La nostra Giusi Parisi, non vedente, non è nuova ai corsi di sopravvivenza. Ma questa volta ne ha fatto uno addirittura sulla neve, allestendo un rifugio notturno sui monti della Calabria.
Pensavo che la mia prima esperienza sulla neve quest’anno sarebbe stata una ciaspolata oppure un weekend di sci. Ma non appena la scuola Calabria Survival ha pubblicato in programma l’evento Igloo Experience non ci ho pensato due volte a iscrivermi. Come si può dedurre dal nome, l’evento consisteva nella costruzione di un vero igloo che sarebbe diventato il nostro rifugio per la notte. Purtroppo non è stato possibile costruirlo a causa della neve, molto scarsa e comunque non adatta ad essere compattata per creare dei blocchi che avrebbero costituito i “mattoni” dell’igloo.
E allora come abbiamo fatto a costruire il nostro riparo? Andte avanti a leggere e lo scoprirete.
Dopo un lungo viaggio notturno iniziato a Milano, arrivo finalmente a Scalea, piccolo paese in provincia di Cosenza. Qui c’è Angelo, uno degli istruttori, ad attendermi. È lui ad accompagnarmi al bar del vicino comune di Verbicaro, punto di ritrovo del gruppo. Siamo in sei in tutto. Oltre a me, ci sono gli istruttori Angelo e Gianfranco, i sempre presenti Agostino e Germana, e poi Federico, gradita new-entry. A completare il gruppo c’è la nostra mascotte Oceano, il bellissimo labrador nero di Germana.
Dopo la colazione, partiamo in direzione Parco del Pollino. Ho già parecchi ricordi legati a questo parco, perché ci sono stata anche in estate durante un corso di sopravvivenza e anche in occasione di una gara di survival.

Il nostro weekend di sopravvivenza nel Parco del Pollino
Entriamo dunque nel parco attraverso l’ingresso ovest, che si affaccia sul comune di Verbicaro. Da questo lato del parco la strada si presenta completamente sterrata e serpeggiante fra gli alberi. Per l’occasione viaggiamo su un vecchio mezzo militare dismesso, restaurato e rimesso quasi a nuovo da Angelo. Ci dirigiamo verso la località Trattone, dove si svolgerà la nostra avventura.
Percorriamo sobbalzando la strada fra gli alberi. Alla nostra sinistra la valle del fiume Argentino, e a destra la valle del torrente Abate Marco. Di tanto in tanto Angelo ci fa notare le cime dei monti dell’Orsomarso.
Sono solo 10 chilometri a separarci dalla nostra destinazione, ma la conformazione della strada ci costringe a procedere molto lentamente. Attraversiamo un’estesa faggeta, e dopo una sosta per accertarsi di poter proseguire con il mezzo, arriviamo nel punto in cui possiamo parcheggiarlo.
Con gli zaini in spalla, ci incamminiamo lungo una breve salita di 500 metri per raggiungere il pianoro che ci ospiterà. È quasi ora di pranzo, ma decidiamo di dedicarci per prima cosa alla costruzione di un riparo. La regola principale della sopravvivenza è infatti quella di concentrarsi prima su ciò che è prioritario.
Sul terreno ci sono circa 30 centimetri di neve, in parte ghiacciata. Impossibile quindi costruire un igloo come da programmi. L’alternativa è quella di creare una truna. Si tratta di scavare una buca nella neve, larga un metro e lunga due, in cui possa trovare riparo una persona. La neve spostata per scavare la buca, adeguatamente compattata, servirà a creare le pareti del riparo.

