Siete appassionati di arrampicata e trekking, e state già programmando qualche uscita per la prossima estate? La nostra Emma De Franco vi racconta nei dettagli la sua esperienza in Francia.
La scorsa estate, insieme al mio fidanzato Fabio, abbiamo deciso di intraprendere un climbing trip che partisse dall’Italia, attraversasse la Francia e ci conducesse, passo dopo passo, verso la Provenza. L’idea era chiara fin dall’inizio: fare una vacanza completamente autogestita, senza b&b o hotel. Solo noi, la Polo bianca di Fabio e una tenda. Diciotto giorni da soli a contatto con la natura.
Abbiamo conosciuto persone, luoghi, e ci siamo dovuti adattare alla cucina francese (che in certi casi è stata veramente pessima). Insomma, una vacanza all’insegna dell’avventura piuttosto che della comodità. Attraversando zone meravigliose, il nostro viaggio ci ha portato fino alle celebri gole del Verdon, una delle destinazioni più affascinanti per gli appassionati di arrampicata.
Siamo partiti il 3 agosto da Milano. Quella che si prospettava come una noiosissima giornata di viaggio, in realtà si è rivelata abbastanza piacevole grazie all’aria condizionata, ai giochi di parole e a innumerevoli discussioni sui temi d’attualità più disparati.
Abbiamo fatto una breve tappa prima di passare il confine Italia-Francia a Oulx e poi abbiamo svalicato passando per il Passo del Monginevro. Una volta arrivati in Francia, il paesaggio è stato suggestivo: valli verdi senza fine, pini e abeti che ricoprono i versanti delle montagne, e in lontananza il profilo di cime innevate che si stagliano all’orizzonte. Il tutto abbracciato da un cielo azzurrissimo. Siamo passati velocemente da Briançon e risaliti lungo una stretta valle verso Ailefroide, dove ci siamo fermati per una settimana.

Ailefroide è un piccolo angolo di paradiso incastonato nel cuore delle Alpi del Delfinato, a sud-ovest delle Alpi. È una località molto conosciuta dagli amanti dell’arrampicata e dell’alpinismo, perché rappresenta il punto di partenza per innumerevoli escursioni verso le vette più alte della regione.
Situata nel Parco Nazionale degli Ecrins, a circa 1.600 metri di altitudine, Ailefroide appare come una località molto selvaggia. Infatti oltre al campeggio, situato ai piedi delle pareti di roccia e delle montagne che abbiamo esplorato nei giorni successivi, ci sono solo un piccolo supermercato molto ben rifornito, e qualche chalet dove poter bere e mangiare la sera. Per il resto, è tutto bosco.
Ogni volta che ci siamo spostati di località, il rito era sempre lo stesso: trovare uno spot adatto per campeggiare, scaricare la macchina, piazzare la tenda, gonfiare il materasso per la notte, sistemare gli zaini e i sacchi a pelo, attaccare il gas al fornelletto da campo e andare a prendere dell’acqua per bere e cucinare. Rituale che le prime volte ci ha fatto discutere parecchio: un po’ perché io non avevo la pazienza per spiegare a Fabio come fare e cose, un po’ perché lui è decisamente imbranato e troppo precisino per assecondare la mia impulsività.
Fatto tutto questo, dopo la cena ci mettevamo fuori con i sacchi a pelo a progettare le escursioni che avremmo voluto fare il giorno dopo e a mangiare i biscotti con la cioccolata: rituale imprescindibile delle nostre vacanze. Il tutto abbracciati da un manto di stelle.
La bellezza di soggiornare in un luogo così primitivo sta proprio nel fatto fatto che la natura respira, ha la possibilità di esprimersi, e tutti quei colori che nelle grandi città sono secchi e sfocati, qui appaiono nitidi e brillanti. Per una volta siamo stati noi a doverci adattare ai ritmi della natura e non il contrario. Ci svegliavamo quando appariva il sole, cenavamo al tramonto quando il cielo si colora di rosso, andavamo a dormire quando ormai era tutto buio intorno a noi, si alzava un venticello sottile e il cielo era pieno di stelle.
Di falesia in falesia nel Parco Nazionale degli Ecrins
Nei sette giorni che abbiamo passato nel Parco Nazionale degli Ecrins, abbiamo sfruttato ogni momento che avevamo a disposizione per vedere qualcosa. Il primo giorno siamo andati ad arrampicare alla Draye, falesia molto grande, che offre una vasta quantità di vie e di monotiri.
