Noi di Action Magazine abbiamo provato sul campo una gara davvero fuori dalle righe: il Rewoolution Raid, sulle montagne che incorniciano il lago di Garda.
Sulla carta, sembrava un “divertissement”. Due giorni adrenalinici a base di trail running, mountain bike, orienteering, kayak… Una notte in tenda, e una bella occasione per mettersi in gioco. In realtà il Rewoolution Raid è tutt’altro che un gioco. Non solo è un’impresa sportiva di alto livello. Ma è anche un’occasione per testare il proprio carattere e il proprio spirito di gruppo. Oltre che la propria capacità di fare fronte agli imprevisti.
Sabato mattina prima del via, per esempio, scopriamo che la notte in tenda non sarà al campo base di Torbole (come da programma riportato sul sito) ma a 2.000 metri di quota. Vabbè, pazienza: del resto che avventura sarebbe, senza un po’ d’imprevisto? E non ci saranno nemmeno le docce. Però ci sarà un rifugio dove potremo cenare, dopo esserci arrampicati per 2.000 metri di dislivello fino alla cima del monte Altissimo.
Uno, due, tre…partenza! Eccoci in gara. Una sessantina di squadre da tre persone, divise in due gruppi: professionisti e amatori. Per i primi un percorso più lungo e più duro, oltre a un tratto di circa 5 km in kayak. Cartine alla mano (ma cartine “mute”, come quelle che si usavano a scuola per le interrogazioni di geografia), ci avventuriamo su per il sentiero che dovrà condurci al rifugio Altissimo.
Dopo qualche tornante, le truppe si disperdono. Chi va da una parte, chi dall’altra. Difficile interpretare la cartina. Si imboccano percorsi diversi, ci si incontra di nuovo. E alla fine si scopre dov’è la “strada” da seguire: un dirupo scosceso (nessuna traccia di sentiero) coperto di arbusti, rovi, rami secchi, rocce. Qua e là, uccelli morti. Fulminati sui tralicci dell’alta tensione e precipitati al suolo. Ma è un’avventura, no? Peccato solo avere lasciato a casa il machete…
Disseminati lungo il percorso, ci sono diversi check point. Ogni squadra – per dimostrare di essere davvero passata di lì – deve auto-fotografarsi davanti al cartellino blu. Due minuti di sosta ogni volta, che consentono di tirare un attimo il fiato.
Lungo questo percorso in stile “survival” si salgono 700-800 metri di dislivello. Poi si raggiunge un sentiero vero e proprio, e non resta che arrivare al rifugio. Lo si raggiunge nel tardo pomeriggio. Un vento gelido spazza la montagna. C’è da montare la tenda (portata nel frattempo in quota dall’organizzazione). Sognamo una doccia calda, ma inutile pensarci. Ci mettiamo addosso tutto quello che abbiamo: guanti, berretto, piumino, giacca a vento.
Dentro al rifugio, però, l’atmosfera cambia. Stretti uno all’altro, divoriamo chili di spaghetti al ragù. E dopo un po’ di vino e un bicchiere di grappa, persino la prospettiva di passare la notte in tenda con quel freddo non è poi così terribile. Tanto non c’è altro da fare. Del resto se qualcuno provasse a chiedere ospitalità in camerata, subirebbe una severa penalità nel punteggio finale.
Nessuno si spoglia. Entriamo nel sacco a pelo così come siamo, vestiti di tutto punto. Chi non ha portato il sacco a pelo omologato per -10°, è costretto ad avvolgersi anche nel telo termico. Le raffiche di vento rinforzano, sembra che le tende debbano prendere il volo. Una notte da lupi. Conclusa alle 6.30 del mattino con uno scoppio di petardo: è la sveglia.
Si smontano le tende, si fa colazione (non c’è bisogno di vestirsi perchè nessuno si è spogliato), e si riparte. Il programma della giornata è intenso: 8 km di corsa in discesa, fino al punto in cui troviamo pronte le biciclette ad attenderci. Poi si monta in sella e via: 33 km per i pro e 26 per gli amatori. Ma non è mountain bike, come ci eravamo illusi. Nossignori, questo all’inizio è downhill vero e proprio: giù per un ripido sentiero di montagna tra sassi, buche, radici, rocce… Le mucche ci guardano con aria perplessa.
I “caduti sul campo” non si contano. C’è chi finisce a volo d’angelo dentro il recinto delle mucche (come la sottoscritta); chi rotola sui sassi; chi si ammacca le ginocchia. Un concorrente (per fortuna un vero “strong man”) si ritrova con una rotula che fuoriesce, ma con abile mossa la sistema e riparte.
Finisce il viottolo di montagna, comincia il sentiero coperto di foglie bagnate. Poi alcuni tratti con gettate in cemento, perchè la pendenza è troppo ripida. E salite. Già, anche queste fuori-programma (ma che avventura sarebbe, altrimenti?). Salite belle toste, che mettono alla prova fiato e gambe.
Il punto d’arrivo è una spianata affacciata sul lago di Garda. Qui si lasciano le bici e ci si imbraga: è arrivato il momento di calarsi in corda doppia. Una parete verticale che strapiomba giù per 60 metri. Ma in fondo è la parte più rilassante del weekend! E una volta “atterrati”, l’ultima prova: un percorso cittadino in orienteering.
Una bella sfacchinata, che alla squadra prima classificata (il punteggio si assomma a quello della precedente edizione del Rewoolution Raid) ha portato però un premio di tutto rispetto: un viaggio in Nuova Zelanda per tutto il team.
«Quello delle adventure race è un mondo molto particolare – dice Luca Lamperti, grande appassionato di questo genere di gare, direttore tecnico del Rewoolution Raid e “road hunter” (è lui che ha messo a punto il percorso) -. Perchè ti metti davvero alla prova. Impari a conoscere le tue potenzialità e i tuoi limiti. E ad accettarli. Impari, nel gioco a squadre, la solidarietà. Impari che nella vita le cose davvero importanti in fondo sono poche: trovare acqua, ripararsi dal freddo, mangiare…».
Luca Lamperti, che si porta alle spalle persino esperienze di guerra in Bosnia e un po’ di anni nella Legione Straniera, non è certo uno di quelli che parlano a vanvera. «In questo genere di sport – cerca di spiegare – ci si mette a nudo. Cadono le sovrastrutture. E per questo sarebbe importante che fin da bambini si facessero esperienze del genere». Lui ci crede, e sta lavorando a progetti di questo tipo. Oltre che alla prossima edizione del Rewoolution Raid: questa volta in versione invernale.
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