Ci si può andare in macchina, naturalmente. Ma percorrere i sentieri del vino in Umbria con la bicicletta (o magari a piedi) vuol dire entrare davvero nel cuore di una regione bellissima e ricca di sorprese. Vi proponiamo i quattro itinerari classici.
Ci si sente sempre a casa, in Umbria. Perché ognuno riesce a trovare quello che cerca. Un casolare trasformato in un accogliente agriturismo immerso nel verde. Un borgo dove il tempo si è fermato. Un corteo storico che riporta indietro di centinaia di anni. Tesori artistici senza uguali. O, più semplicemente, una strada che si perde tra vigneti e campi di girasole.
È la terra di San Francesco e di Santa Chiara, questa. E le pietre dei paesi medievali arroccati sulle colline trasudano ancora una spiritualità tutta particolare. Ma è anche una terra capace di godere il meglio che offre la vita, l’Umbria. Una terra che ha fatto di ogni festa una celebrazione memorabile, di ogni rito un evento, di ogni piatto un esempio di alta gastronomia.
E poi c’è il vino, naturalmente. Da queste parti il vino è nel Dna della gente. Persino i bassorilievi sulle facciate delle chiese parlano dell’amore che ha sempre legato gli umbri al frutto della vite. Eppure in un passato non troppo lontano molti avevano abbandonato i campi. La produzione era scesa, e il livello qualitativo pure.
Ma da un po’ di tempo in qua si sono riscoperte etichette storiche. Si sono reimpiantati vitigni antichi. Molti di quelli che avevano abbandonato la terra hanno rimesso in piedi i ruderi e riallineato i filari reinventandosi vignaioli. E i grossi imprenditori del settore hanno moltiplicato gli investimenti.
Risultato: oggi in Umbria il vino è diventato un po’ il filo rosso che conduce il turista alla scoperta della regione. Perché gli itinerari delle quattro strade del vino (strada del Cantico, strada del Sagrantino, strada dei colli del Trasimeno, strada Etrusco-romana) passano proprio attraverso i borghi più suggestivi. Raccontando l’arte, la storia, l’artigianato, la gastronomia, le feste di questa terra.
1) Strada del Sagrantino (Montefalco, Castel Ritaldi, Giano dell’Umbria, Gualdo Cattaneo, Bevagna)

Il più antico vitigno di Sagrantino si trova nel convento di Santa Chiara a Montefalco: ha quasi 300 anni, e le suore lo mostrano orgogliose, se qualcuno chiede di vederlo. E proprio da Montefalco, patria di uno dei rossi più famosi del mondo, parte il nostro itinerario. Il Sagrantino di Montefalco ha dato il nome al percorso eno-gastronomico di questa zona.
Qui i vitigni sono di casa. Crescono anche all’interno delle mura medievali, nei cortili e nei giardini abbarbicati uno sull’altro. Certo, di vino da queste parti se n’è sempre prodotto in abbondanza. Vino onesto, ma senza doti particolari. Il Sagrantino, invece, veniva tenuto in serbo per le grandi occasioni. Era un passito che doveva servire a festeggiare le feste sacre per eccellenza, la Pasqua e il Natale.
Poi, una cinquantina di anni fa, un imprenditore della zona ha provato a vinificarlo a secco: è stato un successo, e il prodotto è approdato sui mercati internazionali. Adesso nella piazza della Repubblica, che si apre in cima all’antico borgo, le enoteche propongono degustazioni a cui è difficile sottrarsi. Anche perché ai bicchieri di Sagrantino vengono accompagnati piatti di zuppe ai legumi, pasta con i tartufi, bruschette.
Dopo avere deliziato il palato, si può infilare via Ringhiera Umbra e scendere fino al belvedere appena fuori dalle antiche mura medievali. Da qui si gode un panorama spettacolare sulla pianura e sulle colline intorno. A metà della via, è comunque d’obbligo una sosta nella ex chiesa di San Francesco, ora trasformata in museo.
Qui si conserva tra l’altro il ciclo di affreschi con le Storie di San Francesco realizzato da Benozzo Gozzoli nel 1452. Proprio di fronte alla chiesa, un negozio di tessuti tradizionali. Montefalco era un tempo rinomata per le sue lavorazioni tessili, che oggi vengono riproposte con gli stessi disegni e gli stessi colori di un tempo: sono lenzuola, asciugamani, tovaglie che vantano imitazioni un po’ in tutta l’Umbria.

