Lo sport, e soprattutto quello agonistico, rappresenta per i bambini una formidabile occasione di crescita. Ve lo racconta un padre, che accompagna regolarmente sua figlia sulle piste da sci.
Scrivo questo articolo perché, mentre il virus impazza, voglio pensare ai momenti belli della mia vita. Per esempio un anno di sci, vissuto seguendo mia figlia i suoi compagni di squadra sulle piste. Tra allenamenti, freddo, tormente e divertimento. Voglio raccontarvi il dietro le quinte, per sfatare un po’ di luoghi comuni e descrivere quello che accade in questo micro-mondo.
Molto spesso si associa l’agonismo giovanile alle aspettative esagerate di alcuni genitori e al fanatismo degli allenatori, che vedono in quest’attività una forma di rivincita per i loro fallimenti. Sicuramente sono situazioni che esistono, ma nell’esperienza di quest’inverno ho potuto osservare – sia all’interno del nostro gruppo, che in quelli degli “avversari” – una realtà ben differente, che cercherò di raccontarvi.
Ascoltando i consigli che gli allenatori davano ai ragazzini, siamo riusciti a comprendere che dietro una sciata perfetta c’è un mondo di esercizi e di tecnica. Da qui l’idea di redigere un manuale semi-serio di consigli, dal titolo Al di là delle reti.
Non si comincia a sciare per caso
Partiamo proprio da qui, dal titolo del nostro manuale. Noi genitori siamo tutti sulla stessa barca. Lo sci agonistico non capita per caso, è qualche cosa che si sceglie anche su incoraggiamento della famiglia. Non è come la pallavolo, il nuoto, o molte altre discipline dove ci sono gli open-day, una prova e poi si parte. Qui spesso almeno uno dei due genitori scia e vorrebbe che anche la propria prole imparasse questa disciplina.
C’è una passione comune per lo sci, che porta i genitori a incontrarsi costantemente sulle piste, sabato e domenica, durante le feste e qualche volta anche in settimana. Ci si conosce un po’ di più, si organizzano gli aperitivi del dopo gara e si capisce che il concetto comune è molto semplice: lo sci come un pezzo della crescita personale dei bambini, uno sport che insegna a socializzare, a diventare autonomi e a passare molto tempo all’aria aperta.
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Concetti che sono condivisi da tutti i genitori con cui ho avuto modo di confrontarmi. È chiaro che tutti noi siamo contenti se nostro figlio vince, ma l’aspetto principale è vederlo felice.
Si vedevano gruppi che organizzavano il tifo, con trombette, campanacci e altro; che preparavano i festeggiamenti per le premiazioni nel periodo di Carnevale con trucco e parrucco; che si informavano della salute dei bimbi che cadevano o che venivano investiti da altri sciatori. Un mondo rilassato, che ha come primo obiettivo quello di divertirsi, passare delle belle giornate all’aria aperta e condividere un pezzo di vita con i propri figli.
La dura vita dell’allenatore sulle piste da sci
Quella degli allenatori è una categoria particolare. Immaginate un adulto che per quattro mesi si alza presto, prende un pullmino con otto bambinetti tra gli 8 e i 10 anni , li porta al freddo, sta tutto il giorno fermo (spesso all’ombra) a vederli scendere, cercando di insegnar loro a condurre, spezzarsi, abbassare le braccia e a fare la curva prima del palo e non dopo…
È sicuramente un lavoro, ma credo che alla base ci sia una grande passione e una voglia di trasmettere l’ interesse verso questa disciplina. Gli allenatori sono un po’ padri, un po’ zii, un po’ maestri, e devono possedere un animo zen che forse nemmeno il Dalai Lama conosce così a fondo.
Immaginate otto bambinetti scatenati (perché chi sceglie questo sport proprio tranquillo non è) che gridano, litigano, si picchiano e fanno pace, si perdono, non capiscono le istruzioni, fanno cadere un bastoncino sulla seggiovia, dimenticano lo stagionale, non riescono a chiudere gli scarponi…Il tutto nel giro di un’ora circa. E magari alle 7.30 del mattino per 40 giornate all’anno, e nel weekend dopo una settimana di lavoro.
Comprenderete che non è un mestiere facile. Ma ho avuto modo di vedere anche in questo caso un gruppo di persone che prima di tutto si divertivano, e con grande pazienza cercavano di far crescere questi bimbi. E loro (i bambini) questo lo hanno capito, perché nei confronti degli allenatori hanno sviluppato un forte affetto e un legame intenso. Dopo le prime settimane di confusione, i piccoli hanno iniziato a crescere, a modellarsi e a migliorare, comprendendo ogni giorno di più di più cosa è la dissociazione, come si deve caricare lo sci esterno o semplicemente come accendere la radiolina.
