Dopo l’ultimo stop, arrivato a poche ore dalla prevista riapertura degli impianti di sci, c’è chi pensa di appellarsi alla Corte Europea. Chiedendo parità di trattamento con altri settori.
Era tutto pronto. Tutto in ordine secondo i protocolli validati dal CTS (il Comitato Tecnico Scientifico). In tutte le stazioni sciistiche si guardava alla riapertura degli impianti di sci del 15 febbraio come all’ultima possibilità per un recupero di stagione in extremis. Poi, la doccia gelata: chiusura prorogata fino al 5 marzo. Ma con le varianti impazzite di Covid che hanno cominciato a circolare, è probabile che ci sarà un’ulteriore proroga. Stagione andata, insomma.
Certo, in questo periodo la priorità è quella di tutelare la salute delle persone. L’economia e i diritti personali passano per forza di cose in secondo piano. Ma i maestri di sci e gli operatori della montagna non ci stanno. Perché, dicono, la legge dovrebbe essere uguale per tutti. Non possono esserci figli e figliastri. E noi siamo d’accordo con loro.
Non è possibile, tanto per dire, che i centri commerciali restino aperti dal lunedì al venerdì, con buona pace degli inevitabili assembramenti che si creano all’interno. Perché si può pranzare al ristorante, ma non si può prendere una seggiovia per pranzare in un rifugio? E se è comprensibile che le palestre restino chiuse (negli ambienti indoor la circolazione del virus è più pericolosa), non si capisce perché almeno gli impianti di risalita open-air non possano funzionare.
Ecco perché due personaggi legati al mondo dello sci e della montagna hanno deciso di “scendere in pista” (e in questo caso nessuno può impedirglielo) proponendo di ricorrere davanti alla Corte dei Diritti dell’Uomo. Si tratta di Giorgio Gros, atleta di Coppa del Mondo e figlio dell’indimenticato Pierino, e di Riccardo Castellaro, presidente della Scuola di Sci del Cervino.
“Una volta terminata l’emergenza – dicono Gros e Castellaro – attraverso il coordinamento delle varie categorie e dei rispettivi rappresentanti non escludiamo di far valere le nostre ragioni presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo partendo proprio dal principio della disparità di trattamento al quale siamo stati sottoposti. Si tratta di una via percorribile nei tempi e nelle modalità”.
Giorgio Gros oggi gestisce un’attività ricettiva nel comprensorio della Via Lattea a Jovencaux. Un’attività turistica e sportiva, dotata di noleggio attrezzature, Spa e personale dedicato alle lezioni di sci. Castellaro, in qualità di presidente della Scuola di Sci del Cervino, coordina una squadra di 150 maestri che traggono il loro reddito dall’attività dell’insegnamento. “Un’opportunità di guadagno – spiega – che è stata completamente azzerata dalla pandemia come peraltro l’intero indotto legato all’economia ricettiva”.
Continua Giorgio Gros: “L’idea di rivolgerci alla Corte Europea è nata dalla convinzione che esiste una disparità di trattamento assolutamente ingiustificata all’interno delle varie realtà italiane“.
La riapertura degli impianti di sci programmata in tutta sicurezza
In questo periodo di stress, polemiche, rivolte, negazionismi e terrori, è abbastanza facile cadere nella trappola del “tutti contro tutti” anzichè scegliere il gioco di squadra. E anche nel caso della riapertura degli impianti da sci, sono state tante le voci che si sono levate a sostegno delle decisioni del governo. Perché in fondo – si dice – sciare è un divertimento. E rinunciare al divertimento è un piccolo sacrificio, considerata la posta in gioco.
“In vista della riapertura, le attività erano state organizzate seguendo pedissequamente i protocolli concordati e validati dal CTS – rimarca Castellaro -. E ci sarebbero stati anche controlli continui, operati da addetti delle funivie, forze dell’ordine, operatori formati al riguardo e pagati dal Comune, volontari. Saremmo anche stati pronti a segnalare e sistemare eventuali minime problematiche con tempismo assoluto, nel caso le avessimo individuate. Ma in tutta sincerità, non crediamo che avrebbero potuto esserci problemi particolari”.
Un comparto da 10 miliardi di euro e 120mila addetti
A causa del Covid, l’economia annaspa. Di più: è ormai asfittica, e la speranza di una ripresa sembra allontanarsi nel tempo. L’industria della montagna è sicuramente uno dei comparti più sofferenti. Il giro d’affari che fa muovere in Italia è di oltre 10 miliardi di euro, dando lavoro a 120mila persone (400mila con l’indotto).
Tanto è vero che in Europa non tutti i Paesi sono allineati. Se Germania, Francia, Scozia e Slovacchia hanno chiuso gli impianti da sci, nelle altre nazioni la stagione non è stata fermata. Pur con qualche distinguo: in Svizzera e in Austria, per esempio, possono accedere agli impianti solo i residenti nel Paese, e ai rifugi è consentita l’attività di fornitura cibo soltanto per asporto.
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Molti hanno in realtà applaudito la chiusura degli impianti, considerandola una sorta di ritorno alle origini per il territorio montano. L’occasione per la natura di riappropriarsi del posto che le compete. La fine di una sorta di colossale “Circo Barnum” a base di apres-sky, funivie affollate, dj-set, musica sparata a palla dalle terrazze dei rifugi.
Certo è che – se cambiamento dev’esserci – non può avvenire nell’arco di una stagione. “Non è possibile trovare in tempi brevi nuove formule di fruizione della montagna – considera Riccardo Castellaro -. Abbiamo visto in questo periodo un bel ritorno al lato natura, cosa che ci fa davvero piacere. Ma purtroppo il territorio è comunque difficilmente fruibile in qualunque forma, a causa delle chiusure. E in ogni caso è difficile produrre attraverso attività alternative un fatturato che possa permettere alla gente di montagna una vita dignitosa. Almeno nel breve termine”.
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