Attività commerciali e suggestioni mistiche, peccati di gola e promesse di vita eterna: le due anime dell’Umbria si rincorrono e convivono pacificamente. E una non è meno reale e tangibile dell’altra. Uscite da un’enoteca, con l’aroma del Sagrantino ancora in bocca, e vi infilate in un oratorio. Magari nel santuario del Suffragio, di fianco al monastero delle Clarisse, dove le monache cantano per i fedeli in orari fissi durante la giornata.
È perentoria, in Umbria, la fede. E nessuno si sogna di mettere in dubbio i miracoli. In fondo, anche la scoperta del Sagrantino fa un po’ parte della categoria: perché il vitigno fu portato per caso nella regione da alcuni frati francescani provenienti dall’Asia minore. E ci vogliono almeno 30 mesi di invecchiamento prima di poter gustare questo nettare color rubino, dai profumi di more e rovo.
Da Montefalco, puntando a sud, si raggiunge Castel Ritaldi, un altro paese ricco di storia. Nell’XI secolo, vi governava un visconte che esercitava il potere su tutte le terre intorno. E basta che un contadino affondi l’aratro più in profondità, per trovare frammenti di anfore o suppellettili romane.
Oltre al vino, qui si produce da sempre olio. Pochi chilometri, e si arriva a Giano dell’Umbria. Nel Medioevo chiamavano questa zona Normandia, per il fatto che vi erano stazionati i Normanni. Non perdetevi, poco fuori dal paese, l’abbazia di San Felice, un capolavoro dell’arte romanica. Divisa in tre navate, ha la zona del presbiterio soprelevata a tre absidi. Un felicissimo esempio di scambio di influenze tra artisti umbri e lombardi.
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Da Giano, si prosegue poi per Gualdo Cattaneo. Il monumento più importante è la Rocca, una fortezza triangolare con un mastio centrale e due rondelle laterali comunicanti tra di loro attraverso un sistema di cunicoli sotterranei. Il paese merita una visita anche per il suo sistema di castelli: un itinerario che si snoda per oltre 50 chilometri, toccando ben nove antichi manieri.
Se in Umbria sono tanti i piccoli centri rimasti intatti, Bevagna è un caso a sé. Per dieci giorni all’anno, infatti, chi varca le mura della città si trova a vivere proprio come nel Medioevo. Succede alla fine di giugno, quando viene organizzato il Mercato delle Gaite (cioè dei quattro quartieri del paese). Agli angoli delle strade e negli androni vengono allestite le antiche botteghe degli artigiani: il ceraiolo, il cartaio, il canapaio, il fabbro, lo spadaio…
Nelle piazze si montano i banchi di un mercato dove si vendono animali, fiori, cacio, funi, melarance, mantelli di seta. Nelle taverne si preparano piatti preparati secondo ricette d’epoca, e la gente del posto – smessi jeans e T-shirt – veste gli abiti del nobile e dell’artigiano, della castellana e del popolano. Ricostruiti secondo modelli originali.

Ma anche negli altri periodi dell’anno Bevagna è una continua scoperta. Piazza Silvestri, con il palazzo dei Consoli e le due chiese di San Silvestro e San Michele, è una cartolina dal Medioevo. E nelle vie intorno si aprono piccoli negozi che vendono cesti e cappelli di paglia, vini e tartufi, legumi e dolcetti (uvettini, rustichelli, tozzetti…un trionfo della pasticceria secca).
Nel Museo cittadino, dove le tele dipinte dai bambini dell’asilo sono accostate a quelle dei pittori a cui si sono ispirati, il crocefisso ligneo del Beato Domenico ammonisce a non dimenticare che questa è sempre terra di fede. Le profonde ferite sul costato sembrano pronto ad aprirsi all’improvviso, per rassicurare chi dubita. Accadde proprio così al Beato Domenico, frate di Bevagna. Assalito da dubbi sulla salvazione eterna, fu irrorato dal sangue di questo impressionante crocefisso del XIII secolo.
Prima di lasciare il paese, date un’occhiata anche alle terme romane. Dell’antico edificio, è rimasto un bellissimo pavimento a mosaico bianco e nero. Su cui sembrano nuotare le figure di tritoni, ippocampi, polipi, delfini e aragoste.
2) Strada del Cantico (Todi, Marsciano, Perugia, Torgiano, Bettona, Cannara, Spello, Assisi)