Le altre falesie che abbiamo visitato sono state: La Gorge, la Fissure d’Ailefroide e Le petites dalles. Lo stile di arrampicata in questa zona è principalmente placca tecnica, e la roccia è granito. L’unica falesia che si è distinta dalle altre è La Gorge. Anche qui si arrampica sempre su granito, però invece di essere leggermente appoggiata, la roccia è verticale a tratti strapiombante, presenta fessure e diedri, creando linee molto fisiche ed estetiche.
La maggior parte dei tiri è sul 6b/6c e sono quasi tutti caratterizzati da una partenza tecnica su piccole tacche. In realtà non mi sono piaciute particolarmente le falesie e la roccia di questa zona. Nonostante io sia un amante dell’arrampicata su placca e su granito, ritengo ci siano delle zone con un granito migliore rispetto a quello che abbiamo trovato. Tuttavia è stato piacevole e divertente, inoltre, e dalle soste dei tiri ho potuto apprezzare la vista sulla valle.
Ma le giornate che mi sono piaciute di più sono state quelle in cui abbiamo esplorato a piedi la zona. Abbiamo fatto delle belle camminate partendo direttamente dal campeggio. In questi sette giorni la macchina è sempre rimasta di fianco alla tenda, alla fine era tutto ad un tiro di schioppo.
Non solo climbing
Una delle camminate più belle è stata quella al Refuge du Selè. Un itinerario di 1400 metri di dislivello con un tratto di sentiero attrezzato. Il sentiero è stupendo, ed è stato piacevolissimo affrontarlo di mattina presto quando ci sono ancora poche persone in giro e ci si può realmente godere il bosco, la salita e soprattutto l’ombra.

La prima parte del sentiero sale timidamente e si porta sempre di più all’interno della valle. Affianca per tutto il tempo un torrente, per poi staccarsi e portarsi tutto verso il fianco destro della valle dove inizia a diventare sempre più pendente. Superata una lunga deviazione imposta da un’alluvione che ha eroso parte del sentiero originale, si arriva a un punto in cui la pendenza si abbatte e ci si trova su di un pianoro di sabbia e sassi bianchi. Di fronte una cascata, e a lato il letto del fiume che si fa più ampio.
Qui ci siamo fermati a fare uno spuntino e qualche blocco sui massi che si trovavano vicino alla riva del fiume. Siamo successivamente ripartiti verso il rifugio affrontando l’ultimo tratto attrezzato che passa di fianco alla cascata. Tratto che dura circa una mezz’oretta. Il tutto dipende ovviamente da quante persone si incontrano e da quanto si è agili nello spostarsi su roccia.
Sul tragitto abbiamo incontrato tantissime persone che vestivano con indumenti da spiaggia e camminavano a 2500 metri di quota con i sandali. Abbiamo incontrato talmente tante persone così abbigliate, che a un certo punto abbiamo pensato di essere noi quelli matti con gli scarponcini da avvicinamento.
Leggi anche: Val Maira, un paradiso nascosto per gli amanti dell’arrampicata
Finito il tratto attrezzato, la camminata prosegue ancora un po’ su di un sentiero leggermente pianeggiante e dopo un ultimo strappo di salita, in mezzo a sfasciumi e neve, ecco il rifugio Selè. Abbiamo pranzato in compagnia del micio del rifugio, delle galline e di una vista mozzafiato sul ghiacciaio. Infine siamo scesi rientrando dallo stesso sentiero dell’andata. Arrivati al campo base, ci siamo messi in costume e siamo andati a fare il bagno al fiume che costeggia tutto il campeggio. Si tratta di un fiume che trae origine dai ghiacciai della vallata e che durante tutto il giorno solleva un piacevole venticello fresco.
Un’altra bellissima escursione è stata quella al Glacier Blanc (foto di apertura) partendo da Pré de Madame Carle. Un’escursione con meno dislivello rispetto alla precedente, circa 700 metri, che però noi abbiamo deciso di allungare passando oltre al rifugio e andando verso il ghiacciaio.
Passando più in alto rispetto al ghiacciaio e costeggiandolo sulla destra abbiamo imboccato una traccia poco segnata con un decorso tortuoso ma panoramico. Abbiamo potuto osservare le cime più famose della zona tra cui la Barres des Ecrins, e scorgere in lontananza il Refuge des Ecrins, punto di partenza per numerosi itinerari alpinistici.
Si parte per la Provenza
Il 10 agosto abbiamo smontato il campo base e siamo partiti alla volta della Provenza, direzione La Palud sur Verdon. I chilometri sono stati tanti, il caldo era infernale. Mentre Fabio guidava, il panorama che si svelava davanti a noi era un dipinto vivente, come se fossimo in un quadro di Pissarro. I campi di lavanda ondeggiavano dolcemente sotto la sferzata del vento caldo e secco. La terra ocra, bruciata dal sole, si allungava sotto il cielo azzurro.
