Abbiamo messo alla prova la versione Factory (ovvero il top di gamma) della bicicletta Fulgur Roccia. Un modello race con gomme Michelin e una cura dei dettagli da vera fuoriserie.
Fibra di carbonio monoscocca con tecnologia MDS, geometrie race e un sistema ammortizzante che ricorda il Dw-Link di Iron Horse rendono questo mezzo scattante e preciso.
Ma andiamo con ordine e presentiamo prima questo marchio, che nel mondo race è presente da alcuni anni, ma il grande pubblico forse non ha ancora avuto modo di conoscere.
Fulgur è un’azienda lombarda, che produce bici con passione e per passione. Una gamma completa, che ha nella qualità del prodotto il suo marchio di fabbrica.
In questo articolo parliamo del modello di punta, la Roccia limited, mezzo che in questa strana stagione è portato in gara da Matteo Berta, Simone Pellisero e dal francese Nathan Secondi.
Gli allestimenti della bicicletta Fulgur Roccia
La bici da noi testata è la versione Factory, ovvero il top di gamma, con gruppo ammortizzante a molla marchiato Öhlins, Formula Cura per il comparto frenante, ruote assemblate in casa partendo da mozzi Damil e cerchi DRC, gomme Michelin e una cura dei dettagli da vera fuoriserie.
Il vantaggio di affidarsi a brand artigianali è quello che partendo dal cuore del mezzo, ovvero dal telaio, è possibile personalizzare completamente la propria bici.
Una geometria tutta particolare
Dal punto di vista geometrico, Fulgur ha adottato una filosofia in parte controtendenza. Gli angoli sono aperti (abbiamo infatti un 64,5°allo sterzo), ma invece di seguire il trend dei reach infiniti, con carri sempre più corti, l’azienda ha voluto interpretare l’enduro in modo differente. Una bici più centrale, con carro posteriore più lungo e di conseguenza un anteriore più corto. Funziona? Lo scoprirete leggendo questo test (e intanto godetevi il nostro video).
Il test della bicicletta Fulgur Roccia
Arriviamo alla prova sul campo. Un test lungo che mi ha permesso di provare questo mezzo in ogni condizione possibile: bike park, tracciati natural, giri alpini, inserendo anche un set-day per comprendere come possa cambiare il comportamento del mezzo customizzando il reparto ammortizzato.
Il mezzo in esame è quello utilizzato dal team Fulgur Factory. Diciamo subito che il peso della bici non è dei più leggeri, ma con ammo e forcella a molla l’ago della bilancia schizza subito in alto. Detto questo passiamo ad analizzare la Roccia nelle diverse situazioni.
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Una bici da enduro deve salire bene, non siamo davanti a un mezzo che guarda al cronometro nei dislivelli positivi, ma è chiaro che dovendo pensare alle lunghe risalite delle moderne gare, deve rispondere al meglio.
Il peso complessivo del mezzo non si fa sentire nemmeno nelle lunghe ascese, questo per merito del lavoro svolto dai leveraggi e dalla bontà delle ruote, dove la scelta dei cuscinetti e il lavoro di fresatura interna del corpo del mozzo hanno permesso di guadagnare in scorrevolezza.
A proposito dei leveraggi e dell’accoppiamento con il carro, si tratta di un connubio che permette di avere maggiore stabilità in pedalata. Questo però a patto di avere un ritmo costante e rotondo. Con queste condizioni, anche utilizzando un mono con un blocco un po’ limitato, la bici non bobba e sale che è un piacere.
La bicicletta Fulgur Roccia è perfetta anche nelle curve strette
Nonostante il lungo interasse e la forcella da 170 mm, la Roccia gira molto bene nello stretto. Il merito di questa dinamica è probabilmente la distribuzione differente delle geometrie. Un avantreno più corto si inserisce più agilmente in curva, mentre il retrotreno permette maggiore stabilità, riuscendo così a garantire efficienza nelle prime due fasi della curva: quella di ingresso e conduzione.
Il carro lungo perde un po’ in rapidità nell’uscita dalle curve, un limite che si sente soprattutto quando vengono impostate in modo errato. Quando invece si riesce a dare la corretta velocità di conduzione, questo problema non si percepisce più.
Uno degli aspetti che più mi hanno sorpreso riguarda invece gli anticipi e la possibilità di riportare la bici in alto fra una curva e l‘altra. La Roccia invita il rider a salire di più, ad anticipare la curva buttandosi poi dentro con decisione.
Con andature veloci e su pietraie
Ok, nelle curve sembra comportarsi egregiamente, ma come va la bicicletta nelle pietraie o dove c’è da lasciare andare? Nei tratti scassati spesso la differenza viene data dal grado di atleticità del rider e dalle regolazioni del comparto ammortizzato.
Interasse e angolo sterzo di questa Roccia sono in linea con le bici presenti nel panorama enduristico, quindi da questo punto di vista il comportamento è positivo e simile alla concorrenza. Cambiano alcuni aspetti sul ripido in virtù dell’altezza del manubrio, situazione che va capita ma che poi permette una buona stabilità e sicurezza nella guida.
La distribuzione differente dei pesi di questa due ruote mostra invece qualche il limite nei tratti veloci senza grandi asperità, dove l’avantreno più corto trasmette un senso di minor sicurezza rispetto ad altri mezzi.
Altro elemento a cui sarà necessario adattarsi è la posizione leggermente più raccolta, che in alcuni casi necessita di maggior sensibilità per mantenere la centralità del corpo.
Oltre la forma, anche la sostanza (con qualche piccola pecca)
Insomma tirando le somme si tratta di una bici dalle finiture di alta gamma, con alcuni dettagli come la protezione in Vibram del carro e della zona leveraggi che fanno la differenza. Ma oltre ai dettagli c’è anche molta sostanza.
Alcuni componenti sono ancora oggi fatti a mano, ogni pezzo viene montato e rivisto direttamente in officina, dai cuscinetti Koyo dei mozzi alla tensionatura delle ruote, realizzata a seconda del peso del biker.
Tutte rose? Come sempre i test devono mettere in risalto l’anima della bici, verificando dove sia possibile migliorarla. Personalmente avrei preferito un manubrio con un rize più basso. La Roccia è molto alta ed è quasi impossibile intervenire sulla regolazione da terra dello stesso, quindi con un rize minore sarebbe stato possibile provare diversi assetti.
Restando sempre sul tema, l’insieme del telaio andrebbe schiacciato un po’ togliendo almeno un centimentro dal tubo sterzo e chiudendo maggiormente il triangolo, senza modificare le geometrie ma rendendolo più compatto e di conseguenza migliorando la rigidità dell’insieme. Avendo oltretutto più luce fra telaio e gambe per aumentare la possibilità di movimento.
Le gomme di serie sono le Michelin wild enduro, ottime nello smosso e sulla terra di media consistenza ma instabili sul duro e nelle pietraie. I tasselli laterali molto distanziati danno una risposta un po’ insicura, che in alcuni casi non permette di osare fino in fondo.
Su di un montaggio di serie, avrei visto meglio una gomma generalista, di quelle che vanno bene un po’ ovunque, lasciando poi al biker la possibilità di cambiare coperture a seconda del terreno (ricordiamo che stiamo parlando di un mezzo che nasce per le competizioni).
Infine, il prezzo. Il mezzo che abbiamo provato costa 7.800 euro, mentre chi volesse acquistare il solo telaio pagherà 2.800 euro (con allestimento Öhlins a molla).
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