Bisogna avere il coraggio di inerpicarsi su per i gradini del campanile di San Fortunato. Là, dalla cima della torre, si abbraccia tutta Todi con un solo colpo d’occhio. Le strade ripide e strette, i muri di pietra grigia, la piazza con la facciata del duomo romanico e il severo Palazzo del popolo.
Solo così si avrà l’impressione di averla conquistata, questa città che tiene i suoi tesori ben nascosti. Che non ama le ostentazioni e che va scoperta battendola angolo dopo angolo, alla ricerca di archi, pozzi medievali, scorci improvvisi, resti etruschi e romani.
Ma Todi non è solo cultura. Il corso Cavour, che sale diritto fino alla piazza del Popolo, è tutta un’infilata di botteghe di antiquari, restauratori, decoratori di ceramiche, negozi di tessuti tradizionali e di prodotti gastronomici. E poi, soprattutto, Todi ha “scippato” a Massa Martana il suo ruolo di punto di partenza della Strada del Cantico.
In fatto di vini, la città ha una tradizione millenaria. Già Plinio il Vecchio ne parlava come dei migliori dell’epoca. Oggi della Doc “Colli Martani” fanno parte tipologie come il Sangiovese, il Trebbiano, il Grechetto di Todi. Tutte bottiglie che costituiscono la migliore presentazione dell’itinerario.
Tappa successiva è Marsciano, nel cuore dell’Umbria. Crocevia tra Perugia, Todi e Orvieto, questa cittadina è stata in passato scenario di aspre battaglie. Oggi sui suoi campi tranquilli si coltivano frumento, granturco e tabacco. Le sue vigne producono Cabernet, Merlot, Trebbiano, Grechetto. Gli antichi mestieri sono stati riscoperti, e in nome di questa filosofia sono state recuperate alcune antiche fornaci che producevano laterizi e terrecotte.
Da Marsciano, continuando a salire verso nord, si arriva a Perugia, che è un po’ la metropoli della regione. Se tra gli antichi borghi regna il silenzio, qui non si dorme mai. Lungo corso Vannucci, la strada che unisce la Rocca Paolina e piazza IV Novembre, è un susseguirsi di negozi di moda, tavolini all’aperto, pasticcerie e cioccolaterie (non a caso proprio qui si tiene in ottobre la golosissima rassegna Eurochocolate, prossimo appuntamento dal 16 al 25 ottobre di quest’anno).

Qui l’arte si fa imponente. La cattedrale, ritta su una ripida scalinata, domina la piazza principale. Le fa da contraltare il Palazzo dei priori, grandioso e severo. Sulla cui facciata, per ribadire il concetto, pendono ancora le catene e le sbarre tolte alle porte di Siena nel 1358. In mezzo, la fontana Maggiore: una delle più belle del Medioevo, ornata di sculture di Nicola e Giovanni Pisano.
Al terzo piano del Palazzo dei priori, con ingresso su corso Vannucci, c’è la Galleria nazionale. Qui si celebra l’apoteosi della pittura umbra: dalle tavole del XIII e XIV secolo, con le Madonne che si stagliano sui fondi in foglia d’oro, ai dipinti di Benozzo Gozzoli e del Perugino, fino alle tele dei maestri del ‘700. Ma anche in fatto di vino, Perugia non è seconda a nessuno. I suoi declivi ospitano i vitigni da cui nasce la famiglia della Doc Colli Perugini (Grechetto, Trebbiano, Sangiovese) oltre a Chardonnay e Merlot.
Torgiano, poi, ha fatto del vino uno stile di vita. Che coinvolge a pieno titolo le principali manifestazioni artistiche. Prendete per esempio i “vinarelli”: sono dipinti ad acquerello realizzati diluendo il colore nel vino anziché nell’acqua. Ogni anno alla fine di agosto alcuni artisti vengono invitati a realizzare in questo modo le loro opere. Che sono poi esposte in una mostra-mercato (e in parte in una mostra permanente).
Ancora: a Brufa, pochi chilometri da Torgiano, esiste un percorso che si chiama “Strada del vino e dell’arte”. Scandito dalle sculture di famosi artisti che lasciano la loro “firma” nei punti più caratteristici del borgo e della campagna intorno. E poi: la manifestazione “Vaselle d’autore”. Si tiene a metà novembre, e di nuovo coinvolge grandi artisti. Che realizzano contenitori in terracotta sulla falsariga di quelli utilizzati un tempo dai contadini quando spillavano il vino dalle botti per il primo assaggio. Tutti appuntamenti, questi, a cui sono abbinate degustazioni di vino e di olio, i due “pezzi forti” di Torgiano. Che proprio a questi prodotti ha dedicato due bei musei (il Museo del vino e il Museo dell’olio).