Abbiamo proceduto spediti finché il paesaggio intorno a noi non ha iniziato a cambiare diventando sempre più selvaggio. Ci stavamo avvicinando al territorio delle Gole del Verdon. Siamo arrivati alla Palud sur Verdon, un pittoresco paesino che sembra uscito da una cartolina. Qui c’è una sola strada principale, fiancheggiata da case in pietra. L’atmosfera è quasi sospesa, come se il tempo in questo angolo di Provenza scorresse più lentamente.
Proseguiamo lungo la strada che ci porta verso il campeggio. Qui il paesaggio cambia di nuovo: i campi di grano e di erba si alternano, creando un mosaico di colori. In lontananza, alcuni cavalli passeggiano, le pecore si muovono a piccoli gruppi. Dal bordo della strada sbuca il cartello che segnala il nostro campeggio, un vero e proprio angolo di pace. Noi, qualche coppia di italiani e l’addetta al campeggio. Per il resto silenzio. Le piazzole sono ampie e spaziose, rinfrescate dall’ombra dei salici.
Dopo aver piazzato le nostre cose, decidiamo di tornare verso il paese per fare un po’ di spesa e per acquistare una guida di arrampicata del posto. Nella piccola “boutique” alimentare troviamo tutti prodotti a chilometro zero: formaggi di capra, yogurt, miele, vino, verdure e uova. Proseguiamo la nostra passeggiata nel centro del paese, e poi acquistiamo la guida d’arrampicata e ci facciamo dare due dritte sui posti da visitare e le attività da fare.
È vero che il Verdon rappresenta un paradiso per gli amanti della roccia, ma come abbiamo scoperto vi si praticano tantissime altre attività outdoor: canyoning, trekking, kayak, ciclismo, parapendio, vie ferrate, rafting e bungee jumping.
Il caldo: un problema da non sottovalutare
Il grande problema che abbiamo sperimentato qui è stato il caldo. Al campeggio eravamo riparati dagli alberi e tirava sempre un filo di vento. Ma in falesia il caldo era tremendo. La maggior parte delle falesie è esposta a sud, di conseguenza le pareti prendono il sole quasi tutto il giorno, fatta eccezione per quelle esposte a est o a ovest, che prendono il sole solo la mattina o il pomeriggio. Sono presenti anche falesie esposte a nord, tuttavia per arrivarci non c’è altro modo se non fare una tirolese da una sponda all’altra del Verdon.
Per cercare di non restare troppo tempo esposti al sole, abbiamo sempre cercato di andare in falesia molto presto: sveglia alle 6 del mattino, in falesia massimo per le 7 e poi verso mezzogiorno il rientro. Il pomeriggio è sempre stato dedicato al relax.
Come ho detto prima il Verdon offre delle valide alternative anche per chi non pratica arrampicata: ci sono splendidi paesini da andare a visitare, si può affittare un kayak e pagaiare all’interno delle gole oppure affittare una barca a motore e andare a fare qualche tuffo in mezzo al Lac de Sainte-Croix.
Se poi si visita questa zona durante il periodo della fioritura della lavanda, da metà giugno all’inizio di agosto, si possono fare passeggiate immersi nel viola. È anche una zona caratterizzata dalla produzione del miele e del formaggio, per questo è possibile partecipare a laboratori di produzione nelle varie aziende agricole dislocate sul territorio.
Altre mete da non perdere: Moisture Saint Marie, un paesino molto caratteristico arroccato in una gola, dove abbiamo comprato qualche souvenir e abbiamo fatto una passeggiata fino alla Chapelle di Notre Dame de Beauvoir. Poi la Route des Crêtes, un sentiero percorribile a piedi, in automobile o in bicicletta, che costeggia le impressionanti pareti di roccia del Verdon da cui partono le soste di calata per alcune delle vie piu famose della zona. E ancora Point Sublime, una stupenda terrazza panoramica da cui partono alcuni gruppi che fanno rafting e canyoning.
Proseguendo oltre Point Sublime si arriva a un campeggio dov’è possibile lasciare la macchina e andare a piedi verso il fiume. Qui abbiamo passato la maggior parte dei nostri pomeriggi perché il luogo è facilissimo da raggiungere e non solo si può godere la freschezza delle acque del fiume Verdon, ma anche la tranquillità e l’ombra degli alberi che costeggiano il fiume.
Arrampicare sulle falesie della Provenza
Il primo giorno siamo andati alla falesia del Col d’Ayen. La falesia è bella, ci sono cinque minuti di avvicinamento che portano verso il primo settore e man mano il sentiero porta agli altri tre settori principali. Presenta svariati monotiri, corti e boulderosi, molto divertenti, su calcare che purtroppo è abbastanza unto.