Come si costruisce una truna
All’interno della fossa viene disteso un telo impermeabile, mentre un altro telo, con occhielli lungo i bordi, farà da tetto. Il tetto viene tenuto in tensione grazie a una corda ancorata ad un albero (oppure a un grosso legno interrato, a uno zaino o a qualsiasi cosa di abbastanza pesante per mantenere la corda tesa da entrambi gli estremi).
Bastoncini di legno inseriti negli occhielli funzionano come chiodi, e il tutto viene chiuso da neve compattata lungo il bordo del telo-tetto. Tutto ad eccezione dell’ingresso, ovviamente. Quest’ultimo, quando si entra per dormire, viene poi chiuso solitamente da uno zaino.
Gli istruttori di Calabria Survival ci danno le istruzioni, e poi ci mettiamo tutti al lavoro, armati di pala. Io, Gianfranco e Agostino optiamo per una truna comune. La nostra sarà dunque larga due metri per due.
Dopo un pranzo veloce, ci occupiamo della seconda priorità: ovvero l’accensione del fuoco. Ci mettiamo dunque a cercare e tagliare legna da ardere. L’incarico di accendere il fuoco è affidato a me e ad Agostino. Sarà lui ad avviarlo in realtà: io provvedo comunque con lui ad alimentarlo con legni, prima più piccoli e via via più grandi.
Il tempo scorre velocemente, e tra una chiacchiera e l’altra arriva il momento della cena. Il mio cibo per tutto il weekend, come da linee guida del manuale di sopravvivenza, consiste in scatolette e barrette energetiche. Alcuni componenti del gruppo hanno optato invece per bocconi più appetitosi: torte salate, salsicce e patate da cuocere sul fuoco. In ogni caso ceniamo condividendo tutto quello che c’è a disposizione.
Dentro al sacco a pelo mentre il termometro scende sotto zero
Sono circa le 20.00, e il sole è tramontato da un pezzo. La temperatura inizia a scendere sotto lo zero, perciò decidiamo di testare i nostri rifugi e i nostri sacchi a pelo, adatti alle temperature più fredde. Ci mettiamo dunque a dormire… o quanto meno a provarci! Personalmente ho sentito un po’ il freddo, ma in modo tutto sommato sopportabile. Il mio materassino isolante e il mio sacco a pelo militare hanno svolto egregiamente il loro lavoro. Per fortuna, perché durante la notte la temperatura è scesa almeno a -5°.

Al mattino esco dalla truna poco dopo le 07.00 e trovo Agostino intento a riavviare il fuoco, usando le braci ancora calde del fuoco del giorno precedente. Lo alimentiamo mentre gli altri un po’ alla volta vengono fuori intirizziti dai loro rifugi. Ci riuniamo intorno al fuoco per fare colazione con torta e barrette, senza farci mancare un buon caffè caldo.
Aspettiamo chiacchierando che la temperatura sia più mite, per incamminarci verso il rifugio-bivacco che si trova a 500 metri da noi. Si tratta di una piccola baita recuperata dal CAI, e che un po’ alla volta viene fornita del necessario per permettere a chi si trova nelle vicinanze di poter consumare un pasto o bivaccare per la notte. Lo stesso Angelo fa parte del gruppo che si occupa dei lavori.

Dopo questa passeggiata per sgranchirci le gambe, decidiamo di tornare verso i nostri rifugi. La neve è ancora ghiacciata, e in discesa si rischia di fare brutte cadute. Per non rischiare di scivolare rovinosamente, io e Germana decidiamo di scendere sedute, usando i bastoncini da trekking completamente chiusi come eventuali freni.
Cibo in scatola? Ogni tanto è meglio trasgredire
Alla fine è un bel divertimento. Arriviamo tutti interi vicino ai rifugi che ci hanno ospitato per la notte, e cominciamo a smantellarli. Intanto il sole si alza e ci scalda le ossa. Abbiamo anche appetito. Del resto tra una cosa e l’altra è ora di pranzo, e dalla borsa di Federico vengono ancora fuori salsicce, carne, patate e altre specialità calabresi. Io condivido il mio cibo in scatola, che viene unito al riso di Angelo e Gianfranco con ottimi risultati. Devo confessare che non mi è affatto dispiaciuto che qualcuno non abbia seguito le linee guida per il cibo da sopravvivenza!
Dopo pranzo raccogliamo tutte le nostre cose, e con gli zaini in spalla ci dirigiamo verso il nostro mezzo. Qui Angelo e Gianfranco ci spiegano l’uso dell’Artva e del sondino, dispositivi che insieme alla pala – dal 1° gennaio di quest’anno – sono obbligatori in escursione sulla neve.
L’Artva è l’apparecchio per la ricerca travolti in valanga, ovvero una ricetrasmittente che può inviare o ricevere il segnale di altre trasmittenti. In caso di incidenti, dunque, gli Artva settati su “ricezione” potranno cercare il segnale della persona travolta per poi provare a individuarla con il sondino.
Carichiamo gli zaini sul mezzo e torniamo verso Verbicaro, ripercorrendo in parte la strada dell’andata. Lungo il tragitto Angelo fa notare che fra gli alberi si intravede Castel di Raione, un’antica fortezza medievale arroccata in cima a una delle vette del parco. Un brindisi con un buon vino di Verbicaro è il viatico che ci concediamo al momento dei saluti.
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