Proseguendo, ecco i borghi di Cannara e Bettona. Nel primo, dove si racconta che san Francesco tenne la sua famosa predica agli uccelli, cresce un vitigno particolare: la Cornetta. Conosciuto e sfruttato fin dai tempi antichi per produrre una straordinaria Vernaccia, è stato di recente riscoperto. L’altro vanto di Cannara sono le cipolle: bianche, rosse o dorate, hanno un aroma tutto particolare. E a settembre si celebra addirittura la loro festa, che richiama migliaia di visitatori.
Terra di viti e olivi, Bettona è invece la patria dell’oca arrosto. Avamposto degli Etruschi (era la loro unica città sul lato sinistro del Tevere), è un belvedere naturale: abbraccia un panorama che spazia dall’Appennino centrale al lago di Trasimeno, fino a Montefalco.
E poi Spello. Sulle scale che portano agli usci delle case, le donne più anziane se ne stanno sedute a fare il pediluvio o a ricamare. Niente locali per turisti, ma tante vetrine che espongono salumi e latticini dai profumi invitanti. Del resto la cittadina deve la sua fama soprattutto ai prodotti enogastronomici. Come le “palle del nonno” e i “coglioni del mulo”, particolari formaggi dalla forma rotonda.
E poi c’è il vino: Grechetto, ma anche Chardonnay, Merlot, Cabernet…Qui, nel giorno del Corpus Domini, si tiene una delle più belle Infiorate dell’Umbria. Tanto che nella chiesa di Sant’Andrea Apostolo sono conservate scatole di cartone con manciate dei fiori e delle piante utilizzati per le decorazioni delle strade: cardo, asparagina, margherite bianche e gialle, ortiche, fiordalisi, garofani, stami. Non dimenticate una visita alla chiesa di Santa Maria Maggiore per vedere la cappella Baglioni, affrescata dal Pinturicchio.
Ultima tappa della Strada del Cantico è Assisi. Andateci al mattino presto, per godere gli affreschi di Giotto, nella basilica superiore di San Francesco, quando i pullman non hanno ancora scaricato le orde di turisti inglesi e tedeschi in bermuda. E quando, complice il silenzio, la magia è ancora intatta.
Soffermatevi davanti alla facciata della chiesa di San Rufino, la cattedrale. Di fianco, c’è la casa dove viveva santa Chiara prima di abbandonare la famiglia e seguire le orme di Francesco. Certo, Assisi è diventata la capitale turistica dell’Umbria. Ma lo scotto che ha pagato è pesante. La strada che porta dalla chiesa di San Francesco a quella di Santa Chiara è percorsa da comitive vocianti guidate da capigruppo con la bandierina in mano.
Sui muretti di pietra stazionano gitanti armati di bottiglie di plastica, cartocci di prosciutto, merendine. Eppure basta allontanarsi dalle strade più battute, per ritrovarsi soli. Magari a contemplare dall’alto la visione della chiesa romanica di Santo Stefano, con il suo giardino in cui le suore apparecchiano piccoli tavoli per la colazione. Oppure San Damiano, fuori dalle mura, perduta in fondo a un sentiero che scende tra gli ulivi.
3) Strada dei colli del Trasimeno (Perugia, Umbertide, Magione, Corciano, Panicale, Piegaro, Paciano, Città della Pieve, Castiglione del Lago, Tuoro, Passignano)