In quanto ai gradi si trova un po’ di tutto. Principalmente ci sono tiri intorno al sesto grado, poche cose sul quinto e tanti tiri sopra il 6c. Verso l’ora di pranzo siamo fuggiti dalla falesia che ormai era diventata un forno cocente e siamo andati al lago, dove abbiamo pranzato e ci siamo riposati tutto il pomeriggio. Le altre falesie che abbiamo visitato sono state Valaute e Le Felines.

Valaute non ci è piaciuta molto: lungo e noioso l’avvicinamento. e non essendo segnato il sentiero abbiamo sbagliato piu volte la strada. Le Felines invece è la falesia che ci è piaciuta di piu. Ci siamo tornati due volte. Si presenta come una paretona infinita di calcare, con una roccia che su alcuni tiri è ancora vergine, tiri lunghi, continui e linee super classiche ed estetiche. Ci siamo veramente goduti l’arrampicata.
Nella giornata piu nuvolosa abbiamo deciso di andare a fare una via lunga verso lo chalet della Maline, una via divertente di cinque tiri, facile, con un calcare stupendo. Peccato per l’avvicinamento che è stato una bella impresa tra gli arbusti, dove io mi sono sbucciata tutte le gambe. Infine, un giorno abbiamo arrampicato sul paretone dell’Escales.
Sua Maestà l’Escales
La parete dell’Escales, situata nel Parco Naturale Regionale del Verdon, è una delle formazioni rocciose più iconiche e impegnative della zona. Si compone di calcare che presenta diverse tonalità di bianco e grigio, con venature più scure. La parete è caratterizzata da una verticalità impressionante. Si erge a più di 200 metri di altezza sopra il fondo della gola del Verdon. La sua conformazione offre una combinazione di tratti completamente verticali, zone strapiombanti e alcuni tratti appoggiati. Ovviamente la difficoltà dipende e cambia a seconda delle vie di arrampicata. La superficie della roccia è spesso ruvida e porosa, con numerosi buchi e fessure.
Oltre a richiedere resistenza e tecnica, un altro importantissimo fattore che influenza la performance sportiva su questa parete sono sicuramente la continua esposizione, la verticalità e la profondità della gola. Ciò che rende la parete così famosa e diversa è anche il fatto che si accede alle multipitch calandosi dall’alto. Mentre nelle vie classiche si raggiunge l’attacco della via dal basso, qui è il contrario: ci si cala lungo i tiri della via che si vuole fare, e poi si risale.

Seppure questa particolarità rende le vie più interessanti, d’altra parte rappresenta anche un potenziale problema perché implica il fatto che se ti cali, in qualche modo devi poi anche risalire. Infatti non ci sono sentieri alla base della parete o tracce alternative per venirne fuori. Sotto c’è solo il fiume. Per questo prima di affrontare una via di questo tipo è necessario essere ben consapevoli dei propri limiti e delle proprie capacità.
Io ero spaventatissima. La verticalità e l’esposizione sono cose che faccio fatica a sopportare. Per questo quando Fabio mi ha proposto di provare una cosa del genere mi sono subito tirata indietro. Tuttavia abbiamo trovato un compromesso: invece che fare una via vera e propria, potevamo fare dei monotiri calandoci sempre dall’alto ma solo fino alla prima sosta sotto a quella di calata, senza scendere per tutti i 200 metri.
Arriviati sul posto, un balconcino panoramico, da qui ci portiamo verso l’esterno e iniziamo a camminare sul ciglio della parete fino a raggiungere una sosta da cui calarci. Mi preparo, Fabio si mette in sosta e io lo raggiungo. Scendo per prima. Man mano che mi calo e incontro gli spit, metto i rinvii e inserisco la corda in modo da non spostarmi troppo dalla linea del tiro. Dentro sento che sto per svenire, perché quando guardo sotto di me vedo solo 200 metri di vuoto e nient’altro.
Ad un certo punto inizia a piovere. Mi accorgo dell’acqua che velocemente sta bagnando tutta la parete, quindi inizio ad arrampicare per ritornare verso la sosta smontando il tiro. La roccia diventa sempre più scivolosa e le buone prese, che ti può offrire solo il calcare, si riempiono sempre di più di acqua diventando piccole piscine. Aspettiamo un po’ sotto l’acqua per vedere se smette, ma non succede e quindi iniziamo a correre verso la macchina per non inzupparci completamente. Alla fine, io che non volevo fare questa esperienza sono stata l’unica a farla. Mentre il povero Fabio, che da quando eravamo arrivati sbavava davanti a tanta bellezza, è rimasto fregato da un temporale.

© riproduzione riservata