Siamo andati in Val Senales, in Alto Adige, per assistere a uno spettacolo unico: la transumanza delle pecore che ogni anno tornano dalle valli austriache.
Meglio, molto meglio salire un po’. Ci si arrampica lungo il sentiero di sassi che sale per la val di Tiso. Sotto, il blu del lago è un alibi perfetto per riprendere fiato di tanto in tanto. E poi non resta che aspettare.
Il posto migliore per accomodarsi è uno di quei massi a strapiombo sulla valle, un po’ discosti dalle stradine di terra battuta che tagliano il prato come tante vene. All’inizio non si vedono: si sente soltanto un rumore confuso, un tintinnio che sembra sospeso nell’aria. Poi anche il terreno comincia a vibrare, mentre arrivano alle orecchie i richiami dei pastori. Gorgoglii, urla, tiritere. E all’improvviso eccole, le pecore.

Migliaia di pecore che scendono dal giogo
Centinaia. Migliaia. Lo sanno, che sono quasi arrivate a casa, e scaracollano giù per i prati accelerando il passo. Molte sono gravide, con pance che annunciano parti imminenti. Altre hanno accanto i piccoli di pochi giorni. I più giovani, gli agnelli nati nelle ultime ore, ballonzolano in grembo ai pastori, avvolti nei grembiuli blu. Sono state a brucare l’erba sugli alpeggi al di là dei gioghi alpini dell’Ötztal. Tre mesi tra le cime delle montagne, e gli uomini con loro. Così da secoli. Ogni anno, in Val Senales, a metà giugno le greggi partono per la “lunga marcia” che le porta ad attraversare le rocce e i ghiacci del Giogo Alto e del Giogo Basso, per poi scendere dall’altra parte, nelle valli austriache.
A metà settembre, il cammino avviene nel senso contrario. E ogni volta il freddo, la neve e il vento possono rendere critico il tragitto. Nel santuario di Madonna di Senales i contadini appendono tavolette votive, quando le loro pecore scampano una disgrazia. Come quella che segnò la tragica transumanza del 1979: un gregge fu investito da una slavina all’attacco del Giogo Basso, e toccò abbattere tutti gli animali che non erano morti. Per questo, quando le pecore partono – ma soprattutto quando tornano – è festa grande.

Una festa che coinvolge tutta la popolazione
A Vernago e a Maso Corto, i paesi ai piedi del ghiacciaio del Senales, si riunisce tutta la gente della valle. Tra fiumi di birra e il profumo dei würstel che sfregolano sulla griglia, i tirolesi attendono le loro pecore. Ad accoglierle, c’è persino la banda. Turisti? Pochi ma buoni. Sono quelli che amano le vacanze “fuori dal gregge”, che salgono da queste parti quando la stagione è bassa, per conoscere la faccia vera della montagna.
Del resto qui non si sta male nemmeno in agosto: la Val Senales non è mai stata una delle grandi rotte delle vacanze. Ci aveva provato Leo Gurschler, negli anni ’60, a dare la sveglia ai suoi concittadini. L’idea era stata ardita, per l’epoca: costruire, in cima a una valle che conta cinque paesini e meno di 1.500 abitanti, una funivia futuristica che portasse estate e inverno gli sciatori sul ghiacciaio del Senales. A monte, un rifugio modernissimo. A valle, un parcheggio per mille auto, 240 bungalow e un albergo da 80 posti letto. A seguire, una centrale idroelettrica che fornisse energia a tutta la zona sfruttando l’acqua del lago di Vernago.
Un innovatore considerato “scomodo”
Detto e fatto. Il 12 luglio del ’75 la funivia era stata inaugurata. E a seguire, il resto. «Peccato che Gurschler non abbia potuto godere i frutti delle sue fatiche», racconta un vecchio del posto. «Molti erano invidiosi. E per “scippargli” l’affare, fecero in modo che gli fosse negata l’autorizzazione alla vendita degli appartamenti. Leo si ritrovò nei guai con le banche. Pressato dai debiti, finì per perdere tutto. Persino il maso Kurzhof, che apparteneva alla sua famiglia da cinque generazioni. Così nel 1983 si tolse la vita. Alla moglie Giuliana, vedova con quattro bambini piccoli, restò in mano soltanto un albergo: il Piccolo Hotel Gurschler». Adesso a ricordare Leo come «promotore dello sviluppo del turismo e del consolidamento dell’economia della Val Senales» c’è una lapide. Fatta apporre dal Comune.
Ma se qualcuno crede che la giustizia non sia di questo mondo, venga a fare un giro quassù e scoprirà che è vero il contrario. Perché i concittadini di Gurschler, una volta presi in mano la funivia e gli appartamenti, non hanno saputo trasformare Maso Corto in una stazione turistica gettonata. Cosa che invece è poi riuscita – per colmo d’ironia – a un morto: la mummia Ötzi, un uomo del Neolitico ritrovato una decina di anni fa sotto i ghiacci del Similaun. È stato soprattutto merito suo, infatti, se il nome della Val Senales ha cominciato a girare. E se insieme agli sciatori sono arrivati anche escursionisti curiosi e appassionati di archeologia.