Prima di partire da Perugia per percorrere la strada del vino del colli del Trasimeno, affacciatevi sulla terrazza del mercato, a cui si accede da piazza Matteotti. Non sono le bancarelle a valere il passaggio: ma la vista spettacolare sulla città. La terrazza è infatti una sorta di balcone da cui si godono angoli davvero particolari.
Poi si può inforcare la bici e pedalare alla volta di Umbertide, attraversata dal Tevere e circondata dalle mura medievali. Da lì si continua per un tratto a seguire il corso del fiume, per poi piegare verso Magione, prima tappa “canonica”della strada del Trasimeno. L’itinerario attraversa una zona che è luogo ideale per gli appassionati di botanica e di zoologia, e che mette insieme – dosandoli sapientemente – tesori artistici e bellezze naturali.
Senza dimenticare i piaceri della gola: dai crostini col tartufo e i fegatini ai filetti di tinca arrostiti, la cucina di queste parti è un trionfo di sapori. Per quanto riguarda il vino, i produttori hanno affiancato alle bottiglie tradizionali del posto (Sangiovese, Grechetto, Trebbiano, Canajolo) ottime etichette ricavate da uve Cabernet, Pinot, Merlot, Chardonnay.
Poco distante da Magione, ecco Corciano. Un borgo minuscolo in cui vale la pena di fermarsi un paio d’ore a gironzolare tra le stradine strette chiuse dentro la cinta delle mura. Oltretutto, la chiesa dell’Assunta riserva una vera sorpresa: una tavola del Perugino con l’Assunzione della Vergine. Turisti in giro se ne vedono pochi, anche se l’amministrazione comunale – con fierezza ammirevole – ha fatto affiggere a ogni angolo targhe di terracotta smaltata che raccontano la storia di una casa, di una torre, di una porta.
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Aggirando il lago Trasimeno, la tappa successiva è Panicale. Considerata la terrazza dell’Umbria per la sua posizione privilegiata, è un piccolo gioiello che riserva sorprese a ogni volgere degli occhi. Una città in miniatura, dove in pochi metri quadrati di superficie si raccolgono le mura, la piazza con la bellissima fontana rinascimentale, la chiesa.
Un paese che sembra sotto incantesimo, dove il silenzio è rotto solo dai gridi delle rondini. Persino la collegiata di San Michele Arcangelo è avvolta dal buio. Ma infilando qualche moneta nella macchinetta automatica, quasi per magia l’interno dell’edificio si illumina all’improvviso mentre una musica avvolge le navate. E così si possono ammirare l’Adorazione dei pastori di Giovan Battista Caporali e il cinquecentesco crocifisso ligneo appeso sull’altare. Un Cristo un po’ particolare, perché ha le braccia snodabili. In modo da poter essere deposto dalla croce e portato in processione il venerdì santo.
Una volta usciti dalla collegiata, salite verso l’alto, fino a sbucare in piazza Masolino (che prende il nome dal più celebre cittadino del borgo, il pittore medievale Masolino da Panicale): lastricata in cotto, chiusa su un lato dal trecentesco palazzo del Podestà e sugli altri tre da basse case in pietra, riserva momenti di puro lirismo. Sedetevi per qualche minuto: riuscirete ad ascoltare il vento, che fa frusciare le foglie dei fichi negli orti intorno. Prima di lasciare Panicale, è però d’obbligo una sosta alla chiesa di San Sebastiano, dove si trova il bellissimo Martirio di San Sebastiano affrescato da Pietro Vannucci (più noto come il Perugino).

A questo punto ci si dirige a Piegaro, ultima tappa dell’itinerario. Circondato da boschi di cerri e roverelle, il borgo si affaccia dall’alto di una collina sul fiume Nestore. Fin dal XIII secolo, grazie alla ricchezza di acqua e di legname, la città divenne un importante centro per la lavorazione del vetro, e vi confluirono molti artigiani provenienti da Venezia. Un’escursione suggestiva: quella alla pineta del Montarale, quota 835 metri, da cui si gode la vista sulla Val Nestore fino a Perugia e al lago Trasimeno.
Pochi chilometri ancora, e si giunge a Paciano, circondata da boschi e uliveti. A dicembre vi si tiene una festa dell’olio che coinvolge anche altri piccoli comuni della zona, e prevede degustazioni e preparazione di piatti tipici nelle trattorie.
Da lì una deviazione verso sud porta a Città della Pieve. Il paesaggio diventa più dolce. Le spigolosità si stemperano. Persino nell’accento della gente, che declina verso il toscano (del resto siamo a pochi chilometri da Chiusi e a una manciata da San Casciano dei Bagni). Il borgo è rosseggiante come se fosse sempre baciato dal sole al tramonto.
È patria del Perugino, che qui ha lasciato alcuni dei suoi lavori più belli. E proprio ai quadri del Vannucci si ispirano i costumi indossati ogni anno dai circa 700 figuranti che partecipano in agosto al Palio dei Terzieri: una festa che rievoca l’antica Caccia del Toro, una sorta di corrida in cui si contrapponevano bestie di razza chianina e cavalieri armati di lance. Oggi il posto dei tori è stato preso da sagome mobili, che vengono colpite scoccando frecce da rudimentali archi.
Non perdete una visita alla chiesa di Santa Maria de’ Servi (che custodisce la bellissima Deposizione dalla Croce del Perugino), e l’Adorazione dei Magi presso l’oratorio di Santa Maria dei Bianchi, a metà di corso Vannucci. Su questo affresco il Perugino aveva raffigurato il proprio ritratto, insieme a quelli di Raffaello e di Michelangelo. E in cambio di questo lavoro ebbe una casa, proprio di faccia alla cattedrale, e un podere.
Prima di proseguire lungo la Strada dei colli del Trasimeno, entrate in qualche negozio di prodotti tipici: le vetrine sono invitanti, e i prezzi onesti. Assaggiate il salame di cinghiale, acquistate almeno una bottiglia di olio Dop e un vasetto di miele di trifoglio.
Risalendo verso il Trasimeno, la tappa successiva è Castiglione del Lago, cittadina che ebbe un passato burrascoso. A lungo contesa tra Arezzo, Cortona e Perugia, fu distrutta nel 1247 da Federico II. Ricostruita e più tardi diventata feudo dei Baglioni, conserva ancora la poderosa Rocca del Leone (eretta dopo la partenza del sovrano di Svevia), di forma pentagonale, con le quattro torri angolari. Un lungo camminamento coperto la collega al palazzo cinquecentesco dei signori Della Corgna, tutto decorato dagli affreschi del Pomarancio (al secolo, Niccolò Circignani).
Continuando lungo la strada che costeggia il lago, ecco Tuoro, antico villaggio di pescatori. E terra di sanguinose memorie: qui, nel 217 avanti Cristo, Annibale annientò l’esercito romano. Un massacro. Narrano le cronache dell’epoca che per tre giorni il torrente presso il borgo rimase rosso per il sangue dei morti. E da quel giorno prese il nome di Sanguineto. Ogni anno, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, si tiene una rievocazione storica che ricorda queste vicende.
Un’ultima pedalata, e si arriva a Passignano. Qui l’atmosfera si fa vacanziera. Barche, gommoni, gelati, pizzerie. Ma, come tutti i borghi antichi dell’Umbria, anche questo ha il suo bel centro storico cinto di mura medievali. Una passeggiata conduce a Castel Rigone, dove si trovano i resti di un castello duecentesco e la chiesa rinascimentale della Madonna dei Miracoli.
4) Strada dei vini Etrusco-romana (Montegabbione, Fabro, Orvieto, Alviano, Amelia, Narni, Terni, San Gemini, Avigliano)

