tuffarmi, la tensione. Ero gelato, tremavo, eppure sapevo che dovevo dare il meglio di me. Il respiro riusciva a farmi “rientrare in me stesso”.
Marco Confortola – Quando sei in cima a un Ottomila, magari con un meteo avverso, non puoi permetterti di sbagliare. Respirando riesci a concentrarti, a focalizzarti su quello che è davvero importante in quel momento.
Mike Maric – Il respiro e la concentrazione potenziano due aspetti molto importanti: la fiducia in se stessi e la capacità di prendere la decisione giusta in tempi rapidi. Decisione che magari ti porta a rinunciare all’impresa, ma va bene così.
Marco Confortola – In certe circostanze, prendere la decisione giusta è questione di secondi. Non si può sbagliare. Chi scala gli Ottomila, se sbaglia non ha bisogno di un ortopedico: ma di un fiorista.

L’importanza del respiro per far fronte alla paura e superare i limiti
Mike Maric – La paura c’è sempre, non si può pensare di eliminarla. Però è importante imparare a controllarne l’intensità, perché se è troppo forte ti può paralizzare. Al contrario, se è tenuta sotto controllo può diventare sfidante. La conosco bene, la paura. Mi ha colto all’improvviso nel 2005, quando il mio migliore amico è morto durante una battuta di pesca subacquea. All’improvviso ho avuto terrore dell’acqua, e per molto tempo ho smesso di nuotare. Tornare a fare quello che era la mia passione ha richiesto un lungo periodo di lavoro su me stesso.
Marco Confortola – La paura va ascoltata, quasi coccolata. È lei alla fine che ti riporta a casa. Se la passione ti spinge a cercare di superare il limite, la paura è quella che ti obbliga a tenere i piedi per terra. Tra l’altro quando ci si trova in altissima quota si diventa ipossici per la mancanza di ossigeno, si fa fatica a pensare e a prendere decisioni. Per questo l’abitudine a concentrarsi attraverso il respiro è fondamentale.
Mike Maric – Nel mio sport, l’apnea, il traguardo lo raggiungi quando torni in superficie. Il mio record è stato 70 metri. Quando sei così in fondo, hai una pressione di 8 kg su ogni centimetro quadrato del corpo. I polmoni sono piccoli come i pugni di un bambino. Non c’è luce, hai fame d’aria, i crampi alle gambe. Hai fatto una super-prestazione, ma devi tornare su. Se inizi a preoccuparti, è finita. Invece proprio grazie all’allenamento mentale e alla respirazione, impari a dialogare con te stesso. Ad auto-rassicurarti. Ci sono atleti che continuano a registrare ottimi risultati anche dopo i 40 anni: e lo fanno grazie alla testa, non al fisico.
Marco Confortola – Anche nell’alpinismo, il traguardo non è la vetta. Per salire ti spinge anche l’adrenalina. Per scendere hai bisogno di essere concentrato e attento a ogni dettaglio. Devi dosare le forze: non puoi arrivare in cima sfinito. Nel 2009, durante una spedizione sul K2, il crollo di un seracco ha costretto me e altri alpinisti a un bivacco forzato sopra gli 8.000 metri. La chiamano “la zona della morte”. E l’ho vista davvero, la morte, accanto a me. Si è portata via tanti amici, quella volta. Io ho lottato come un leone per sopravvivere. Ho passato mesi in ospedale e mi hanno amputato tutte le dita dei piedi. I medici dicevano che avrei sempre zoppicato, non sarei più tornato a scalare. Ma la passione e la determinazione mi hanno rimesso in piedi. È la testa che fa la differenza.
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