Dalla parte dei bambini
Ma i veri protagonisti di questa avventura sono loro. Loro che si alzano alle 6 del mattino e che la sera prima puntano la sveglia da soli, che corrono al pullmino per prendere i posti migliori e non vogliono perdere un allenamento, nemmeno se il termometro segna -10° oppure nevica fitto. Loro che organizzano il pigiama party con le amichette e che a volte preferiscono alzarsi ancora prima la mattina pur di vivere questa esperienza.
Loro che a stagione sospesa (il Coronavirus ha colpito anche qui) si sentono smarriti e non vedono l’ora di tornare sugli sci. Come dicevo inizialmente, questo è uno sport che si sceglie e che non capita per caso. Il discorso vale soprattutto per i piccoli skier. L’impegno che esige questa disciplina è molto elevato, quindi prima di tutto ci deve essere una forte passione.
Ma al di la di questa prima considerazione, lo sci è stato per questi ragazzini il primo passo verso l’indipendenza. Nel giro di poche settimane sono diventati completamente autonomi. Si apre il portellone del pullmino e prendono il loro zaino, si mettono gli scarponi, prendono gli sci, vanno verso la seggiovia e verso i campi di allenamento. Mentre gli allenatori sono già su a tracciare. Parlano alla radiolina con loro, che spiegano cosa sbagliano, dove migliorano e cosa devono fare. E poi giù a tutta, con qualsiasi clima, per giornate intere.
Lo sci come scuola di vita
Sembra un’affermazione forte ma è proprio così. Lo sci è uno sport individuale, ma in cui si crea un forte legame di gruppo. Vi è certamente la gioia o la delusione personale per i risultati, ma poi si tifa per tutti i componenti della squadra e si fa festa tutti assieme per il risultato. Si impara a perdere, e in una società sempre più protettiva e incline a eliminare gli ostacoli ai pargoli non è cosa da poco. Lo sport in generale insegna a rialzarsi dopo una sconfitta, ad accettarla come parte della vita e come stimolo per migliorare. Questo si è un grande insegnamento
I ragazzini imparano a gestirsi da soli. Hanno i loro soldi, al ristorante si devono abituare a ordinare, pagare e spesso a portarsi da mangiare al tavolo. Durante la giornata devono capire se hanno freddo o caldo. Se tolgono la giacca è importante che si ricordino dove la mettono. Certo ci sono sempre i genitori che ruotano attorno, ma l’intenzione comune è quella di osservarli da lontano, lasciando così che possano fare le loro esperienze.
Piccole cose, ma che fanno parte della formazione del carattere di ogni bambino. Quest’ultimo concetto mi porta alla considerazione che ho volutamente tenuto per la conclusione: il rapporto fra l’agonismo e la scuola. Da questo punto di vista il sistema scolastico italiano non è preparato per la gestione di queste due dinamiche, ma senza voler approfondire troppo il tema, faccio mie le parole di un allenatore, che invitava i maestri e le maestre a seguire i propri bambini per alcuni giorni durante le vacanze natalizie, per comprendere cosa fosse l’agonismo.
Lo sport è altrettanto importante della scuola
Questo non per sminuire l’importanza dell’istruzione, ma per comprendere che anche questi elementi fanno parte della formazione dei bambini. Molto spesso credo che gli insegnati confondano le giornate di sci con la gita fuori porta domenicale, senza capire le dinamiche e gli insegnamenti che i bambini riescono ad acquisire anche in queste situazioni.
Sarebbe bello trovare una maggiore collaborazione, mentre spesso c’è il brontolio per qualche ora di lezione persa, senza considerare che durante la stagione invernale questi piccoli sciatori non si ammalano quasi mai, e quindi forse le ore “perse” sciando equivalgono a quelle che gli altri scolari perdono per influenze varie.
Infine, pagelle alla mano, a quest’età l’impegno sportivo non cambia i voti, quindi non penso si possa parlare di problemi.
In conclusione, quella di quest’inverno è stata un’esperienza molto positiva, che ci ha permesso di condividere con nostra figlia la crescita di una passione, di conoscere molte persone nuove e di passare dei momenti all’aria aperta. Ora un periodo di meritato riposo. Poi inizierà la preparazione atletica, altro momento di aggregazione, e infine si tornerà sulle nevi, per una nuova entusiasmante stagione “al di la delle reti”.
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