Da una parte gli Etruschi, dall’altra i Romani. In mezzo, a segnare il confine, il fiume Tevere. Terra da vino, da sempre. La zona dell’Umbria che costeggia il Lazio è patria dei grandi bianchi (dall’Orvieto classico all’Orvieto classico superiore) e dei rossi corposi (come il Lago di Corbara e l’Orvieto). Ma anche della gastronomia genuina. Da gustare con la debita lentezza.
La prima tappa di questo itinerario è Montegabbione, borgo medievale che mantiene gran parte dell’assetto urbanistico originario, con le imponenti mura di cinta, il Castello, la Torre del XV secolo e la caratteristica struttura viaria ortogonale. Dalla piazza, che si trova nel centro del paese, si vedono svettare le torri d’avvistamento poste a protezione del centro abitato.
Con una piccola deviazione dall’itinerario, vale la pena da lì di toccare Fabro, famosa soprattutto per i tartufi. Tanto è vero che ogni anno, a metà novembre, ospita un’importante mostra-mercato dedicata a questi preziosi tuberi. E una delle attività più diffuse tra gli abitanti (una sorta di secondo lavoro) è proprio la raccolta dei tartufi bianchi. Chiamata un tempo Castrum Fabri, la città ha nell’antico castello il suo elemento più spettacolare (anche se, per la verità, nel corso del tempo ha subìto parecchi rimaneggiamenti).
Una volta tornati sul percorso canonico, si arriva in quella che è una delle cittadine più spettacolari dell’Umbria: Orvieto. Alta sulla rupe di tufo, la si raggiunge salendo una strada a tornanti che si arrampica fino al piazzale da cui si accede all’interno delle mura. Di lì, prendendo il ripido corso Cavour, si approda nel cuore della città: la piazza del Duomo, con la spettacolare facciata che è un po’ il simbolo del Gotico in Italia.

