Si continua a discutere della riapertura degli impianti di risalita, tra appelli degli imprenditori di settore, dichiarazioni dei virologi ed esternazioni dei politici. E intanto il tempo passa, senza che vengano prese decisioni.
Sì, no, forse. Sette gennaio, 20 gennaio, inizio febbraio, Carnevale. Mai. Se non si trattasse di un argomento tremendamente serio, il tema della riapertura degli impianti di risalita potrebbe sembrare un gioco di società di quelli che spopolano durante queste vacanze blindate.
Invece no. In questo caso non c’è proprio niente da ridere, a meno di non voler inserire nel calderone alcune estemporanee prese di posizione di politici in cerca di voti e di autoproclamatisi super esperti che animano le pagine dei social.
Il Protocollo delle Regioni rimandato al mittente
La mancata approvazione del Protocollo presentato al CTS (Comitato Tecnico Scientifico) dalla Conferenza delle Regioni è del 24 dicembre ed era preventivabile. Troppi erano gli argomenti non approfonditi adeguatamente, troppe le soluzioni morbide (ci sta, è il gioco delle parti) individuate dalle Regioni per riaprire limitando il più possibile i danni.
A tutto ciò si aggiungono un quadro epidemiologico sconfortante, le discutibili fughe in avanti di alcuni territori come l’annacquamento della zona rossa decretato dalla Provincia di Bolzano alla vigilia di Natale, i comportamenti scellerati tenuti dagli appassionati – da Cervinia a Verbier – quando si è presentata loro l’occasione di agganciare gli scarponi agli sci. E non a caso il CTS ha sottolineato “la necessità della collaborazione attiva degli utenti, che dovranno continuare a mettere in pratica i comportamenti previsti per il contrasto alla diffusione dell’epidemia”.
E neppure hanno aiutato le vivaci querelle in atto all’interno di diverse realtà (politiche e imprenditoriali) che hanno avuto voce nella stesura del Protocollo. Tanti, insomma, i tasselli del puzzle mancanti o fuori posto. No, non poteva funzionare. Così a Roma hanno avuto buon gioco a rispedire al mittente il documento con la richiesta di ulteriori interventi.
Cosa occorre per (forse) riaprire?
Prima di prendere posizione il CTS ha lasciato in stand by il protocollo delle Regioni per quasi un mese. Certo, lo sci non è una priorità del Paese, ma quelle settimane di colpevole silenzio rischiano di influire pesantemente sul futuro.
Premesso che l’eventuale apertura degli impianti di risalita potrà avvenire solo nelle regioni in zona gialla e solo dopo una rivalutazione epidemiologica, gli impiantisti dovranno garantire per prima cosa limiti all’accesso ai mezzi di risalita (50% della capacità sugli impianti chiusi e sulle seggiovie quando viene utilizzata la calotta protettiva) e stabilire criteri chiari per la vendita (meglio la prenotazione) degli skipass per evitare code e assembramenti all’interno dei comprensori sciistici.
L’ostacolo più rilevante, soprattutto per ragioni organizzative, è il richiesto contingentamento delle presenze in pista che deve considerare, sommandoli, giornalieri, settimanali e stagionali. La questione – tutto sommato di facile soluzione nei medi e piccoli comprensori – diventa invece complessa nelle skiaree più estese e con molteplici punti di accesso. E il tempo stringe. Sarà quindi prioritario mettere da parte le divisioni interne al fronte degli operatori della montagna. Per il loro bene e per il nostro piacere.
Che speranze hanno gli sciatori?
Già alla vigilia del pronunciamento del CTS, l’ipotesi di apertura il 7 gennaio era stata definita improbabile dalla presidente dell’Anef (Associazione nazionale esercenti impianti funiviari) Valeria Ghezzi anche in considerazione della mancata discesa della curva dei contagi. Per la Ghezzi è comunque indispensabile aprire entro la fine di gennaio: “Quantomeno potremmo ridurre i debiti”, ha detto. Mentre non avrebbe alcun senso iniziare la stagione ancora più avanti.
Più ottimista è la Federfuni, che raggruppa circa 150 impiantisti tutti attivi in regioni a statuto ordinario: “Le osservazioni predisposte dal Comitato tecnico scientifico sul protocollo approvato dalla Conferenza delle Regioni ci sembrano applicabili per una possibile apertura degli impianti il 7 gennaio. Siamo assolutamente convinti di poter assolvere ai compiti dettati dal CTS, che speriamo vadano ad integrare le linee guida predisposte dalla Conferenza delle Regioni nel minor tempo possibile”, ha dichiarato il presidente Andrea Formento, sottolineando l’importanza di aver finalmente ricevuto un’indicazione “che ci consente di poter programmare l’attività”.
Tra ottimismo e preoccupazione, però, l’unica certezza rimane… l’incertezza.
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