Cronaca di una notte da “scope” all’Ultra Trail del Lago d’Orta, l’evento top del trail running autunnale. A caccia di una preda che si è ben guardata dal farsi catturare.
Arola, chilometro cento di una Utlo (Ultra Trail Lago d’Orta) che più bagnata non si può. Gigi e io siamo pronti, sta per iniziare il nostro turno da “scope”. L’anno scorso era toccato a me arrivare in fondo tallonato dalle scope. Quest’anno invece saremo noi a scortare gli ultimi fino all’arrivo di Omegna, una quarantina di chilometri più in là.
Poi entra lei, Beatrice. Ci conosciamo già, scambiamo due parole, constatiamo che sta ancora bene e la salutiamo mentre riprende la strada. “Non vogliamo più rivederti eh?”. E lei: “Mica voglio arrivare ultima”. Già, peccato che dopo di lei non ci sia quasi più nessuno. O meglio ci sarebbero due concorrenti liguri, ma dopo interminabili tentennamenti decidono di ritirarsi lì. Inizia così una lunga notte all’inseguimento di Beatrice.
Ce la prendiamo con calma, “tanto dove vuoi che vada, prima o poi la becchiamo”. Entriamo così finalmente nel mood della Utlo 2019: acqua e fango a volontà, ma anche il solito dispiegamento di fettucce catarifrangenti in stile Gardaland, gli incontri con i volontari nei posti più impensati e l’ascolto della radio che peraltro ci induce all’ottimismo, visto che non segnala problemi sul percorso o relativi ai concorrenti ( i ritiri alla fine saranno il 30% sulla 140 km e meno del 20% sulla 100 km).
Tocchiamo con mano la consueta attendibilità dei volontari quando si parla di tempi o di distanze: “Quanto è avanti la ragazza?”, domandiamo a ogni postazione incassando risposte sempre diverse : “Dieci minuti, un’ora, venti minuti”. Vabbè, vale tutto.
Al ristoro di Boleto lei non c’è, è andata da un po’, si capisce che dovremo darci da fare seriamente. Finalmente il bosco davanti a noi si illumina, c’è un gruppetto, è fatta. Invece no: sono le scope della 60 km con due “clienti” e un cane inchiodati su una discesa scivolosissima. Sul lungolago di Pella salutiamo un volontario. Peccato che non ci indichi la svolta che presidiava, e ci lascia proseguire (ma allora cosa ci stavi a fare da solo, di notte sotto la pioggia?).
Nessun problema per noi, allunghiamo solo un po’ prima di tornare indietro, ma intanto Beatrice ha guadagnato del tempo. E quando la riprendiamo, questa? Ormai è la nostra ossessione e affrontiamo a palla la salita verso Grassona. Non ci scappi, furbetta.
Eggià, ma l’imprevisto è dietro l’angolo, anzi sotto una tettoia. Due concorrenti (uno nostro, l’altro della 60 km) sono convinti di essere fuori strada, stanno chiedendo alla base operativa di venirli a cercare. Ma diamine, siete così fuori che non vedete le balise? Risposta: “Sì, ma dovremmo già essere a Grassona, quindi qualcosa non va”. Spieghiamo loro che mancano tre chilometri e li facciamo ripartire, seppur poco convinti. Poco dopo, l’incontro con i ragazzi del Soccorso alpino partiti alla loro ricerca li rassicura definitivamente. Secondo noi però è stata una mossa losca di Beatrice, che ha mandato in confusione i due per mettere strada – e soprattutto un concorrente – tra noi e lei.
Al fantastico ristoro abusivo di Egro non dispensano certezze. “Sono tutti così imbacuccati che è difficile capire chi sono e che distanza stanno percorrendo”. Viva la sincerità, ma quando entriamo a Grassona lei c’è!
Per chi non lo sapesse, questo è un punto di ristoro a cinque stelle con tanto di bar annesso. Uno di quei luoghi da cui è difficile ripartire, specie se il tempo fa schifo e si hanno 24 ore di sentieri nelle gambe. Confidiamo che Beatrice intenda fermarsi a lungo, invece no. Ormai è lanciata, ci saluta e si rituffa nella notte con altri due atleti, abbandonandoci tra le braccia di un danese che aspetterà ancora un bel po’ prima di ritirarsi per il troppo freddo (chiaramente lo scandinavo che denuncia un’ipotermia a 8/10 gradi non è credibile… si è trattato certo di un’altra furbata della “nostra” per seminarci).
Altro giro, altro inseguimento agli ultimi. Ma ancora una volta non sarà lei la maglia nera del momento. La incrociamo mentre esce dal ristoro di Cesara, ha ancora una bella cera e comprendiamo che non la rivedremo più. All’arrivo scopriremo che nell’ultimo settore di gara ha raggiunto e superato altri sei concorrenti. Amen.
Non ci resta che concentrarci sugli ultimi 16 chilometri. Lungo la salita all’Alpe Berra fatichiamo a trovare i segnavia. “Li hanno rubati”, penso. Invece ci sono, però sommersi dal ruscello che si è allegramente preso il posto del sentiero. La discesa su una comoda carrozzabile è interminabile, ma è l’ultima e consente di rimettere in ordine le idee.
Hanno fatto bene i Bertina’s boys a non sospendere la gara come si paventava: le temperature sono sempre state più che accettabili, così come è stata corretta – e tempestiva – la scelta di aggirare alcuni tratti troppo compromessi dal fango. Ottime e abbondanti balise e fettucce, come da tradizione. Ristori ben forniti anche per gli ultimi, con anche sempre qualcosa di caldo, e sempre con spazi al coperto dove riscaldarsi.
Volontari tutti da 10 (tranne uno, a lui voto zero!) perché capaci di abbinare entusiasmo e professionalità. La lode tocca a uno, per me rimasto anonimo: la “solita” Beatrice gli ha consegnato una mantella che Gigi le aveva prestato ad Arola, e lui ci ha aspettato per due ore al traguardo per restituirla. Ti voglio bene, UTLO!
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