Lavorata come un merletto (non a caso, ai disegni della chiesa si sono sempre ispirate le ricamatrici del posto, dando vita alla famosa “trina d’Irlanda”), impreziosita da mosaici e rilievi, è completata al centro da uno stupendo rosone trecentesco opera dell’Orcagna. All’interno, nel braccio destro del transetto, si apre la cappella di San Brizio, decorata dal Signorelli con scene che rappresentano la predicazione dell’Anticristo, l’inferno, il paradiso, la separazione degli eletti e dei dannati. Un ciclo pittorico che, con il suo senso drammatico e la perfezione plastica dei nudi, è uno dei più importanti del Rinascimento.
Nel braccio sinistro del transetto, invece, è esposto un tabernacolo di marmo che contiene una preziosa reliquia: il panno di lino macchiato del sangue stillato dall’ostia nel 1263, durante la messa celebrata da un prete boemo scettico sulla verità della transustanziazione (il famoso miracolo di Bolsena, raffigurato anche da Raffaello a Roma).
Ma se nell’Umbria di Assisi, Spello e Todi i miracoli erano di ordine mistico, qui assumono quasi un carattere magico. Sarà perché in fondo le radici etrusche sono più vive che mai, in questo borgo appoggiato su uno sperone di tufo al cui interno corrono chilometri di cunicoli scavati nel corso dei secoli (per questo, spiegano gli abitanti, i terremoti hanno risparmiato la città: che appoggia su una sorta di gigantesca spugna, in grado di assorbire gli urti).
Passato remoto e presente sono indissolubilmente legati. Tanto che ogni giorno vengono organizzate visite guidate lungo il dedalo di grotte e gallerie sotterranee che si intersecano nel sottosuolo dell’etrusca Velzna. E sono tante le case e le taverne che hanno la propria cantina scavata nel tufo. Persino l’Enoteca regionale, ricavata nell’ex convento di San Giovanni, ospita le sue bottiglie in questi spazi freschi e pieni di mistero.
Voluta dalla regione Umbria e dalla provincia di Terni, è una sorta di museo del vino. Che offre la possibilità di effettuare degustazioni (abbinate a prodotti gastronomici tipici) e di acquistare bottiglie particolari. Una per tutte: la cosiddetta “muffa nobile”, un passito da meditazione ottenuto con una procedura particolare: si fa “muffare” (cioè ammuffire leggermente) l’uva sulla pianta, e la si raccoglie solo a novembre, dopo che è stata impregnata dalle prime nebbie.
Prima di lasciare Orvieto, per una full immersion completa nella sua atmosfera, fate una sosta alla necropoli etrusca. Si trova lungo la strada che scende dalla rupe, un chilometro e mezzo fuori dalla città. Risale probabilmente al IV secolo avanti Cristo, ed è particolarmente suggestivo entrare nelle tombe a camera costruite in blocchi di tufo. Sulle lastre di pietra che costituiscono le architravi delle porte, si leggono ancora i nomi di coloro che furono deposti all’interno, adagiati su gradini tufacei.

Umbri, Etruschi e Romani hanno lasciato profondi segni non solo nella cultura, ma anche nell’arte culinaria locale. Dal passato arrivano le minestre di farro e frumento, le carni cotte in tegame, i pasticci di fegatini, l’uso del miele nella preparazione di molti dolci. Tradizioni perpetuate nel corso dei secoli, quasi sempre legate a particolari ricorrenze nel corso dell’anno.
Così a Natale si mangiava il cappone; a Pasqua l’agnello, i capocolli, le uova, la coratella; a Ferragosto la gallina e l’oca; e tagliatelle al sugo d’oca, insieme all’arrosto, erano d’obbligo per il pranzo che festeggiava la trebbiatura. In occasione della vendemmia, invece, si preparavano ciambelloni di vino e maritozzi, pane e biscotti al mosto. Tutte specialità che sopravvivono nella cucina di queste zone. E che vale sicuramente la pena di provare.
Scendendo verso sud, prima di arrivare ad Amelia fate una deviazione verso Alviano. Non solo per visitare il borgo, ricco di testimonianze di un passato romano e dominato da un antico castello fortificato. Ma anche per l’Oasi che ospita circa 150 specie di uccelli ed è un autentico paradiso per gli appassionati di birdwatching. Si tratta di 900 ettari di paludi e acquitrini creati da uno sbarramento costruito dall’Enel sul Tevere per produrre energia elettrica.