Un tuffo indietro nel tempo
Ma tant’è: Maso Corto resta uno di quei posti in cui, fuori stagione, è difficile credere di essere nell’anno 2019. Sarà perché le donne continuano a vestire gli abiti tradizionali e gli uomini a indossare giacche di lana e cappelli di feltro. Sarà perché i bambini, con le guance rosse e i calzoncini di pelle, sembrano tanti Hänsel e Gretel. Sarà perché è sempre la stessa musica: canti popolari in tedesco, accompagnati da trombe, fisarmoniche e piatti.
Quando le pecore arrivano a valle, vengono fatte entrare in enormi recinti approntati sul prato. E lì ogni contadino, con la famiglia, va a recuperare le sue. Facile riconoscerle: perché il manto è stato dipinto con bolle colorate. Verdi, rosse, azzurre…ogni maso ha il proprio simbolo. Un po’ a spintoni, un po’ sollevandoli di peso, gli animali vengono separati e chiusi in box più piccoli. Campanelli, belati, richiami, latrati di cani, applausi. E la banda che suona all’impazzata. Intorno, i ragazzini coccolano gli agnelli appena nati. Batuffoli di lana incerti sulle zampe.
Una tradizione ininterrotta da secoli
Non hanno mai smesso, i contadini della Val Senales, l’antica tradizione della transumanza. Le vie seguite dalle pecore per salire al Giogo Basso e al Giogo Alto sono sempre le stesse dai tempi preistorici. Sono le strade che probabilmente calcava anche Ötzi.
Ma perché andare a cercare pascoli al di là del ghiacciaio, anziché accontentarsi di quelli intorno a casa? Perché questi non bastavano a sfamare, oltre alle pecore, anche le capre e le mucche che ogni famiglia possedeva. Ed era importante che tutti gli animali fossero ben nutriti. Da loro dipendeva il sostentamento del maso: lana, carne, latte.
Adesso, poi, ci si è accorti che la transumanza può diventare anche un business. Perché richiama turisti nella valle. E le autorità sovvenzionano l’allevamento di pecore, da quando si è scoperto che garantiscono la protezione e la cura dei pascoli d’alta montagna. Così l’antica tradizione ha trovato nuova linfa, e le pecore diventano sempre più numerose. Insomma, una storia a lieto fine.
E a proposito di lieto fine: la moglie di Leo Gurschler è riuscita a gestire con accortezza e senso degli affari il suo albergo. Tanto da mettere insieme un bel gruzzolo, con cui un po’ alla volta ha riacquistato quote dell’ex società del marito.
Info
Ogni anno, le pecore partono da Vernago e da Maso Corto verso metà giugno, e tornano a metà settembre (dal momento che sono possibili variazioni di programma in base alle condizioni atmosferiche, per informazioni sulle date esatte controllare il sito dell’Ufficio turistico).
Chi non ha voglia di salire a piedi per attendere l’arrivo delle pecore in cima al giogo, può acquistare i Biglietti Transumanza messi a disposizione dalla funivia.
Molti, nella zona, i locali in cui si può gustare cucina tipica tirolese. Come l’Oberraindlhof (Frazione Madonna 49, tel. 0473.679131 ), dove tra l’altro servono un impareggiabile dolce tipico della valle, a base di pane e latte. Oppure lo Schwarzer Adler (Frazione Madonna 26, tel. 0473.669652). Qui è possibile tra l’altro provare il “menù Ötzi”, cioè i piatti – reinterpretati – di cui presumibilmente si nutriva la mummia dei ghiacci.
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