Qui sono stati costruiti e attrezzati percorsi natura dotati di capanni per il birdwatching, con torri e passerelle che attraversano le paludi. I mesi migliori per l’osservazione? Ottobre e novembre: quando l’acqua brulica di uccelli e nell’oasi stazionano oltre 300 cormorani. Oppure la primavera, periodo in cui i migratori fanno sosta ad Alviano prima di procedere verso il centro e il nord Europa.
Lasciata poi Alviano, si giunge in un altro suggestivo borgo: Amelia (l’antica Ameria), che conserva testimonianze del suo passato romano, ancora vivo nei resti delle terme, nelle cisterne e nei numerosi reperti esposti nel Museo archeologico. Il più famoso è senza dubbio la bellissima statua bronzea di Germanico.
La città è circondata da possenti mura poligonali, costruite con grandi massi di pietra assemblati senza l’uso di malta: tanto che, secondo una leggenda, furono erette dai Ciclopi. Qui siamo nella zona di produzione dei fichi Girotti: una prelibatezza di cui già gli antichi Romani erano estimatori. Qui trionfano i piatti a base di selvaggina. Primi tra tutti i palombacci all’amerina (piccioni selvatici cotti allo spiedo e conditi con una salsa particolare) e la polenta con il cinghiale. Tra i dolci, il più famoso è il tortiglione, una sorta di grosso biscotto arrotolato a spirale, preparato con frutta secca, zucchero e uova. Ogni donna del posto ha la sua ricetta, che tiene gelosamente segreta.

Più in là, Narni. Affacciata sopra un colle soperto di ulivi, domina con la sua rocca trecentesca la gola del fiume Nera. Molti i monumenti da non mancare. A cominciare dal palazzo del Podestà (formato da tre edifici del XIII secolo e rimaneggiato nel ‘500), nella cui sala del Consiglio è conservata una pala con l’Incoronazione della Vergine del Ghirlandaio.
A Terni sopravvive l’antico nucleo medievale centrale, a cui fa da contraltare la parte industriale con le acciaierie. Una città con una personalità tutta particolare, in cui alle zone urbane moderne si alternano paesaggi verdi (in primis la cascata delle Marmore) e le testimonianze di resti romani, medievali, rinascimentali e barocchi.
Una città con due anime, insomma. Da una parte il centro storico (tutto chiuso al traffico) con i suoi vicoli, le sue chiese e i suoi bellissimi palazzi storici. Un gioiello che può essere visitato con una passeggiata di un paio d’ore, toccando la mistica chiesetta di San Salvatore, il Duomo, i resti dell’anfiteatro romano e il maestoso palazzo Spada.

Il Paese dei Balocchi dove è stato girato Pinocchio
Ma visitando Terni non si può tralasciare di dare un’occhiata anche a quella che era un tempo la zona delle acciaierie. Oggi un vero e proprio parco di archeologia industriale. I capannoni, che si trovano sotto il piccolo borgo di Papigno (non perdetevi la sua porchetta!) erano stati riconvertiti in studios cinematografici. Proprio qui Roberto Benigni ha girato La vita è bella e Pinocchio. Tanto che il parco industriale era stato soprannominato “Il Paese dei Balocchi” e aperto al pubblico per le visite. Oggi purtroppo è chiuso. Ma salendo a Papigno si può comunque avere una panoramica d’insieme di tutto il sito.

A Terni aveva dedicato buona parte della sua vita professionale l’architetto Mario Ridolfi, che negli anni ’60 in seguito a un incidente decise di lasciare Roma e ritirarsi nella zona delle Marmore. Qui concepì progetti visionari, che nei suoi intendimenti dovevano portare la città di Terni a diventare uno dei poli di attrazione dell’Umbria e del Lazio. La “sua” Terni avrebbe dovuto avere lo sviluppo urbanistico degno di una piccola metropoli. E l’infrangersi dei suoi sogni lo portò – si dice – al suicidio avvenuto nel 1984.
Da ricordare che Terni diede i natali a San Valentino, protettore degli innamorati e patrono della città. Le acciaierie, insomma, non sono riuscite a spegnere l’afflato romantico di questa città.
Di tutt’altro tenore San Gemini, famosa non solo per il centro storico ben conservato, ma anche per le terme e le acque minerali. L’accesso al borgo avviene attraverso la Porta Romana, del XVIII secolo. La piazza principale, intitolata a San Francesco, è il cuore pulsante del paese e collega la parte più moderna rinascimentale al nucleo più antico, arroccato sulla sommità del colle.
Vicino alla chiesa di San Giovanni Battista si trovano i resti delle mura medievali. Lungo cui si può passeggiare godendo uno splendido panorama sulla valle umbra verso i Monti Martani. È possibile anche fare il giro esterno delle mura sulla strada che parte dal parcheggio sotto Piazza San Francesco, per terminare poi all’inizio di Via del Poggiame.
Infine, prima di concludere il tour, una sosta a Montecastrilli. Da visitare la Chiesa Parrocchiale di San Nicolò, che conserva un Crocifisso ligneo del XV secolo e una tela di Bartolomeo Poliziano raffigurante Sant’Antonio e Santa Lucia (1629), e la Chiesa di Santa Chiara (XVII secolo), annessa al monastero delle Clarisse.
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